Luca
mi ha segnalato un articolo, chiedendomi di commentarlo, che compare su Internazionale di questo mese, a firma
di Francesca Borri. Riporta, in virgolettato, il pensiero, la rabbia e le
motivazioni di alcuni giovani arabi e nordafricani. L’ampio stralcio che
riporto di seguito è la voce di Bilal, 31 anni, ingegnere di Tunisi che fa la
guida turistica.
“Ho creduto nella rivoluzione. Ma è
stato tutto inutile. Dite che la Tunisia è stabile, ma è immobile. Nel resto
del mondo a vent’anni sei pieno di energie, di progetti. Avviare un’impresa,
iscriverti a un dottorato. Cambiare città. O anche solo un viaggio, una
vacanza. L’auto nuova. Ma io? Io la vita la vedo solo attraverso voi turisti.
Mentre vi spiego Annibale, Cartagine, mentre guardate i mosaici: e vi guardo,
intanto, guardo le vostre camicie dal taglio perfetto, le borse di cuoio,
l’iPhone, e questa pelle liscia, sì, senza rughe, tracce di terra, le dita di
chi non deve guadagnarsi il pane con il sudore, vi guardo, e immagino questa
vita che non potrò mai avere, quello che per voi è normale, i figli, l’ufficio,
la partita di calcetto. Vi guardo e vi odio. Abbiamo sbagliato, abbiamo pensato
che il nemico fossero i vari Ben Ali: e invece avevamo contro tutto il mondo,
perché quando 62 miliardari possiedono la stessa ricchezza di metà della
popolazione del pianeta, quando un intero paese come la Grecia fa la fame, ed è
la Grecia, non è la Somalia, è l’Europa, allora non è il problema di Ben Ali e
dei conti svizzeri di sua moglie: è che tutti voi dovete rinunciare a qualcosa.
Se io non ho niente, è perché tu hai tutto. Ma non l’avevamo capito. Non
avevamo capito che la battaglia non si poteva vincere solo in Tunisia, perché
non riguardava solo la Tunisia. Che non era solo questione di cambiare un
governo, di rovesciare un regime. Perché siamo poveri, secondo te? Perché siamo
analfabeti? Se siamo poveri, è prima di tutto a causa dell’Unione europea. Fate
i paladini del libero mercato: poi versate sussidi ai vostri agricoltori e
vietate le importazioni in Africa, mentre i vostri agricoltori esportano qui a
prezzi più bassi dei nostri. Il libero commercio è la vostra libertà di
produrre e vendere, e la nostra di comprare e indebitarci. Invece di studiare
l’islam, vai a vedere cosa fanno il Fondo monetario internazionale, le
multinazionali. Invece di pensare a Raqqa, pensa a Bruxelles. Abbiamo fallito
non perché abbiamo osato troppo, ma perché abbiamo osato troppo poco”.
Afferma
ancora:
«osservami bene: io non ho che una
copia di quello che hai tu. I jeans, il giubbotto di pelle… E invece è tutto
finto. Non è pelle, è plastica. Sembriamo simili, ma io torno a casa stasera, a
un’ora da qui, in un posto che non è la Tunisia che conosci tu, non è la
Tunisia della Lonely Planet, è una fogna dove non ho l’elettricità, non ho
l’acqua calda, ho solo un materasso per terra e delle coperte. Non ho neanche
un lavoro, in realtà, è finto anche questo, e non solo perché sono un ingegnere
e qui faccio la guida per i turisti, ma perché con quello che guadagno mi pago
a stento i mezzi per venire qui, come mi pago una casa? Io torno a casa, la
sera, e mi sento uno zero. Ho 31 anni, una laurea, e devo ancora chiedere a mio
padre gli spiccioli per le sigarette».
In
quale rivoluzione ha creduto Bilal ? Quella del 2012 che ha dato fuoco al mausoleo
di Sidi Bou Said? Non si trattò di una rivoluzione, bensì di una protesta
presto rientrata condotta da elementi delle componenti sociali più eterogenee.
