mercoledì 20 luglio 2016

Per il futuro bisogna guardare altrove


La crisi generale-storica del capitalismo è un fatto conclamato.
Ciò che lo sostituirà è una pagina del futuro ancora da scrivere.


Fa piacere leggere, in rete, un intervento teorico che non sia la solita zuppa servita dai media sui più scontati e improbabili fatti. Questa lettura mi offre lo spunto per una riflessione sul concetto di “classe” e sulla relativa prefigurazione di una rappresentanza politica:

«Non esiste il partito dei proletari perché non esiste la classe, esiste la realtà sociologica del proletariato così come generata dai processi capitalistici e recepita senza battere ciglio dai subordinati».

Più che recepita, direi che tale realtà viene subita dal proletariato, e non senza battere ciglio, anche se in assenza di barricate.

Già Marx rilevava che “man mano che la produzione capitalistica procede, si sviluppa una classe operaia che per educazione, tradizione, abitudine, riconosce come leggi naturali ovvie le esigenze di quel modo di produzione” (Il Capitale, I, VII, 3).



E questo già chiarisce il motivo soggettivo per cui è assente un partito che rappresenti gli interessi del proletariato. Il motivo oggettivo odierno è altrettanto semplice: l’industria nei paesi a capitalismo maturo non ha più quel ruolo d’assoluta centralità che rivestiva in passato nel sistema economico, mentre si sono dilatate le dimensioni e le propaggini del settore terziario.

È aumentato anche il lavoro cosiddetto autonomo, con la comparsa di nuove sacche di povertà e di precarietà, di emarginazione. Pertanto il proletariato (non solo come classe operaia) è una realtà ampiamente e profondamente frammentata e divisa proprio in forza del processo capitalistico di valorizzazione, effetto della ristrutturazione e sotto l’incalzare della divisione internazionale del lavoro, dei rapporti di scambio e della modificazione della composizione tecnica del capitale sotto l’impulso delle nuove tecnologie.

*

Alla base della divisione in classi sta la legge della divisione del lavoro. Le classi sono delle strutture oggettivamente motivate e determinate dalla base economica e dai rapporti complessivi storico-sociali nei quali gli individui volenti o nolenti si generano e ricadono.

Pertanto, qual è il criterio fondamentale che distingue le classi? È il loro posto nella produzione sociale e di conseguenza il loro rapporto con i mezzi di produzione. I proletari, che riconoscano o no come leggi naturali ovvie le esigenze del modo di produzione capitalistico, e dunque prescindendo dalla coscienza che hanno di sé come soggetti dello sfruttamento, si distinguono nella società capitalistica dal fatto che essi sono privi dei mezzi di produzione e sono costretti a vendere la propria forza-lavoro.

È pacifico e non importa se tale forza-lavoro è impiegata produttivamente per estrarre plusvalore o impiegata nel terziario, ossia in un’occupazione improduttiva di plusvalore. I lavoratori del terziario, pur non facendo parte in senso proprio della classe operaia, sono dei proletari, degli sfruttati. Oltretutto il loro lavoro consente, da un lato, di realizzare il valore delle merci indispensabile al capitalista produttivo, e, dall’altro, di trasferire parte del plusvalore, sotto forma di profitto, al capitalista commerciale.

*

Marx ed Engels sono chiari: [la] sussunzione degli individui sotto classi determinate non può essere superata finché non si sia formata una classe la quale non abbia da imporre alcun interesse particolare di classe contro la classe dominante”.

È il carattere oggettivo della dinamica storica, del suo sviluppo, a determinare i rapporti tra le classi e a sancire il livello degli antagonismi e dello scontro. Noi vediamo come negli ultimi anni sia fallito ogni tentativo di rappresentare tali antagonismi, e ciò perché la proposta politica non riguarda la lotta comune contro la classe dominante e le sue condizioni di sfruttamento. Ciò che in realtà si propone e ciò su cui s’insiste, riguarda l’illusione di poter riformare il capitalismo, non comprendendo che il capitalismo, dato il carattere storico e transitorio della forma-valore, ha raggiunto il suo capolinea.


