mercoledì 4 aprile 2018

La questione posta davanti a noi


Quando leggo frasi del tipo: “l’insormontabilità dei problemi generati dalla globalizzazione”, mi si “aggrovigliano le budella” (cit.). Il termine globalizzazione è di uso comune e semplifica la comprensione, perciò non ne voglio fare una questione puerilmente terminologica. Tuttavia rilevo quanto sia fuorviante far derivare le contraddizioni del capitalismo dalla globalizzazione, anteponendo il fenomeno alle sue cause.

La globalizzazione è lo sbocco imperialistico del capitalismo, il tratto più caratteristico delle sue dinamiche accumulative ed espansive, e risponde a leggi immanenti e necessarie. Se vogliamo qualificare l'epoca in cui viviamo bisogna parlare delle contraddizioni nella fase della crisi storica del capitalismo.


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L’imperialismo, nella sua fase “eroica”, è descritto in prospettiva storica già da Marx in quel libello noto come Manifesto del partito comunista, redatto nel 1847 e pubblicato all’inizio dell’anno dopo. Ne riporto qualche scampolo soprattutto a beneficio di chi ne avesse solo sentito parlare:

«La scoperta dell'America, la circumnavigazione dell'Africa crearono alla sorgente borghesia un nuovo terreno. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell'America, gli scambi con le colonie, l'aumento dei mezzi di scambio e delle merci in genere diedero al commercio, alla navigazione, all'industria uno slancio fino allora mai conosciuto, e con ciò impressero un rapido sviluppo all'elemento rivoluzionario entro la società feudale in disgregazione.

L'esercizio dell'industria, feudale o corporativo, in uso fino allora non bastava più al fabbisogno che aumentava con i nuovi mercati. Al suo posto subentrò la manifattura. Il medio ceto industriale soppiantò i maestri artigiani; la divisione del lavoro fra le diverse corporazioni scomparve davanti alla divisione del lavoro nella singola officina stessa.

Ma i mercati crescevano sempre, il fabbisogno saliva sempre. Neppure la manifattura era più sufficiente. Allora il vapore e le macchine rivoluzionarono la produzione industriale. All'industria manifatturiera subentrò la grande industria moderna; al ceto medio industriale subentrarono i milionari dell'industria, i capi di interi eserciti industriali, i borghesi moderni.

La grande industria ha creato quel mercato mondiale, ch'era stato preparato dalla scoperta dell'America. Il mercato mondiale ha dato uno sviluppo immenso al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni per via di terra. Questo sviluppo ha reagito a sua volta sull'espansione dell'industria, e nella stessa misura in cui si estendevano industria, commercio, navigazione, ferrovie, si è sviluppata la borghesia, ha accresciuto i suoi capitali e ha respinto nel retroscena tutte le classi tramandate dal medioevo.

E ancora:

La borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione, i rapporti di produzione, dunque tutti i rapporti sociali. Prima condizione di esistenza di tutte le classi industriali precedenti era invece l'immutato mantenimento del vecchio sistema di produzione. Il continuo rivoluzionamento della produzione, l'ininterrotto scuotimento di tutte le situazioni sociali, l'incertezza e il movimento eterni contraddistinguono l'epoca dei borghesi fra tutte le epoche precedenti. Si dissolvono tutti i rapporti stabili e irrigiditi, con il loro seguito di idee e di concetti antichi e venerandi, e tutte le idee e i concetti nuovi invecchiano prima di potersi fissare. Si volatilizza tutto ciò che vi era di corporativo e di stabile, è profanata ogni cosa sacra, e gli uomini sono finalmente costretti a guardare con occhio disincantato la propria posizione e i propri reciproci rapporti.

Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni.

Con lo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha dato un'impronta cosmopolitica alla produzione e al consumo di tutti i paesi. Ha tolto di sotto i piedi dell'industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono state distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano più soltanto le materie prime del luogo, ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo dal paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. All'antica autosufficienza e all'antico isolamento locali e nazionali subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni. E come per la produzione materiale, così per quella intellettuale. I prodotti intellettuali delle singole nazioni divengono bene comune. L'unilateralità e la ristrettezza nazionali divengono sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali si forma una letteratura mondiale.

