Le classi politiche di ogni dove sono in crisi. È una crisi che riguarda il personale politico, le idee e le strategie, le forme della rappresentanza. Lo stacco netto con le leadership del secondo dopoguerra è evidente, il confronto impietoso. Persino in paesi come l’Italia dove la classe politica di governo non ha mai brillato per chiarezza degli obiettivi generali, salvo quello della conservazione del proprio potere.
Eppure le linee guida di una buona politica sono semplici da indicare, molto meno da seguire: implementare le migliori tecnologie, diminuire i costi ed espandere il mercato, abbassare le spese generali dello Stato. Anche se queste linee guida fossero state davvero perseguite nel nostro paese, come anche in altri, non si è tenuto abbastanza conto delle disuguaglianze sociali che si andavano approfondendo e dei paradossi che accompagnavano gli indubbi progressi.
Insomma, sarà banale ribadirlo ma le cause della crisi sono ben più profonde. L’enorme progresso tecnologico, l’apoteosi elettronica degli ultimi trent’anni, non solo non ha sciolto le contraddizioni sociali e culturali alla base del capitalismo, ma le ha aggravate e le sta esasperando sempre di più. Gli aspetti più rimarchevoli sono la disoccupazione di massa e la promozione del cretinismo, sia generale che di selezione.
Per il resto abbiamo ben chiare le ambizioni unilaterali del grande capitale e i suoi rapporti con la politica. Nonostante l’enorme produzione legislativa abbiamo raggiunto il punto più basso della regolamentazione economica, le strutture societarie hanno labirinti degni di Minosse, le multinazionali evadono come meglio è consentito fare, e per loro natura non hanno alcun interesse di natura generale e sono favorevoli all’anomia.
Da molto tempo è noto che il capitalismo sa produrre tante cose, anche inutili e di fantasia, ma lasciato a se stesso non sa distribuirle. Tuttavia, se c’è chi pensa, e sono tanti, che sia sufficiente ridistribuire meglio attraverso la fiscalità, vuol dire che non conosce il capitalismo da vicino, tanto più in questa fase storica.
Le economie di scala hanno raggiunto il loro limite, i prezzi delle materie prime sono in calo o in caduta libera, surplus ovunque, le scappatoie fiscali, il denaro a basso costo e gli escamotage monetari hanno il fiato corto (la stampa di biglietti di carta colorata diventerà ingestibile). Avremo crollo dei corsi azionari e obbligazionari, strette sui crediti (il debito privato sta scoppiando ovunque), caduta del potere d’acquisto, erosione dei risparmi, ansia e panico.
Sarà colpa del virus, ma questo lasciamolo dire a giornalisti, economisti, psicologi e rotariani (il rimedio, c’è da scommetterci, sarà quello di far lievitare i prezzi interni). Che non è più tempo di radiose statistiche, l’avevamo capito da un pezzo. Tutto ciò era già ben presente prima, poiché nei suoi elementi sostanziali non è una crisi nuova, e antiche sono le leggi su cui muove il capitalismo nel suo procedere.
Non si può pensare di promuovere un’alternativa politico-economica sulla base delle logore ricette del liberismo e della sua rigida devozione agli interessi privatistici, o del vecchio riformismo (men che meno ipotizzare qualcosa con gli slogan della terza o quarta internazionale), e però ci si dovrà inventare qualcosa se non si vuol finire di farsi molto male. Com’è già successo in passato, mi pare.
"Gli aspetti più rimarchevoli sono la disoccupazione di massa e la promozione del cretinismo, sia generale che di selezione." Complimenti per l'osservazione.
RispondiElimina