lunedì 4 luglio 2016

Interessi paralleli: degli sfruttatori e dei loro lacchè


Con i fatti di Dacca, con la notizia che gli assassini apparterrebbero a famiglie benestanti, si è aperta la solita giostra dei parallelismi, innanzitutto e segnatamente con il sempreverde parallelismo dei “figli di papà” delle Brigate Rosse.

A parlare di Brigate Rosse di solito sono gli “esperti”, il cui compito non è semplicemente quello della diffamazione (va da sé), bensì soprattutto quello della falsificazione storica. Sarebbe inutile entrare nel merito della gratuità e strumentalizzazione del parallelismo posto tra Is e Brigate Rosse, tra presunti “figli di papà” brigatisti e islamisti, ma è bene precisare se non altro a favore dei “nuovi venuti”.

La maggior parte dei componenti delle Brigate Rosse proveniva da famiglie proletarie o al massimo dal cosiddetto ceto medio. Certo, erano istruiti, alcuni di loro avevano frequentato l’università, tutti si erano formati nel corso delle lotte di quegli anni una coscienza antagonista e rivoluzionaria. E con ciò? Erano dei comunisti e tanto basta per infangarne il nome e falsificarne la storia.

Vorrei ricordare alcuni di loro, per esempio Fabrizio Pelli, già cameriere e poi militante brigatista, lasciato morire in carcere di leucemia; Margherita Cagol, Mara, la quale non venne “uccisa nel corso di un drammatico scontro a fuoco”, ma, già ferita, fu assassinata a sangue freddo. Di Riccardo “Roberto” Dura parla qui sotto Barbara Balzerani in una lettera scritta in occasione della medesima strumentalizzazione a mezzo stampa dopo i fatti parigini dello scorso novembre. Roberto, preciso per chi avesse perso memoria o fosse nato dopo quei fatti, fu assassinato assieme a: Annamaria Ludmann, già impiegata in una ditta di spedizioni e poi all’Italimpianti, 32 anni; Lorenzo Betassa, operaio, 28 anni; Piero Panciarelli, operaio, 25 anni.

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«In questi ultimi giorni, dopo gli attentati di Parigi, abbiamo dovuto misurare il livello raggiunto dai media, dai commentatori, dai politici, nella gara di mistificazione dello stato di salute delle “relazioni internazionali”. Naturalmente i nostri illustri maître à penser non si sono lasciati scappare l’occasione per sbandierare il parallelo tra l’Isis e le Brigate Rosse, con relativo pannicello caldo dei rimedi democratici già sperimentati negli anni ’70. Tra i tanti spicca un articolo comparso su Il Secolo XIX a firma Marco Peschiera. Qui si passa di livello e l’attenzione si accentra sul fenotipo del terrorista: dal brigatista Dura ad Abaaoud, il terrore fa rima con kalashnikov, recita il titolo dell’articolo.

Ho dovuto aspettare prima di poterlo commentare per non farmi travolgere dalla furia e dalla tentazione di difendere la memoria di Roberto, perché Marco Peschiera non è all’altezza di un nemico e perché Roberto non ha bisogno di essere difeso. La miseria che ha guidato tanta penna è difficilmente raggiungibile, dalla sottolineatura lombrosiana della somiglianza fisica, gli occhi, la barbetta, il sorriso, dei due psicopatici serial killer, fino a informarci di altre strabilianti similitudini: stessa età e stessa ora in cui sono stati ammazzati. Il giornalista ci dice che Riccardo Dura è stato un bambino abbandonato dal padre, cresciuto da una madre con cui aveva un rapporto difficile. Un disadattato cresciuto in una periferia di emarginati. Fino ad incontrare le Brigate Rosse. E’ vero, Roberto non è venuto fuori da una famigliola con la gallina e il mulino bianco, faceva parte di una generazione che ha buttato all’aria convenzioni e istituzioni, come la famiglia, ma ha trovato il modo di ricostruirsene una, facendosi amare dai compagni che l’hanno conosciuto e farsi “adottare” da nonna Caterina, la cui altezza mette ancora più in evidenza l’evidente nanismo del signor Peschiera. E’ vero Roberto non si era adattato, e che difetto sarebbe? Roberto non era un borghese, più o meno piccolo, adattato al sistema più ingiusto nella storia dell’umanità e neanche un emarginato conformato agli ingranaggi dell’esclusione delle nostre periferie. Roberto era un comunista, un rivoluzionario ed era in numerosa compagnia nella sua disaffezione ad adattarsi. Non ancora pago l’articolista ci dice che, nonostante i suoi titoli da killer esperto, non aveva partecipato al sequestro di Aldo Moro perché neanche Mario Moretti, “l’enigmatico capo delle Br ricco di contatti con ambienti massonici e di spionaggio”, si fidava di lui, nonostante l’avesse “usato” anche per i rifornimenti in medio oriente di carichi di armi, soprattutto i famosi Kalashnikov. Armi usate non solo dall’Isis ma soprattutto a via Fani! E qui la professionalità del signor Peschiera raggiunge il culmine, visto che ormai anche i bambini sanno la marca e l’efficienza dei mitra usati quel 16 marzo. Ma non è certo la corrispondenza ai fatti che preoccupa il giornalista. Gli basta il fango per esporre le sue tesi.

Siamo alla fine del racconto. Roberto muore ammazzato insieme agli altri compagni “crivellato di colpi in un covo, in mutande e maglietta” con “tre buchi nella testa”. E’ vero Roberto era in mutande e non solo perché stava dormendo ma anche perché i comunisti come lui, per straordinaria simbologia, non hanno tasche, né conti all’estero. Disadatti al grande affare della politica. A Roberto hanno sparato in testa Sono entrati di notte, mentre dormiva e non con l’intenzione di neutralizzarlo. Come è stato per altri e altre. A quei tempi sarebbe stato strano il contrario. E allora perché non si dice invece di straparlare di sistemi democratici per combatterci? Ma è giusto così, perché con gli strumenti della democrazia un pugno di potenti ha saccheggiato, compiuto assassinii e genocidi, affamato e depredato risorse, scatenato guerre, comprato e corrotto…


Di recente sono andata sulla tomba di Roberto, a Staglieno. Ho carezzato la lapide, la foto, la dedica dei suoi compagni, ho risentito per intero lo stesso dolore. Se ne faccia una ragione signor Peschiera. Per tanti non adatti Roberto è stato un fratello, un compagno fidato, amato, rispettato, mai dimenticato. Si auguri di meritare la stessa fortuna.»

4 commenti:

  1. bravissima Olympe, m'inchino e ti ringrazio.
    franco valdes piccolo proletario di provincia

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  2. Grazie per la condivisione di quella splendida lettera, che non conoscevo.

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  3. bellissimo e verissimo post..........

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