Nella
notte tra oggi e domani, in un’ora incerta, cade il ventinovesimo anniversario
della scomparsa del mio (e non solo mio) più caro amico. Non avevamo quasi
nulla in comune, non l’idea politica, non la fede religiosa, non una
particolare passione per qualcosa. Eppure quella amicizia, nata dal nulla e dal
caso, era quanto mai salda e fraterna. Ci cercavamo, e ci sentivamo bene nelle
ore e nei giorni che trascorrevamo assieme. Si rideva di tutto, magari
amaramente. Ci si prendeva in giro, eccome, mai toccando i sentimenti.
Ho
trascorso molte ore a gironzolare e fotografare vecchie tombe nei cimiteri, ma
sulla sua non ci voglio andare. Non entro in quel cimitero, anche se per anni
ci passavo davanti due volte il giorno. E naturalmente il pensiero correva a
lui. Qualche volta, passando, lo scorgevo, per un attimo, seduto sulla cinta cimiteriale
che fiancheggia la strada, con una gamba penzoloni e l’altra a sorreggergli il
braccio sul quale poggiava la testa. La stessa postura della foto, che
conosco bene.
S’era
innamorato di una giovane ragazza che per qualche anno andò a vivere in
America, e quando tornò lui continuò ad essere infatuato di una persona che non
esisteva se non nel mito che egli si era creato. Ricordo, con un senso di
colpa, quel mattino di capodanno, sulla neve, ad Asiago, quando mi chiese, in
prossimità del suo matrimonio, se fosse opportuno fare quel passo. Per non
ferirlo restai nel vago, e ciò allora mi sembrò sufficientemente eloquente. Come
scuoterlo, come aprirgli gli occhi, come dirgli che quel suo dubbio andava
indagato a fondo? Avrei dovuto mostrare più coraggio.
Disclaimer: i personaggi e i fatti
narrati sono frutto di fantasia.
Tutta la delicatezza del sentire è racchiusa in quel disclaimer
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