La nascita di Aleksej Nikolaevič, portò una gioia incontenibile nella corte dei Romanov. Era arrivato finalmente il tanto atteso maschio, l’erede al trono, lo tsarevich. Già alla prima poppata fu nominato capo di un reggimento finlandese di guardie del corpo, di un reggimento di fucilieri siberiano, atamano di tutti i reggimenti di cosacchi e contemporaneamente à la suite di due reggimenti della guardia e di quattro di linea. Il merito si vede fin dalla nascita. Sua mamma, la zarina Alessandra Feodorovna, come premio era stata nominata capo di un reggimento di dragoni. Il bimbo ebbe come padrini l'imperatore Guglielmo II e il re Edoardo VII, suoi parenti.
Aleksej Nikolaevič soffriva di emofilia (aplogruppo mitocondriale H) trasmessagli, da parte di madre, dalla bisnonna, la defunta regina Vittoria, che ne era portatrice sana (*). I medici di allora si comportarono come i medici di oggi, non avendo un farmaco specifico per la cura della malattia, provvedevano empiricamente, cioè sperimentando terapie con i farmaci allora disponibili. Tra questi, l’acido acetilsalicilico. Loro non lo sapevano, ma era come prescrive dello zucchero a un diabetico. Infatti l’acido acetilsalicilico favorisce la fluidificazione del sangue e dunque ha effetti anticoagulanti.
Qui entra in scena sua maestà il caso, personificato dal notissimo Grigorij Efimovič Rasputin. Bisogna però dire che di personaggi stravaganti non fu il primo a frequentare la corte russa. Per esempio, le granduchesse montenegrine, presenti a corte, si erano messe, con l’aiuto di uno spiritista francese, tale monsieur Philippe, ad attirare nella loro rete la zarina e lo zar Nicola. Lo spiritista evocava lo spirito dello zar Alessandro III. Interrogato su quali consigli avesse da dare al figlio (Nicola I), lo spirito ammonì che tenesse fede al testamento paterno e specialmente all’alleanza con la Francia. Alla fine, con voce sepolcrale, lo spirito gridò al figlio atterrito: “Et, surtout, n’oublie pas de donner beacoup d’argent au Prince de Monténégro, mon meilleur ami.” Come ebbe ad osservare Jep Gambardella, la melodrammatica non muore mai.
Rasputin, bandì ogni tipo di farmaco per la cura del piccolo paziente, ci avrebbe pensato lui, lo stregone siberiano, con le sue preghiere e l’ipnosi. L’aver tolto di mezzo l’acido acetilsalicilico, migliorò in modo deciso le condizioni di salute dello tsarevich. Di qui la fortuna del losco personaggio, il quale giunse a determinare anche talune decisioni politiche dello zar. Nel 1916, Rasputin fu decisamente contrario alla continuazione della guerra, cosa che non garbava ai sostenitori dell’alleanza franco-inglese. Fu ordita una congiura con lo scopo di sbarazzarsi dell’incomodo personaggio.
Durante una cena gli furono serviti dolci e vino avvelenato con abbondante cianuro di potassio, ma non accadde nulla. Nessun miracolo, semplicemente pur essendo il cianuro di potassio uno dei veleni più letali, quello somministrato a Rasputin era vecchio e inefficace (**). Insomma, per farla finita con Raputin, i congiurati dovettero spararli e poi gettarlo nella Piccola Nevka.
Aleksej Nikolaevič non visse a lungo, fu ucciso nel 1918 assieme agli altri componenti della sua famiglia, com’è noto. I tipi come Ezio Mauro versano ancora oggi calde lacrime sulla sorte della famiglia zarista, dimentichi del contesto storico in cui ciò avvenne. La Russia bolscevica era allora circondata da ogni lato dalle armate “bianche”, dalle truppe inviate dalle potenze occidentali, non ultima l’Italia che fece sbarcare i bersaglieri a Vladivostok, che arruolò perfino gli ex prigionieri austriaci di origine italiana al comando di un ufficiale dei carabinieri, Cosma Manera.
