Non è curioso che un film su una delle stragi di stato, quella di piazza Fontana, sia prodotto dallo stato medesimo? Un po’ come se a commissionare un film sul golpe cileno fosse la giunta di Pinochet. Si dirà che lo stato di oggi non è quello d’allora. Che si trattò di apparati deviati. A sostenere questo tipo di fole sono gli ingenui e gli stupidi. E gli interessati. Come scriveva alcuni anni fa Luigi Ferrarella, giornalista del Corriere, «Nei confronti delle vittime è infatti immorale, prima ancora che falso nella ricostruzione storico-giudiziaria, coltivare il luogo comune di una verità ignota, di una strage senza paternità, di misteri totalmente mai diradati».
E poi precisava nello stesso articolo: «Non è vero che non siano stati identificati responsabili della strage. Carlo Digilio, neofascista di Ordine Nuovo, ha confessato il proprio ruolo nella preparazione dell'attentato e ottenuto nel 2000 la prescrizione per il prevalere delle attenuanti riconosciutegli appunto per il suo contributo. E la Cassazione del 2005, nel confermare l’assoluzione in appello del trio Zorzi-Maggi-Rognoni condannato in primo grado nel 2000 all’ergastolo, ha chiaramente scritto che con le nuove prove, emerse nelle inchieste successive allo «scippo» del processo milanese nel 1972 e alla definitiva assoluzione nel 1987 degli ordinovisti veneti Franco Freda e Giovanni Ventura, entrambi sarebbero stati condannati».
Nessuno (o quasi) desidera che questa verità resti in vita e perciò è morta. Il film punta appunto sull’ignoranza dei fatti essenziali da parte dello spettatore, sul calcolo che i liceali di oggi non sanno nulla di quelle vicende, oppure attribuiscono alle Brigate rosse la strage del 1969. Ciò che preme far sapere è che Valpreda, gli anarchici, c’entravano comunque con quella strage. Importa nulla che il film, semplicemente ridicolo nella sua ricostruzione romanzata, non abbia registrato né buoni e nemmeno discreti incassi. E conta nulla anche il fatto che il romanzo a cui s’ispira il film sembra sia stato scelto dalla produzione e non dal regista. Quello che interessa effettivamente e su cui punta la produzione, è che il film lo vedano milioni di persone quando sarà trasmesso da raicinema, molti giovani che di quella strage, così come delle altre, non sanno ancora nulla. E che nella stragrande maggioranza dei casi non troveranno né il tempo e tantomeno la voglia per un approfondimento di tragedie così lontane.
Più noi manchiamo di memoria storica, più è assente il senso storico-critico, e più siamo manipolabili facilmente. Perciò il depistaggio del film piace a gente come Eugenio Scalfari.
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Nel 1852, ne Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte (VII), Marx scrive:
La repubblica parlamentare, infine, si vide costretta a rafforzare, nella sua lotta contro la rivoluzione, assieme alle misure di repressione, gli strumenti e la centralizzazione del potere dello Stato. Tutti i rivolgimenti politici non fecero che perfezionare questa macchina, invece di spezzarla. I partiti che successivamente lottarono per il potere considerarono il possesso di questo enorme edificio dello Stato come il bottino principale del vincitore.
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Nel 1916, ne L’Imperialismo, fase suprema del capitalismo, Lenin scriveva sul legame tra imperialismo e opportunismo:
Più pericolosi di tutti, da questo punto di vista, sono coloro i quali non vogliono capire che la lotta contro l'imperialismo, se non è indissolubilmente legata con la lotta contro l'opportunismo, è una frase vuota e falsa.
Se infine volete farvi delle ristine amare: QUI.
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