Più di un milione di lavoratori negli Stati Uniti hanno presentato nuove richieste di disoccupazione la scorsa settimana. Secondo il Bureau of Labor Statistics, 1.006.000 lavoratori hanno presentato la prima richiesta di sussidio per disoccupazione nella settimana terminata il 22 agosto, leggermente in calo rispetto ai 1.104.000 della settimana precedente. Il numero totale di persone che hanno chiesto sussidi nel corso di tutti i programmi per la settimana terminata l’8 agosto è stato di 27 milioni.
Il Dipartimento del Lavoro ha affermato che il tasso di disoccupazione ufficiale è sceso dal 10,1% al 9,9% per la settimana terminata il 15 agosto. Sono contati solo quelli che ricevono regolari sussidi statali (14,5 milioni) e non i 12,5 milioni che ricevono assistenza federale quali i lavoratori autonomi e i “gig workers” (appaltatori indipendenti, lavoratori della piattaforma online, lavoratori delle ditte appaltatrici, lavoratori a chiamata e lavoratori temporanei).
Se entrambi i dati fossero presi in considerazione, posto che la forza-lavoro statunitense è di 159,9 milioni, il tasso di disoccupazione sarebbe del 17%. Anche questa è una sottostima poiché non conta i lavoratori in nero e altri disoccupati che non ricevono aiuti o che sono stati costretti a lavorare part-time.
Commentando sull’economia, il presidente Trump si è vantato ieri che “il paese sta andando molto bene”, aggiungendo: “Siamo su una V, potrebbe anche essere un Super-V”, riferendosi al presunto rapido tuffo e ripresa a forma di V dell’economia.
Bisogna tener conto che lo stato attuale dell’occupazione è in gran parte il risultato dei cambiamenti nel mercato del lavoro nell’ultimo decennio attraverso il maggiore utilizzo dell’occupazione in gig economy, del lavoro part-time e precario, principale fonte di aumento dell’occupazione piuttosto che di posti di lavoro stabili e a tempo pieno.
Dal canto suo la Federal Reserve statunitense ha annunciato un cambiamento per la determinazione della politica monetaria. L’annuncio è stato dato ieri mattina dal Federal Open Market Committee (FOMC), prima di un discorso programmatico del presidente della Fed, Jerome Powell, alla conferenza dei banchieri centrali di Jackson Hole.
Il FOMC ha affermato che in futuro la sua politica sui tassi d’interesse sarebbe stata formulata con l’obiettivo di cercare di garantire che il tasso di inflazione raggiunga una “media” del 2% nel tempo (senza peraltro specificare quanto tempo), rassicurando i mercati che la Fed non avrebbe alzato i tassi una volta che l’inflazione fosse andata oltre il 2 per cento.
Non vi è stato alcun riferimento al cambiamento più significativo del recente passato, sulla scia della crisi finanziaria del 2008 e il crescente divorzio di Wall Street dall’economia reale, l’accumulo di ricchezza nelle mani di un oligarchia, la crescente divaricazione della forbice sociale. Questa è stata la prassi della Fed, risalendo al crollo del mercato azionario dell’ottobre 1987 e in accelerazione dopo il crollo del 2008.
Pertanto nessun accenno a quei meccanismi di travaso di quantità sempre crescenti di ricchezza prodotta dal lavoro di centinaia di milioni di lavoratori nelle tasche di una piccola élite finanziaria, e che in gran parte dipendono dal mantenimento garantito di tassi d’interesse bassissimi e dall’impegno della Fed di intervenire a sostegno dei mercati ogni volta che la speculazione dilagante minaccia una crisi finanziaria.
Dal dicembre 2015, la Fed aveva iniziato ad aumentare i tassi d’interesse dai livelli prossimi allo zero che aveva introdotto dopo il crollo del 2008. Ciò era in linea con l’affermazione secondo cui le misure che aveva introdotto, inclusi gli acquisti di trilioni di dollari di buoni del Tesoro, avevano carattere di emergenza e sarebbero state gradualmente ritirate una volta che l’economia avesse iniziato a tornare alla “normale”.
Nel 2017 e nel 2018 si è verificata una breve ripresa nell’economia statunitense e mondiale con un aumento del prodotto interno lordo dal periodo immediatamente precedente al crollo finanziario. La Fed aveva deciso di proseguire nella sua linea. Nel 2018, ha effettuato quattro aumenti dei tassi d’interesse, ciascuno di 0,25 punti percentuali, e ha indicato che ci sarebbero stati altri tre aumenti di questo tipo nel 2019.
Aveva inoltre affermato che avrebbe continuato a ridurre le sue partecipazioni in attività finanziarie, che si erano accumulate a circa 800 miliardi prima del 2008 e poi a più di 4 trilioni, al ritmo di 50 miliardi al mese. Nell’ottobre 2019, Powell ha affermato che il programma di riduzione degli asset era impostato sul “pilota automatico”.
Tuttavia, l’orgia di speculazione finanziaria che aveva subito un’accelerazione dopo il 2008 era ormai profondamente radicata a Wall Street e nell’intero sistema finanziario. Il minimo accenno di una politica monetaria restrittiva aveva scatenato la speculazione nel dicembre 2018, e la Borsa aveva registrato il suo peggior risultato per quel mese dal 1931.
Non dimentichiamo che il presidente Trump aveva persino minacciato Powell per aver mantenuto i tassi di interesse troppo alti, ciò ha portato a un’inversione di tendenza. In un discorso nel gennaio 2019, Powell ha chiarito che gli aumenti dei tassi d’interesse non erano all’ordine del giorno e la riduzione degli asset della Fed sarebbe stata sospesa. Ciò è stato seguito da tagli dei tassi dalla metà del 2019.
Ciò ha portato ora anche ufficialmente alla revisione della politica della Fed, i cui risultati sono stati annunciati ieri: una garanzia per l’oligarchia finanziaria che la politica monetaria di denaro facile, così essenziale per le sue operazioni, sarebbe continuata indefinitamente.
Possono raccontarsi tutte le favole che vogliono, la realtà non si piegherà alle loro teorie. Per quanto riguarda il miraggio di un’inflazione media al 2%, c’è da osservare che a fronte di una gigantesca offerta, in ogni settore compreso quello finanziario, c’è una domanda fiacca, in flessione e comunque insufficiente. Tuttavia a forza di regalare denaro e facendo debiti per acquistare titoli spazzatura, prima o poi la situazione potrebbe virare all’opposto, poiché inflazione e deflazione sono poli della stessa realtà.
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