giovedì 13 agosto 2020

Il solito problema


Il paziente inglese è un libro di Michael Ondaatje trasposto nel film omonimo da Anthony Minghella. È noto che la vicenda del protagonista del romanzo è ispirata a quella di un personaggio reale dalla controversa personalità, László Almásy. Autentica la sua relazione con Dorothy Clayton, così come sono effettivamente esistiti anche altri personaggi del film, le cui figure sono state ovviamente piegate alle esigenze della sceneggiatura.

Autentica è pure la vicenda della scoperta di pitture rupestri da parte di Almásy. Due fatti sono poco noti invece. L’ungherese, secondo documenti esistenti, aveva dapprima offerto i suoi servigi ai comandi italiani (maggiore Rolle?), che però non si fidarono ritenendolo legato agli inglesi. Invece lavorò per conto dei tedeschi e di Rommel. L’altro fatto riguarda l’italiano che era con lui durante la spedizione che portò alla scoperta e mappatura dei siti archeologici nel deserto, e che di quella spedizione scrisse in note inedite.

Si chiamava Lodovico di Caporiacco, nato a Udine nel 1900, d’intelligenza vivace e d’ingegno precoce. Seguiamo cosa riferisce Wikipedia:

“È stato professore ordinario di Zoologia dell'Università di Parma. Nella missione geotopografica nel Sahara del 1933, oltre a varie specie di ragni, scoprì le famose pitture rupestri di Ain Dòua, insieme al conte László Almásy. Nel 1945 ricoprì per un breve periodo la carica di commissario prefettizio di Udine”.

Integriamo. Partecipò come volontario alla prima guerra mondiale, si laureò a vent’anni a pieni voti con lode. Prese parte, con Ardito Desio, alla prima ascesa del Karakorum, nel 1921. Abbracciò convinto il fascismo, firmò il famigerato Manifesto della razza, come tanti altri che poi però seppero ben riciclarsi e far carriera. Lui invece fu processato e assolto. Risulta che opponesse resistenza ai tedeschi che volevano depredare il patrimonio artistico e tecnico del Friuli e che poi gli bruciarono la casa a Martignacco. Insomma, inviso da una parte e dall’altra.

Morì giovane, nell’estate del 1951, consumato da una fatale e dolorosissima malattia, fino all’ultimo lavorando presso l’università di Parma.

Chi siamo noi per poterlo giudicare sulla base della sua adesione ad un’ideale politico? Siamo di fronte al solito problema.

P.S.: ho tratto queste notizie da Italiani nel Sahara, di Fabio Folisi, Aviani & Aviani editori.

3 commenti:

  1. Di certo, non siamo Eugenio Scalfari o Giorgio Napolitano.

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  2. "..Siamo di fronte al solito problema."

    Partendo da un punto di vista , non dogmatico,(certo!),ma di quanto disse Marx sul proletariato stesso non ci resta che sperare che le IA un bel giorno , decidano sulla base della loro "coscienza" chissà come acquisita che i loro "creatori"siano in fondo inutili al loro sviluppo.
    Tema questo trattato da molto autori di fantascienza.
    Per il momento teniamoci il nostro bel problema, con la raccomandazione però che è un problema strettamente individuale.

    caino

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