mercoledì 29 agosto 2012

I ciabattini della felicità


Alla concezione corrente i rapporti o le forme della distribuzione della ricchezza socialmente prodotta, ossia le diverse forme di quello che s’usa chiamare reddito, appaiono come rapporti naturali, come rapporti che scaturiscono dalla natura di tutta la produzione sociale, dalle leggi della produzione umana in generale. È in questa concezione comune dei rapporti di produzione e distribuzione che nasce la più grande confusione delle teorie borghesi, non ultima quella ultra-reazionaria della cosiddetta “decrescita” alla quale è stato poi aggiunto, in modo fuorviante, l’aggettivo “felice”.

Non potendo negare l’evidenza, ossia che le società precapitalistiche mostrino altri modi di distribuzione, i teorici borghesi li interpretano come modi non sviluppati, imperfetti e camuffati, diversamente coloriti, dei rapporti normali di distribuzione, modi che non hanno raggiunto la loro più pura espressione e la loro forma più alta. Quindi essi ammettono che i rapporti di distribuzione si sviluppano storicamente, ma essi si aggrappano d’altra parte ancora più tenacemente al carattere costante dei rapporti di produzione stessi, derivante dalla natura umana e indipendente quindi da qualsiasi sviluppo storico.

Da ciò deriva che il carattere, le forme, della distribuzione e quindi del consumo sono intesi indipendentemente dal carattere e dalle forme dei rapporti di produzione. L’analisi scientifica del modo di produzione capitalistico dimostra al contrario che esso è un modo di produzione di tipo particolare, specificamente definito dallo sviluppo storico; che, al pari di qualsiasi altro definito modo di produzione, presuppone un certo livello delle forze produttive sociali e delle loro forme di sviluppo, come loro condizione storica; che i rapporti di produzione corrispondenti a questo specifico modo di produzione, storicamente determinato — rapporti, in cui gli uomini entrano nel loro processo di vita sociale, nella creazione della loro vita sociale —, hanno un carattere specifico, storico, transitorio; e che, infine, i rapporti di distribuzione sono in sostanza identici a questi rapporti di produzione, costituiscono il rovescio di questi ultimi, così che gli uni e gli altri hanno lo stesso carattere storicamente transitorio.

Scrive Marx: “Nello studio dei rapporti di distribuzione, si prendono le mosse dalla pretesa constatazione di fatto secondo cui il prodotto annuo si distribuisce come salario, profitto e rendita fondiaria. Ma in tali termini, la constatazione è falsa. Il prodotto si ripartisce da un lato, in capitale, dall’altro in redditi. Uno dei questi redditi, il salario, non assume mai la forma di un reddito, il reddito dell’operaio, se non dopo essersi contrapposto all’operaio stesso nella forma di capitale. Il contrapporsi delle condizioni di lavoro prodotte e dei prodotti di lavoro in generale, in quanto capitale, ai produttori diretti, include a priori un carattere sociale definito delle condizioni di lavoro materiali rispetto agli operai e con ciò un rapporto determinato, in cui essi entrano nella produzione stessa con i possessori delle condizioni di lavoro e fra loro stessi.
Se una parte del prodotto non si trasformasse in capitale, l’altra non assumerebbe le forme di salario, profitto e rendita. D’altro lato, se il modo di produzione capitalistico presuppone questa forma sociale determinata delle condizioni di produzione, le riproduce anche continuamenteNon riproduce solamente i prodotti materiali, ma riproduce continuamente i rapporti di produzione, nell’ambito dei quali quelli vengono prodotti, e con essi anche i rapporti di distribuzione corrispondenti”.
Scrvive sempre Marx: “Ma consideriamo ora i cosiddetti rapporti di distribuzione. Il salario presuppone il lavoro salariato, il profitto presuppone il capitale. Queste forme determinate di distribuzione presuppongono quindi determinate caratteristiche sociali delle condizioni della produzione e determinati rapporti sociali fra gli agenti della produzione. Un determinato rapporto di distribuzione è, di conseguenza, solo l’espressione di un rapporto di produzione storicamente determinato.
I cosiddetti rapporti di distribuzione corrispondono, quindi, a forme storicamente determinate, specificamente sociali, del processo di produzione e dei rapporti in cui gli uomini entrano nel processo di riproduzione della loro vita e derivano da queste forme. Il carattere storico di questi rapporti di distribuzione è il carattere storico dei rapporti di produzione, dei quali essi esprimono soltanto un aspetto. La distribuzione capitalistica è distinta dalle forme di distribuzione che derivano da altri modi di produzione, ed ogni forma di distribuzione scompare insieme con la forma di produzione determinata a cui essa corrisponde e da cui deriva.
La concezione che considera storicamente solo i rapporti di distribuzione, ma non i rapporti di produzione è una critica iniziale, ancora timida, dell’economia borghese. D’altro lato essa si fonda sulla confusione e sulla identificazione del processo sociale di produzione, con il processo lavorativo semplice, che deve compiere anche un uomo artificiosamente isolato, senza alcun aiuto sociale. In quanto il processo lavorativo è soltanto un processo fra l’uomo e la natura, i suoi elementi semplici rimangono identici in tutte le forme dell’evoluzione sociale. Ma ogni determinata forma storica di questo processo ne sviluppa la base materiale e le forme sociali. Quando è raggiunto un certo grado di maturità, la forma storica determinata viene lasciata cadere e cede il posto ad un’altra più elevata. Si riconosce che è giunto il momento di una tale crisi quando guadagnano in ampiezza e in profondità la contraddizione e il contrasto tra i rapporti di distribuzione e quindi anche la forma storica determinata dei rapporti di produzione ad essi corrispondenti, da un lato, e le forze produttive, capacità produttiva e sviluppo dei loro fattori dall’altro. Subentra allora un conflitto fra lo sviluppo materiale della produzione e la sua forma sociale”.
Perciò, senza che vi sia un cambiamento radicale dei rapporti di produzione, del rapporto tra capitale e lavoro, qualsiasi tentativo di modificare di per sé i rapporti di distribuzione diventa velleitario, quando non apertamente reazionario come quando si chiede una riduzione dei salari al fine di diminuire i consumi.
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Latouche, riprendendo dal Sahlins de L'economia dell'età della pietra, traccia un paragone tra il paleolitico e la moderna società considerando il primo come la condizione perfetta della società dell’abbondanza in quanto “allora gli uomini avevano pochi bisogni e potevano soddisfare tutte le loro necessità con solo due o tre ore di attività al giorno. Il resto del tempo era dedicato al gioco, alla festa e allo stare insieme”.