Bilal
afferma di essere laureato in ingegneria, di fare la guida turistica, ma di
vivere in un posto che è una fogna, dove non c’è l’elettricità, l’acqua calda,
ha solo un materasso per terra e delle coperte, di dover ancora chiedere a suo
padre gli spiccioli per le sigarette (capisco che è un modo di dire, comunque
smetta di fumare che risparmia e guadagna in salute). Mi chiedo dopotutto con
quali mezzi economici ha potuto conseguire una laurea in ingegneria. Il suo
cruccio maggiore sembra quello di non avere un giubbotto di pelle vera e dei
jeans di marca. Per taluni aspetti Bilal è un personaggio verosimile, non per
altri.
Il
quadro della situazione di miseria e disperazione offerto dalle parole di Bilal
è assolutamente autentico, in generale, così com’è reale e motivata la rabbia e
il rancore dei tunisini poveri, non meno di quella dei poveri dei ghetti americani,
eccetera. Causa della sua miseria, del sottosviluppo del proprio paese, dice, è
il Fondo monetario internazionale, l’Europa, insomma l’Occidente che sfrutta
lavoro e risorse dei paesi poveri. Perciò, dichiara, “non è solo questione di
cambiare un governo, di rovesciare un regime”.
Conosciamo
bene quali siano le responsabilità dell’Occidente, ma quale povertà di
pensiero, mancanza di ampia prospettiva in questo ingegnere quando afferma che
le cause della miseria in cui vive non vanno cercate dapprima
nell’establishment tunisino, nella società di classe tunisina. Chi sono i
responsabili dell’assenza d’infrastrutture, di opere primarie quali le fogne e
dell’elettricità? I contadini europei, come dichiara apertis verbis Bilal?
Ebbene la commissione commercio internazionale del Parlamento europeo ad inizio anno
ha approvato il progetto di importazione, senza dazi doganali, di circa 35mila
tonnellate di olio di oliva tunisino per i prossimi due anni, che si andranno
ad aggiungere alle circa 57mila tonnellate già presente nel nostro continente?
È positivo per i produttori tunisini, Bilal, non certo per quelli italiani. Che
facciamo, mitragliamo quando vengono come turisti in Tunisia?
Nelle
parole di Bilal non c’è alcuna vera analisi politica né della società tunisina
né del fenomeno della mondializzazione, salvo nel dire le solite cose sull’Occidente ingiusto e cattivo, che sfrutta lavoro e risorse dei paesi poveri.
Non
che non ci sia, ripeto, del vero in queste affermazioni pur generiche di Bilal,
soprattutto in questa: “Abbiamo fallito
non perché abbiamo osato troppo, ma perché abbiamo osato troppo poco”. E
sarebbero apprezzabili anche queste parole:
“Io non voglio diventare come te, non voglio fare una rivoluzione per diventare
uno che per conservare i suoi privilegi, per comprarsi l’iPhone nuovo ogni sei
mesi, è disposto ad affamare il resto del mondo. Perché questa è la tua
società, questa è la tua cultura, mica Kant e Rousseau”.
Bravo,
Bilal, non c’entra Rousseau, nessuno dei partecipanti all’incontro annuale a
Davos l’ha letto, stai sicuro. Le tue parole Bilal potrebbero essere
sottoscritte, se non fossero state precedute da quest’altre: “guardo le vostre camicie dal taglio
perfetto, le borse di cuoio, l’iPhone, e questa pelle liscia”, per giungere
poi alla conclusione che: “Grazie all’11
settembre, siamo tornati a esistere”.
Non
grazie a Kant e a Rousseau, non grazie a Ibn Khaldūn o a Omar Khayyam, bensì grazie
ad al-Baghdadi, al mitragliamento di turisti nei musei e ragazzi nelle
discoteche, grazie a ciò Bilal è tornato ad esistere e s’illude nel riscatto
suo e di quelli come lui.
