mercoledì 6 maggio 2020

L'impudenza di chiamarlo comunismo



Leggevo in questi giorni titoli come questo: “Quarantena, oltre alla fatica un’occasione per ritrovare se stessi”, quindi “L’isolamento può riservare qualche opportunità, come ad esempio fermarsi e riflettere su noi stessi”. Ciò mi ha ricordato un personaggio del corposo romanzo di Aleksandr Isaevič Solženicyn, Nel primo cerchio, forse la sua opera letterariamente più riuscita.

L’inizio è travolgente, racconta di un alto funzionario del ministero degli Esteri sovietico che si mette telefonicamente in contatto con l’ambasciata americana a Mosca per rivelare che entro pochi giorni un agente sovietico in America riceverà in un negozio di apparecchiature elettriche gli ultimi dati per la costruzione dell’atomica.

Il funzionario ritornerà con la sua vicenda solo verso la fine del romanzo. Il racconto si sposta per le successive centinaia di pagine nell’istituto correzionale di ricerca scientifica di Marfino, a nord est della capitale, dove sono detenuti 280 scienziati, tecnici e addetti alle comunicazioni, ai quali è stato assegnato il compito di formare la “fonetica russa”, ossia un sistema di controllo telefonico in larga parte basato su un progetto tedesco sequestrato alla fine della guerra.

Non racconterò la trama di tutto il romanzo, né della sorte di Volodin, l’alto funzionario che aveva telefonato all’ambasciata americana. Rivelo solo quanto afferma uno dei personaggi, Gleb Nerzin (l’alter ego dell’autore, che si ritrova anche in Ama la rivoluzione!), rinchiuso nell’istituto di Marfino: “Sia benedetta la prigione! Mi ha dato il tempo di riflettere”.

Ognuno di noi, al riguardo, può interpretare come crede queste parole. Per quanto mi concerne e in parallelo con la quarantena alla quale siamo stati sottoposti, non mi pare che l’inibizione alla mia libertà di movimento abbia prodotto su di me situazioni di particolare raccoglimento né di più intima riflessione, vuoi sulla nostra caduca esistenza o su altre questioncelle simili. Queste riflessioni mi hanno sempre accompagnato, anche nei migliori momenti, come del resto capita a molte persone.

A conclusione del romanzo, venti detenuti dell’istituto di Marfino vengono trasferiti in un campo di lavoro forzato a Vorkuta, nell’Artico europeo, o nel nord della Siberia. Sul furgone che li trasporta, mimetizzato in un “allegro colore arancione e azzurro”, il corrispondente moscovita del giornale Liberation può leggere: Carne, Viande, Fleisch, Meat. Avendone visti molti di uguali di tali furgoni, annota: “Nelle strade di Mosca s’incontrano di continuo autofurgoni di prodotti alimentari molto puliti, impeccabili dal punto di vista sanitario. Impossibile non notare che l’approvvigionamento della capitale è eccellente”.

4 commenti:

  1. Se lo scriveva adesso, al posto di Liberation ci metteva il Manifesto.

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  2. Aiutoooo gli spoileeeeer! Ho il libro in coda di lettura da qualche tempo. Per fortuna mi sono fermato in tempo :-)

    Quindi l'assassino è il maggiordomo giusto?

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