Quando leggo frasi del tipo: “l’insormontabilità dei problemi generati dalla globalizzazione”,
mi si “aggrovigliano le budella” (cit.). Il termine globalizzazione è di uso
comune e semplifica la comprensione, perciò non ne voglio fare una questione
puerilmente terminologica. Tuttavia rilevo quanto sia fuorviante far derivare le
contraddizioni del capitalismo dalla globalizzazione, anteponendo il fenomeno
alle sue cause.
La globalizzazione è lo sbocco imperialistico del capitalismo,
il tratto più caratteristico delle sue dinamiche accumulative ed espansive, e risponde a leggi immanenti e necessarie. Se vogliamo qualificare l'epoca in cui viviamo bisogna
parlare delle contraddizioni nella fase
della crisi storica del capitalismo.
*
L’imperialismo, nella sua
fase “eroica”, è descritto in prospettiva storica già da Marx in quel libello
noto come Manifesto del partito comunista,
redatto nel 1847 e pubblicato all’inizio dell’anno dopo. Ne riporto qualche scampolo soprattutto
a beneficio di chi ne avesse solo sentito parlare:
«La scoperta
dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla sorgente borghesia
un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la
colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie, l'aumento dei mezzi di
scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione,
all'industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un
rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario entro la società feudale in
disgregazione.
L'esercizio
dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al
fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la
manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la
divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla
divisione del lavoro nella singola officina stessa.
Ma i mercati
crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più
sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione
industriale. All'industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna;
al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi di
interi eserciti industriali, i borghesi moderni.
La grande
industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla
scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al
commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per via di terra. Questo
sviluppo ha reagito a sua volta sull'espansione dell'industria, e nella stessa
misura in cui si estendevano industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è
sviluppata la borghesia, ha accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel
retroscena tutte le classi tramandate dal medioevo.
E ancora:
La borghesia
non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione,
i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di
esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato
mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento
della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali,
l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra
tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e
irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e
tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si
volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni
cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio
disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.
Il bisogno
di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a
percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto
deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.
Con lo
sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta
cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto
i piedi dell'industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei
reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora
adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove,
la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni
civili, da industrie che non lavorano più soltanto le materie prime del luogo,
ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo dal paese
stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti
con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti
esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. All'antica
autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio
universale, una interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la
produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti intellettuali
delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la ristrettezza
nazionali divengono sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali
e locali si forma una letteratura mondiale.
Con il
rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni
infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni,
anche le più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante
con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla
capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni
ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in
rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a
diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e
somiglianza.
Marx scriveva questo excursus 171 anni or sono, non ancora trentenne, in un libello divulgativo, ben
prima di affrontare nelle sue opere propriamente scientifiche la critica
dell’economia borghese e l’analisi del capitalismo. Appena dopo i brani qui
proposti, Marx scrive altre cosucce, per esempio:
«Abbiamo
visto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si era venuta
costituendo la borghesia erano stati prodotti entro la società feudale. A un
certo grado dello sviluppo di quei mezzi di produzione e di scambio, le
condizioni nelle quali la società feudale produceva e scambiava,
l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i
rapporti feudali della proprietà, non corrisposero più alle forze produttive ormai
sviluppate. Essi inceppavano la produzione invece di promuoverla. Si
trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate e furono
spezzate.
Ad esse
subentrò la libera concorrenza con la confacente costituzione sociale e
politica, con il dominio economico e politico della classe dei borghesi.
Sotto i
nostri occhi si svolge un moto analogo. I rapporti borghesi di produzione e di
scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna che ha
creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia
al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate.»
Tutto ciò agli apologeti della borghesia non
interessa, importa falsare e deformare Marx con una sicurezza e scaltrezza che rinvia
a concreti interessi di classe. I più sofisticati tra loro ma anche i più ridicoli si presentano addirittura come riscopritori (sic!) di Marx.
Altri “specialisti” pubblicano con grande risonanza
mediatica dei volumi poderosi alludendo al Capitale
ammettendo però candidamente di averlo solo sfogliato e poi messo da parte! Che
si ometta il dovere di leggere di prima mano la produzione scientifica che si
vuole criticare non suscita scandalo da parte di alcuno!
Quindi una schiera più ampia di cinguettanti,
preso atto non già delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico,
ma dei fenomeni sociali, politici, commerciali e finanziari in superficie,
continuano a scribacchiare di “insormontabilità dei problemi generati dalla
globalizzazione”.
Il tema deve essere affrontato da un altro punto di vista, e cioè da quello della trasformazione rivoluzionaria della società, questione posta davanti a noi dallo
sviluppo del capitalismo e dalle sue insopportabili esigenze e conseguenze. Altrimenti all’umanità non è riservato un futuro
troppo vago, ed esso sta, giorno dopo giorno, nel rafforzamento delle forme aperte o subdole di
schiavitù, di marginalità, di divaricazione tra chi ha e può tutto e chi invece arretra, con il sempre più alto rischio di un conflitto bellico internazionale che non potrà essere
circoscritto nei suoi catastrofici effetti.
ORIGINE E CONTINUAZIONE DELLO SFRUTTAMENTO: CON LE ARMI E CON LE MERCI.
RispondiEliminaESPLORAZIONE-COLONIZZAZIONE-GLOBALIZZAZIONE: DALLE PERLINE AI CELLULARI.
MARAVIGLIARE, STUPIRE, OTTUNDERE.
chi frequenta questo blog legge anche la minuscola carolina. grazie
Eliminagrazie, farollo.
RispondiEliminaAnni fa, in vacanza nelle Marche, conobbi un simpatico funzionario della comunità europea. Lavorava a Bruxelles, settore affari economici. Ci scambiammo opinioni proprio su questi argomenti.
RispondiEliminaAccogliendo le mie osservazioni,certo non esposte nel tuo modo magistrale ed efficace, ma il succo era il medesimo che ora leggo nel post, mi rispose: "Che vuoi che ti dica, è stato necessario 'riscrivere' buona parte della storia della economia, per cancellare il più possibile le tracce del pensiero di Marx".
Grazie per questo ricordo che mi hai suscitato, e soprattutto per tenere accesa questa fiammella di conoscenza che, non ho dubbi, altri in futuro ravviveranno adeguatamente. Necessariamente, aggiungo.
grazie per l'attenzione e la cortesia
Eliminanon hanno dovuto lavorare molto a Bruxelles e altrove per "cancellare" Marx, il grosso del lavoro l'ha fatto la sinistra
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