Un ingegnere che cita Kant e Rousseau e certamente una persona colta. E com'è che non abbia punte difese critiche per rigettare un'ideologia barbara e retrograda? Forse perché il panorama ideologico di rivolta anti sistema è - drammaticamente - monopolizzato dal fanatismo religioso?
RispondiEliminaCerco di abbozzare una risposta che credo possa cogliere qualcosa di vero: pensare che nei paesi del Medio Oriente o dell’Africa la lotta potesse andare oltre la conquista dell’indipendenza nazionale, è stata pura illusione. I pseudo-socialismi ne sono stati un esempio dalle conseguenze drammatiche. Al fondo c’è stata malafede e ignoranza: la storia non fa salti (ancora una volta: si legga Marx di prima mano!). E poi una combinazione di situazioni geopolitiche in cui l’imperialismo (anzi, gli imperialismi) ha dato una grossa mano al disastro. Perciò da quando è stata resa inagibile – sia da tali fallimenti che dall’opposizione delle borghesie nazionali – l’idea di riscatto sociale attraverso la lotta politica, proletari senza alcuna prospettiva e borghesi irrequieti (ed élite furbe) di questi paesi si sono aggrapparti all’unica forma ideologica che da un lato desse un senso comune, soteriologico, alle loro aspettative e dall’altro individuasse un nemico esterno da odiare e combattere. Il primo e più importante episodio è stato quello khomeinista. Da ultimo, l’odierno sedicente califfato che per molti aspetti si rifà alla strategia originaria dell’islam. Perciò è vero che viene vissuta dai suoi agenti come una guerra di religione, ma si tratta in effetti di un tentativo di scimmiottamento fuori tempo massimo di ciò che fu storicamente l’espansionismo islamico.
EliminaIl commento è molto più interessante del post.
EliminaGrazie e buona giornata.
Il problema dell'inagibilità del «riscatto sociale attraverso la lotta politica» è attuale (e quanto mai attuale) anche dalle nostre parti occidentali. O meglio: resterà sopito finché - come hai più volte scritto - per la maggioranza delle persone ci sarà salario a fine mese e un minimo di tenuta del welfare state. Per ora in politica le lotte si fanno in nome dell'onestà. Affari stellari.
EliminaForse è inventato come personaggio, di sicuro troppo istruito per vivere come uno de tanti poveracci analfabeti che popolano il nord Africa, se veramente fosse ingegnere sarebbe già emigrato ed avrebbe posto fisso, è solo uno sfogo finto di chi odia-ama gli occidentali per il loro stile di vita che l'Islam demonizza, solo per il semplice fatto che non sarà mai come loro, anche con camicie taglio perfetto e chiodini di grido, Obama si viene creati, mai si nasce così, mai letto Credevo di essere un'aquila ed ero un pollo?
RispondiEliminaSe l'originale della pagina è in arabo, molto è da attribuire al traduttore, se non si tratta persino di scritto apocrifo da foreign fighter di piccolo calibro con la passione per Armani.
RispondiEliminaPer chi ha modo di conoscere il Vicino Oriente sa perfettamente che il riscatto sociale attraverso la lotta politica non appartiene a quel tipo di cultura e non vi apparterrà ancora per molto tempo. Vedi le vicende di Gamal Nasser.Nell'Islam non esistono le coordinate per una comprensione corretta nè di Kant nè tantomeno di Rousseau(a parte i pochi intellettuali di professione domiciliati o in trasferta nella vecchia Europa).
Con i nostri giovani oltre la grave disoccupazione il parallelo non convince.
Che poi il popolo maghrebino o africano in genere
sia stato ed è depredato dalla loro classe dirigente
di gangsters in combutta con i nostri è cosa nota da decenni(secoli).
Autodeterminazione dei popoli, la 'democràzia' non è esportabile.
RispondiEliminasarebbe molto difficile trovare una lettera più stupida di questa