Di guerra e di malattie, di fame a causa del blocco economico, morirono milioni di persone. In questo quadro la sorte di Aleksej Nikolaevič è assolutamente ininfluente, anche se dal punto di vista umano merita considerazione ogni vittima della guerra civile scatenata dalla reazione e supportata dalle potenze occidentali.
Bisognava chiudere una fase storica se si voleva aprirne un’altra, non offrire, tra l’altro, alcun pretesto ai legittimisti di poter restaurare la monarchia in Russia. Da un punto di vista storico è del tutto inutile prendere posizione a favore o contro la rivoluzione bolscevica, o a riguardo della rivoluzione francese, della conquista europea delle Americhe e dell’Africa, della brutalità di Cesare nella Gallia, dell’indifferenza di Napoleone per le decine di migliaia di morti di ogni sua battaglia, eccetera.
Gli eventi di ogni epoca sono motivati da ideali che in ogni caso sottendono interessi particolari, e sono interpretati da personaggi grandi oppure meschini, con prevalenza di questi ultimi. Tuttavia nell’insieme il processo storico è dominato, prescindendo dalla volontà dei singoli attori, dalla dialettica caso-necessità, le cui leggi valgono per l’intero universo fisico così come per ogni aspetto della storia umana.
(*) Il fratello dell'imperatore Guglielmo II, Enrico di Prussia, ebbe tre figli, tra i quali Valdemaro ed Enrico, i quali, come il cugino di primo grado, lo zarevic Aleksej Nikolaevič, lo zio, il principe Federico d’Assia e del Reno, soffrivano di emofilia. Singolare il caso del principe Valdemaro. Morì in una clinica a Tutzing, in Baviera, a causa della mancanza di attrezzature per effettuare trasfusioni di sangue. Lui e la moglie fuggirono da casa in vista dell’avanzata russa ed arrivarono a Tutzing, dove Valdemaro riuscì a ricevere la sua ultima trasfusione. L’esercito americano invase l’area il giorno seguente, il 1º maggio 1945, e confiscò tutte le risorse mediche per curare le vittime dei campi di concentramento, impedendo al dottore tedesco di Valdemaro di salvarlo. Il principe morì il giorno seguente.
(*) Il fratello dell'imperatore Guglielmo II, Enrico di Prussia, ebbe tre figli, tra i quali Valdemaro ed Enrico, i quali, come il cugino di primo grado, lo zarevic Aleksej Nikolaevič, lo zio, il principe Federico d’Assia e del Reno, soffrivano di emofilia. Singolare il caso del principe Valdemaro. Morì in una clinica a Tutzing, in Baviera, a causa della mancanza di attrezzature per effettuare trasfusioni di sangue. Lui e la moglie fuggirono da casa in vista dell’avanzata russa ed arrivarono a Tutzing, dove Valdemaro riuscì a ricevere la sua ultima trasfusione. L’esercito americano invase l’area il giorno seguente, il 1º maggio 1945, e confiscò tutte le risorse mediche per curare le vittime dei campi di concentramento, impedendo al dottore tedesco di Valdemaro di salvarlo. Il principe morì il giorno seguente.
(**) Lo ione di cianuro ha un’affinità elevatissima nei confronti della ferricitocromo-ossidasi, per cui inibendo questo enzima viene impedito alle cellule di sintetizzare l’adenosina trifosfato, vale a dire, in breve, l’energia, glucosio+ossigeno, di cui hanno bisogno le cellule per continuare a “respirare”. Per contro, se il cianuro è stato a contatto con l’aria per un lungo periodo, l’anidride carbonica atmosferica reagendo con l’umidità forma un acido debole, l’acido carbonico, che liberando nell’aria l’acido cianidrico (un gas) forma l’innocuo bicarbonato di potassio.
Interessante. GS
RispondiElimina...gentilissima, sempre grazie :-)
RispondiEliminamaurix
a te
EliminaPare che pure l'universo sia frutto di un caso statistico.
RispondiEliminaPietro