Per contro, l’organizzazione di stampo leninista e trotskista, dirigistica e centralistica, pur capace di analisi politica, è condannata a rimanere minoritaria e marginale. Essa sopravvive all’esperienza dei suoi risultati, più adatta a un colpo di mano per la conquista del potere, tuttavia fallimentare nella prospettiva fondamentale, laddove l’avanguardia costituitasi in un gruppo autoreferenziale si trasforma poi inevitabilmente in una classe separata. Per il futuro bisogna guardare altrove: è una pagina ancora tutta da scrivere.

12 commenti:

  1. una cosa è essere proletari, altra è sentirsi proletari. Altra ancora essere e sentirsi proletari, il che vuol dire, rivoluzionari. La mancanza di consapevolezza, di coscienza, è lo strumento principale del dominio borghese. La cosa più difficile per chi è proletario, oggi, è sentirsi proletari, mentre risulta facile facile sentirsi di volta in volta borghese, ceto medio, cittadino, responsabile, galantuomo, persona perbene, fortunato, previdente, riformista, protetto, ottimista e financo privilegiato... Ma, ormai, anche il dominio borghese non è più sentito come tale. Nei paesi di antiche incrostazioni feudali poi, ha del ridicolo (Italia).
    La dinamica del capitale fa sì che si è sempre più proletari, in quantità; e sempre meno per qualità. Si pensa allora che la classe evapori, ma è solo l'inizio della fine generale, storica (d'altronde la classe non è acqua). Tolti di mezzo gli ultimi borghesi - e in questo io vedo ancora necessario un movimento di avanguardia - non ci sarà che l'irresponsabilità, l'incertezza, l'ignoto, l'irresolutezza, la schizofrenia, l'ebefrenia, l'anarchia, il sesso libero, le case sull'albero e il sole 24 ore, quello vero, ovvero la dittatura del proletariato.

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    1. “essere e sentirsi proletari, il che vuol dire, rivoluzionari”.
      Non necessariamente. L’operaio sa di essere un proletario e vive come tale la sua condizione, ma magari è iscritti alla Cisl.

      “La mancanza di consapevolezza, di coscienza, è lo strumento principale del dominio borghese”.

      No, lo strumento principale del dominio borghese è la proprietà dei mezzi di produzione.

      “Tolti di mezzo gli ultimi borghesi …”.
      Non vanno tolti di mezzo gli individui ma rimosse le condizioni oggettive del dominio borghese.

      Grazie per il commento.

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    2. 1. il proletario che si sente tale è rivoluzionario, ma anche qui, deve prendere consapevolezza delle sue possibilità. E per prenderla intendo strapparla, tirarla via dalla 'logica' borghese. E condividerla coi compagni.

      2. certo. Poi subentra l'illusione di dominare con l'ideologia. E ci siamo.

      3. certo. Era per capire, visto il suo commento sul leninismo, se lei considera inutile un'avanguardia oggi. Insomma se lei considera improbabile un conflitto presto.

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    3. @Olimpe
      Ma stiamo parlando, per la maggior parte credo, di proletari senza prole.
      Quindi, perchè proletari?

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    4. io sto parlando per me, lei veda di darsi daffare (se può)

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    5. @Olympe
      Sempre a buttarla sull'ironia!

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  2. non sono d'accordo nel collocare la fantomatica coscienza di classe unicamente nel terreno dell' oggettività sociale. non si ha qui a che fare con una cristiana conversione personale ma con la dottrina sì, la dottrina va studiata.

