Sto aspettando che la bandiera della rivolta nera garrisca sulla cupola del Campidoglio a Washington.
Solo il possibile può diventare realtà, quante volte devo ripetere una simile ovvietà? Nel novero delle attuali possibilità non rientra l’effettiva emancipazione collettiva degli afro-americani. Ciò potrà avvenire solo nell’ambito di un’emancipazione generale della società e dunque con la transizione ad un sistema economico, sociale e statuale su basi diverse da quello odierno. Non è cosa di dopodomani.
Le rivolte dei neri americani, pur sacrosante, potranno rosicchiare ancora qualche concessione più formale che sostanziale sui cosiddetti diritti civili, cosa non disprezzabile, ma, come ho scritto sabato scorso, tali concessioni non potranno esuberare i rapporti sociali borghesi, ossia andare oltre una legalità che tollera le mille violenze quotidiane che ovunque una società di classe giudica necessarie per mantenere il proprio dominio.
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I pochi rimasti tra i viventi che hanno letto Il dottor Živago, il corposo romanzo di Borìs Pasternak, credo ricordino nitido il racconto drammatico della carica dei dragoni a danno di pacifici manifestanti. Ad ogni modo, chi non avesse letto il libro può rifarsi al film omonimo ove il concitato episodio della carica di cavalleria è reso in modo spettacolarmente efficace.
Nella realtà storica la scena si riferisce a ciò che successe dopo il 17 ottobre 1905, quando fu pubblicato il cosiddetto Manifesto col quale lo zar accordava la costituzione, cioè in un’asciutta giornata di gelo di novembre, quando fu indetta a Pietroburgo una grande manifestazione, dalla Barriera Tver’ a via Kalùžskaja. Non fu quella la prima carica repressiva e nemmeno la più cruenta e drammatica di quel fatidico 1905.
All’inizio di quello stesso anno, precisamente il 19 di gennaio, secondo il nostro calendario, ossia il 6 del giuliano, si celebrò nella capitale russa, come ogni anno, la festa della benedizione dell’acqua, alla quale partecipò con particolare pompa la corte zarista, sul ghiaccio della Neva e sotto una tenda appositamente predisposta. Tradizionalmente venivano sparate delle salve di cannone. Improvvisamente la tenda fu colpita da proiettili a mitraglia. Non fu mai chiarito come si fosse potuto sparare a quel modo.
Bisogna ricordare che in Russia negli ultimi decenni del XIX gli ambienti più tranquilli e riformisti avevano avanzato richieste in favore di riforme costituzionali e amministrative, ma invano. Per contro, date le resistenze al cambiamento da parte dell’autocrazia zarista, s’erano susseguiti attentati che avevano portato all’assassinio di uno zar, di diversi ministri e di vari importanti personaggi.
Tre giorni dopo l’accennata Epifania, una domenica, una numerosa manifestazione guidata dal pope Gapon, con croce ortodossa in una mano e un ritratto dello zar nell’altra, voleva raggiungere il palazzo d’inverno per presentare al monarca una petizione degli operai del gruppo aziendale Putilov: si trattava di quei diritti sindacali e civili fondamentali che nelle democrazie occidentali s’erano più o meno ottenuti da un pezzo: libertà di parola, garanzia del diritto di riunione, di sicurezza personale, rappresentanza popolare, parità di diritti davanti alla legge, imposte progressive, istruzione obbligatoria a spese dello Stato, riduzione dell’orario di lavoro, salario minimo, diritto di sciopero e altre misure di tutela dei lavoratori.
Gli industriali di Pietroburgo furono concordi nel respingere le richieste dei lavoratori e il ministro delle Finanze indirizzò una nota al ministro degli Interni, definendo estremamente pericolosa la situazione, e un’altra allo zar, nella quale giudicava necessario utilizzare la forza per porre fine allo sciopero. A tale scopo furono radunati nella capitale numerosi reparti di truppe, artiglieria compresa.
Un reggimento della Guardia imperiale, aprendo il fuoco, impedì ai dimostranti pacifici e disarmati guidati da Gapon di giungere sino al palazzo d’inverno. Vi furono varie migliaia di morti. Quell’episodio fu ricordato come la “domenica di sangue”. Tra gli arrestati vi fu anche Massimo Gorkij. Quarantottore dopo fu proclamata a Pietroburgo la dittatura militare, a capo della quale fu posto il generale Dmitri Feodorovich Trepov.
Chi era davvero Trepov, quali le sue origini e il significato del suo nome? Che cosa successe nella reggia di Peterhof, la sera stessa in cui fu assassinato il granduca Sergio, cognato dello zar Nicola II? A quale gioco si accinse, dopo cena e su un divano lo zar con l’altro suo cognato, il granduca Aleksandr Michajlovič Romanov? Una cosa da non credere se non ci fosse stata raccontata a suo tempo, expresiss verbis, da un ospite di riguardo di quella serata, vale a dire dal principe Federico Leopoldo di Prussia, fratello del re di Prussia e imperatore di Germania, Guglielmo II. Si può scandagliare Internet ma non si troverà nulla al riguardo. Tutto ciò a un prossimo post.
Non sono solo rivolte di neri americani.
RispondiEliminaAnzi.
Vivace campagna elettorale
EliminaIl finale più ricco di interrogativi che abbia mai visto ... O ci sono delle tracce da seguire? GS
RispondiEliminaBasta aspettare
Eliminadomani arriva un post ricco di esclamativi
EliminaIl granduca Sergio non era il cognato delo zar Nicola II: ne era lo zio (fratello minore di suo padre Alessandro III). Il granduca Alessandro Michajlovich invece era proprio il cognato (avendone sposato la sorella Ksenija) di Nicola II, nonché cugino di secondo grado.
RispondiEliminabravo, era anche lo zio, ma anche il cognato avendo sposato Elizaveta, sorella maggiore di Aleksandra Fëdorovna, moglie di nicola II e ultima imperatrice di Russia. eh, le genealogia son cosa complicata.
Eliminagrazie e bravo ancora