Con il rapido miglioramento di tutti gli strumenti di produzione, con le comunicazioni infinitamente agevolate, la borghesia trascina nella civiltà tutte le nazioni, anche le più barbare. I bassi prezzi delle sue merci sono l'artiglieria pesante con la quale spiana tutte le muraglie cinesi, con la quale costringe alla capitolazione la più tenace xenofobia dei barbari. Costringe tutte le nazioni ad adottare il sistema di produzione della borghesia, se non vogliono andare in rovina, le costringe ad introdurre in casa loro la cosiddetta civiltà, cioè a diventare borghesi. In una parola: essa si crea un mondo a propria immagine e somiglianza.

Marx scriveva questo excursus 171 anni or sono, non ancora trentenne, in un libello divulgativo, ben prima di affrontare nelle sue opere propriamente scientifiche la critica dell’economia borghese e l’analisi del capitalismo. Appena dopo i brani qui proposti, Marx scrive altre cosucce, per esempio:

«Abbiamo visto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui base si era venuta costituendo la borghesia erano stati prodotti entro la società feudale. A un certo grado dello sviluppo di quei mezzi di produzione e di scambio, le condizioni nelle quali la società feudale produceva e scambiava, l'organizzazione feudale dell'agricoltura e della manifattura, in una parola i rapporti feudali della proprietà, non corrisposero più alle forze produttive ormai sviluppate. Essi inceppavano la produzione invece di promuoverla. Si trasformarono in altrettante catene. Dovevano essere spezzate e furono spezzate.

Ad esse subentrò la libera concorrenza con la confacente costituzione sociale e politica, con il dominio economico e politico della classe dei borghesi.

Sotto i nostri occhi si svolge un moto analogo. I rapporti borghesi di produzione e di scambio, i rapporti borghesi di proprietà, la società borghese moderna che ha creato per incanto mezzi di produzione e di scambio così potenti, rassomiglia al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate.»

Tutto ciò agli apologeti della borghesia non interessa, importa falsare e deformare Marx con una sicurezza e scaltrezza che rinvia a concreti interessi di classe. I più sofisticati tra loro ma anche i più ridicoli si presentano addirittura come riscopritori (sic!) di Marx.

Altri “specialisti” pubblicano con grande risonanza mediatica dei volumi poderosi alludendo al Capitale ammettendo però candidamente di averlo solo sfogliato e poi messo da parte! Che si ometta il dovere di leggere di prima mano la produzione scientifica che si vuole criticare non suscita scandalo da parte di alcuno!

Quindi una schiera più ampia di cinguettanti, preso atto non già delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico, ma dei fenomeni sociali, politici, commerciali e finanziari in superficie, continuano a scribacchiare di “insormontabilità dei problemi generati dalla globalizzazione”.

Il tema deve essere affrontato da un altro punto di vista, e cioè da quello della trasformazione rivoluzionaria della società, questione posta davanti a noi dallo sviluppo del capitalismo e dalle sue insopportabili esigenze e conseguenze. Altrimenti all’umanità non è riservato un futuro troppo vago, ed esso sta, giorno dopo giorno, nel rafforzamento delle forme aperte o subdole di schiavitù, di marginalità, di divaricazione tra chi ha e può tutto e chi invece arretra, con il sempre più alto rischio di un conflitto bellico internazionale che non potrà essere circoscritto nei suoi catastrofici effetti.

6 commenti:

  1. ORIGINE E CONTINUAZIONE DELLO SFRUTTAMENTO: CON LE ARMI E CON LE MERCI.
    ESPLORAZIONE-COLONIZZAZIONE-GLOBALIZZAZIONE: DALLE PERLINE AI CELLULARI.
    MARAVIGLIARE, STUPIRE, OTTUNDERE.

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    1. chi frequenta questo blog legge anche la minuscola carolina. grazie

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  2. Anni fa, in vacanza nelle Marche, conobbi un simpatico funzionario della comunità europea. Lavorava a Bruxelles, settore affari economici. Ci scambiammo opinioni proprio su questi argomenti.
    Accogliendo le mie osservazioni,certo non esposte nel tuo modo magistrale ed efficace, ma il succo era il medesimo che ora leggo nel post, mi rispose: "Che vuoi che ti dica, è stato necessario 'riscrivere' buona parte della storia della economia, per cancellare il più possibile le tracce del pensiero di Marx".
    Grazie per questo ricordo che mi hai suscitato, e soprattutto per tenere accesa questa fiammella di conoscenza che, non ho dubbi, altri in futuro ravviveranno adeguatamente. Necessariamente, aggiungo.

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    1. grazie per l'attenzione e la cortesia

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    2. non hanno dovuto lavorare molto a Bruxelles e altrove per "cancellare" Marx, il grosso del lavoro l'ha fatto la sinistra

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