    Marx, Engel,Lenin, Grossmann ecc non è che sono più intelligenti o più ispirati di noi, hanno avuto il "privilegio d'anagrafe", cioè storico, di osservare il capitalismo in alcuni momenti di genesi e ne hanno colto l'essenziale prima che esso si dispiegasse pienamente. Noi abbiamo per esempio il privilegio di poter leggere Marx ed Engels senza più l'URSS. approfittiamone.

    poi alcuni diranno che al proletariato non importa interpretare il Capitale, è sufficiente prendere il potere ed estinguerne le basi. Fatevelo raccontatare da Lenin il troiaio che è estinguere il rapporto sociale di classe e se esso non debba essere ben capito.

    la frase di marx che riporti in colonna l'ho a lungo rimurginata e secondo me non si spiega solo con l'ideologia dominante che diviene quella dei dominati, i quali sono spesso fra i suoi fautori più zelanti. la Totalità capitalista, in quanto Totalità, non ha mai vissuto solo di infrastrutture verticali, di comando, ma si riproduce attraverso rimandi orizzontali e trasversali, tridimensionali, fedeli alla sua sostanza sociale. come appunto suggerisce Marx, la Sua stessa secolare storia la incarna in logica condivisa - solo giustapposta alla antica base irrazionale, inumana, primitiva, classista.


    dal mio osservatorio per ora la frustrazione del proletariato viene dalla Sua crisi, all' inverso sarebbe già l' annuncio della sua transitorietà. in mezzo c'è una dialettica che ha da evolversi a partire, per me, dalla realtà lavoro sociale astratto -che vantaggiosamente esclude ogni concezione sindacale del lavoro.

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    1. solo un appunto citando Marx:
      « Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che de termina la loro coscienza. »
      dunque, fantomatica o no, la coscienza di classe ha come base l'oggettività sociale

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    2. sì Madame, il punto è che l'oggettività sociale è dialettica e in particolare, nel rapporto tra classi, è dialettica conflittuale.
      Interessante che lozittito trovi che questa dialettica debba evolversi dalla realtà del lavoro sociale astratto... se non ho capito male.

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    3. a Olympe

      certo, mica se ne prescinde, tutt'altro, ne siamo creati. il mio interesse è indagare sui rapporti solo poi stabilire priorità

      a Ragionier

      sì, le lotte negli USA le fanno quelli del terziario arretrato, Mc Donald e similari, in Italia i facchini della logistica. I lavoratori più generici

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  3. Un punto da considerare è che la maggior parte del valore aggiunto del lavoro è nei servizi nei paesi più sviluppati.
    In Italia siamo intorno intorno al 70% del PIL, e la maggior parte dei lavoratori è lì.
    In USA e negli altri paesi a capitalismo sviluppato la percentuale è un pò maggiore, ma gli ordini di grandezza sono quelli.
    Da cui sarà pure per questo che le prospettive sono quelle che sono?
    Gli economisti con quei numeri del terziario sostengono che Marx è confutato.
    Saluti,
    Carlo.

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  4. La crisi generale-storica del capitalismo è un fatto conclamato.

    Ciò che lo sostituirà è una pagina del futuro ancora da scrivere


    Cara Olympe,

    credo che la "chiave" di tutto il ragionamento che segue il post ,sia proprio contenuto nell'"incipit " che segue il titolo, e che tutti i commentari seguiti, hanno a mio modesto avviso non colto, nel suo "vero" significato.
    I tempi "brevi" ci daranno la "misura" di quello che potrà succedere, e non è nemmeno detto poi sarà il futuro.
    Mi spiace per tutti i "nostalgici" dei "trenta" gloriosi, succeduti alla II GM e per tutti colori che disperatamente tentano di perpetuarli, ma pur non essendo un indovino , mi pare che una attenta lettura dei "tempi" odierni, consigli a questi "signori" "piccole" revisioni (sic!),diversamente amare delusioni li coglieranno (se in buona fede).
    Trapela ..mi par di cogliere, tra la dura scorza dei commentatori (Media) meno "prezzolati " le prime avvisaglie di presa di coscienza(sto parlando del mio mondo. Non certo di quello dei "trentini" o peggio ancora dei "ventini".
    Si stenta duramente a "razionalizzare"!
    Ottimo pezzo ,cara Olympe, altro che Marx "confutato".
    Non se ne avverte il bisogno, ma invece bisogna prendere atto che il "suo" pensiero è ancora una utile guida per chi senta veramente il bisogno di voler capire i tempi che stiamo vivendo.
    Per il momento ancora, smarrimento e confusione sono i primi sintomi che il "mondo " sta cambiando e velocemente...e si scrivono pure libri a tal riguardo.

    caino

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