venerdì 20 aprile 2012

A che serve la rivoluzione quando basta la carta di credito?


Sono gli scherzi di pessimo gusto della crisi: qualcuno si spinge fino a proporre di tassare del 33% i prelievi e i depositi effettuati presso le banche. Se vuoi pagare lo fai con la carta di credito. Così ingrassi ancora di più le banche. Negli Usa o in GB la carta di credito ha un uso molto più diffuso che qui da noi, ma quelli sono mondi diversi dal nostro, con altre regole. Tuttavia anche in quei luoghi, così apparentemente asettici al circolante, se vuoi una dose di droga la paghi in contanti, e non mi pare che il fenomeno sia circoscritto a pochi casi e del resto il Tesoro americano stampa materialmente ogni giorno un oceano di biglietti verdi. La carta di credito serve solo a farti spendere di più, cosa questa molto nota a chiunque. Il passo successivo è la carta revolving, lo strozzinaggio legale.

Mi chiedo fino a che punto arrivi la consapevolezza dei movimenti reali dell’economia da parte di certi politici, giornalisti, opinionisti vari, ossia da parte del pensiero dominante della società attuale, la loro adesione a un’ideologia che ha perduto la dimensione delle cose. Diranno che non è così, che anzi essi sono per rendere più giusto, equo e razionale, se possibile armonico, il sistema nei singoli aspetti e quindi nel suo insieme. I democratici borghesi sono dei critici laterali del sistema, abbastanza istruiti per avvedersi a quale gioco fanno/facciamo parte, ma non abbastanza disinteressati per un radicale cambiamento e vogliono anzi emendarne le “storture”, dare nuove regole al grande monopoli.

Ho dato fin troppo spazio alla vanità di una giornalista alla quale è permesso, per motivi che non sto qui a indagare, di fare il corsaro nella sua vasca da bagno. Sposto quindi il discorso dalle carte di credito al cosiddetto fenomeno della globalizzazione.

Guardiamo allo sfruttamento al quale sono sottoposti, tra gli altri, cinesi e indiani: non è lo specchio di un modernismo senza modernità? Non ricorda la Foxconn, tanto per citare un soggetto noto, una condizione del lavoro di fabbrica tipico di epoche quasi remote? E allora la ricetta liberista, gli inviti fasulli a competere con tali situazioni, non è roba di recupero, da carrettieri d’antan?

E tuttavia alla base di tale ideologia sta una ragione molto semplice e di cui i liberisti a modo loro sono consapevoli: il capitale ha bisogno della disuguaglianza di sviluppo come condizione essenziale e inevitabile per l’accumulazione, ossia per elevare i profitti e contrastare così la caduta tendenziale del saggio del profitto. Se è così, la globalizzazione è una storia vecchia, e quella attuale è una nuova fase di quello che un tempo, senza sensi di colpa ideologici, si chiamava imperialismo, ossia l’estensione senza limiti del monopolio su scala mondiale.

Posto che le motivazioni dell’imperialismo poggiano sulle qualità fondamentali del capitalismo, la differenza tra la fase attuale e le fasi delle epoche precedenti dell’imperialismo consiste in gran parte nel fatto che allora il capitale veniva esportato prevalentemente nelle colonie o nei paesi d’influenza soprattutto per la produzione e raccolta di materie prime, oppure per la creazione di infrastrutture necessarie localmente (ferrovie, linee telefoniche, elettricità, ecc.); inoltre, nella concessione di crediti ai paesi in via di sviluppo si poneva come condizione che una parte del denaro prestato dovesse essere impiegato nell'acquisto di prodotti del paese concedente il prestito, specialmente di materiale da guerra.

Questa fase è stata superata da alcuni decenni, da quando il capitale integrato (industriale e finanziario), tramite i suoi emissari politici, ha deciso di togliere di mezzo, con accordi internazionali vincolanti per tutti i paesi entrati nell’orbita liberista, ogni barriera doganale. Si provi a chiedere in giro notizie su Trips e Gatt. In un mondo che piange, “trips per gat” può essere una battuta che fa ridere.

Così si è giunti al punto di chiudere gli impianti di produzione in Europa e in Occidente che “non rendono più profittevoli” gli investimenti, per trasferirli all’estero, nell’Est europeo, in Asia, in Sudamerica, ovunque i fattori produttivi costino una miseria. In tal modo si è deciso il più grande trasferimento di capitali della storia moderna, non a bordo di galeoni e di vascelli, ma in tempo reale. In questo sta essenzialmente l’estesa e profonda modificazione degli assetti economici e sociali a livello mondiale che stiamo vivendo.

È sempre il capitale che ha trasformato il mondo in un unico workshop che trasforma la miseria di molti nella fortuna di pochi. E questo effetto si può misurare anche sul piano fiscale con la conseguente riduzione del gettito se non compensato da nuove e più gravose tasse, mentre le multinazionali, le imprese che “delocalizzano”, giocano sulla sede fiscale. Altro che carte di credito.

In tale contesto s’innesta la lotta non solo tra capitale e lavoro, ma anche tra i diversi strati di classe media, tra categorie e perfino tra generazioni che si rinfacciano, sull’onda della propaganda mediatica, chissà quali misfatti. Su chi paga il costo della crisi, naturalmente, non ci sono dubbi: i ricchi diventano più ricchi, i salariati perdono lavoro e reddito e progressivamente tendono a diventare dei semplici miserabili.

Se si chiedesse a Grigorij Jakovlevič Perel'man di dirimere la questione “crisi”, probabilmente declinerebbe l’invito per manifesta impossibilità. Invece noi in Italia possiamo contare su dei geni indiscussi, dei quali taccio il nome perché fin troppo noti, i quali vorrebbero ripristinare l’economia capitalista attraverso leggi antimonopolistiche (le chiamano “regole”), senza però mettere nel conto che pur essendo l’imperialismo uno stato non reversibile dell’economia, esso rimane capitalismo, ossia un modo di produzione basato sul capitale.

4 commenti:

  1. Ho trovato la trasmissione della famosa giornalista abbastanza vergognosa. Raggiungeva livelli di eccitazione parossistica nei confronti del sistema monetario digitale francamente imbararazzanti, quasi prossimi al delirio. PIù realista del re.

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  2. Cara Olympe, mi piacerebbe un tuo parere critico, su questo VD del prof. Harvey (durata 10 min.) e specialmente sulla seconda parte di esso. Grazie per la cortesia.

    http://youtu.be/fst26U14FIU

    L*

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  3. non basta sentire parlare (mi pare abbastanza confusamente) una persona per poter dare un giudizio

    francamente di ciò che dice no ho capito nulla, non ho capito cosa vuol dire e al momento non ho la possibilità di approfondire. di soggetti più o meno così mi pare sia affollato il mondo

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  4. Digamos que no estoy cοmpletamente dе acuerdo сon lo comеntadο,
    peгο s� coincіdo еl contenido.Sаluԁos

    Para leer mаs ... Carmen

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