Se si pensa che a essere in crisi, in Europa e
nell’Occidente in genere, siano solo i sedicenti partiti di sinistra variamente
denominati, si sbaglia di grosso. La crisi riguarda tutto il sistema della
rappresentanza politica, ed è normale e consueto che in simili frangenti ad
approfittarne sia la destra più autoritaria.
Citavo, l’8 di aprile, una frase di Brecht che un
tempo fu celebre (assieme a tante altre cose dimenticate), e cioè: “Compagni,
ricordiamoci dei rapporti di produzione”. Ora i compagni non esistono più, ma i
rapporti di produzione si fanno valere ancora, piaccia o no.
E proseguivo coì: “È lo sviluppo reale del
capitalismo che ha dato al riformismo un’espressione teoricamente senza
scrupoli, è la dinamica delle contraddizioni reali, specialmente il contrasto
fra la crescente ricchezza dei pochi e il crescente pauperismo delle classi
medie, che condanna il riformismo alla sconfitta”.
Nemo profeta in patria, si sa anche questo. Il
capitalismo, osservava quasi due secoli or sono il giovane Marx, appropiandosi
di tutti gli aspetti innovati, è proiettato per sua natura, per necessità, a realizzare un’incessante
trasformazione del suo mondo. Una necessità che ha i suoi presupposti nel
processo economico, nel sistema produttivo-riproduttivo, di accumulazione,
nelle nuove condizioni tecnologiche, e dunque nei fattori inerenti le classi
sociali e il sistema politico.
Storicamente la borghesia è la prima classe dominante
costretta al cambiamento tecnologico.
Si tratta di un processo rivoluzionario permanente (questo sì), non nel modo di produzione, bensì nelle forme nelle quali si realizza il risparmio
di forza-lavoro (non semplicemente di “lavoro”, asini), e di estorsione di
pluslavoro (non immediatamente di “valore aggiunto”, bestie).
In Italia la classe politica (?) e dirigente (??) non
trova la convergenza d’interessi che altresì sarebbe necessaria per poter
decidere per tempo quando, come e cosa cambiare. Se gli altri competitori si
dimostrano più pronti nel gioco del cambiamento, il risultato è lo svantaggio
di dover rincorrere con sempre maggior affanno. La rotta del cambiamento è segnata,
e in questo gioco il capitalismo non scherza.