Latouche dimostra di non avere la minima idea di come vivesse l’uomo del paleolitico. Salvo eccezioni esso non conduceva una vita nell’abbondanza, ma di privazioni, spesso di fame e di sete, di malattia, alle prese con i capricci del clima e i fenomeni dalla natura, in lotta con altre tribù. La vita media era allora al massimo di 30-40 anni. L’abbondanza alla quale si riferisce Latouche, anche nei casi nei quali vi fosse effettivamente stata, era l’abbondanza propria della vita animale, in quanto, l’essere dell’uomo è sempre più della sua mera esistenza materiale.

La tendenza, cioè il tentativo di rappresentare il futuro sviluppo della società umana come un’analogia del passato remoto è semplicemente puerile. Per certi aspetti, ma in modo decisamente meno erudito, Latouche mi ricorda Lewis Mumford che quasi mezzo secolo fa ebbe momentaneamente ad affascinarci. E mi ricorda ancor più il consigliere di giustizia Knapp della favola di Andersen, dal titolo eloquente: Le ciabatte della felicità. Questi affermava che “il regno del re Hans era stato l’epoca migliore e più felice di tutta la storia umana”. Avrebbe poi ricordato che, venutosi a trovare in quell’epoca, per tutta la vita non fece altro che rilevare gli orrori affrontati in tale regno e invece a benedire il secolo in cui era nato.

Non so dire se in tali proiezioni vi sia più ignoranza che malafede, ciò che evinco è l’effetto d’induzione psicologica di tali teorie in un numero crescente di individui. Non escludo quindi che alcuni guru della decrescita, non so quanto consapevolmente, possano far parte di programmi speciali gestiti da certe entità. Coloro che dovessero ritenere tale mia ipotesi azzardata e fuori delle realtà, forse non immaginano l’ampiezza e la forza dell’azione dei manipolatori professionali, naturalmente occulti, e soprattutto i mezzi che essi hanno a loro disposizione. Forse un giorno scriverò un post sull’argomento, iniziando dalle origini del fenomeno, per esempio dal programma MKUltra.

1 commento:

  1. Oggi non c'è nemmeno più bisogno dell'LSD. Bastano la povera senilità di milioni di anziani di scarsi studi e terrorizzati all'idea di perdere quel niente che hanno, e la nullità di coscienze assopite dalle colorate confezioni delle merci e dai mercanti di moraletta borghese.

    Poi, naturalmente, abbiamo i telegiornali e "i grandi giornali".
    mauro

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