martedì 17 aprile 2012

In quanto europei



«Non mi attardo a domandarmi che cosa è questa Europa, dove comincia e dove finisce dal punto di vista geografico, storico, morale, economico; né mi chiedo se oggi un tentativo di unificazione abbia migliore successo dei precedenti. Ciò mi porterebbe troppo lontano. Mi limito a dire che la costituzione di una comunità europea è auspicabile e forse anche possibile, ma tengo a dichiarare in forma esplicita che noi non ci sentiamo italiani in quanto europei, ma ci sentiamo europei in quanto italiani».

Chi ha pronunciate queste parole? De Gasperi, Adenauer, Schuman, oppure … ? Non ha alcuna importanza. Ciò che conta, come ho scritto altre volte, è che i problemi di un tempo ormai lontano sono i problemi di oggi. L’Europa si è dimostrata per oltre un secolo incapace di una vera unificazione, anzi, con due carneficine di proporzioni inedite, ha solo deciso per la propria subalternità alla storia e al dominio altrui.

L’unica possibilità di riscatto del proletariato europeo sarebbe potuta venire da una rivoluzione che desse un corso diverso agli avvenimenti e scongiurasse l'avvento dei mostri. Troppe cose l’hanno impedito e troppi conti restano in sospeso. E prima o poi si è chiamati al saldo. È dal congresso di Vienna che ci portiamo questo fardello e sia il trattato di Versailles prima e poi la conferenza di Yalta dopo, non l’hanno certamente alleggerito. Ora le vicende dell’euro ci fanno sentire il peso di chi comanda veramente nel nuovo rimescolamento di carte in corso, e del fatto, come scrive Giuliano Amato, che “l'eurozona non ha portato alla convergenza delle economie che ne fanno parte”.

Noi possiamo sentirci “europei in quanto italiani” fin che vogliamo, ma i tedeschi possono ben campare il diritto, come sempre, di sentirsi europei in quanto tedeschi e sentirsi tenuti di adeguare gli ordinamenti statuali e politici alle nuove esigenze. A nostre spese e finché saremo divisi sulle questioni che ci riguardano più direttamente.

1 commento:

  1. Condivido. In particolare, il passaggio in cui dici che l'Europa con due carneficine di proporzioni inedite, ha solo deciso per la propria subalternità alla storia e al dominio altrui, mi riporta ad alcune riflessioni che faccio da tempo, circa la seconda guerra mondiale e il periodo fra le due guerre.
    La potenza economica degli Stati Uniti era già in ascesa dopo la prima guerra mondiale, ma in Europa pochi erano disposti ad ammettere fino in fondo la portata di questa "novità" (interessanti in proposito, perché acute e piuttosto "controcorrente" rispetto alla loro epoca, le riflessioni gramsciane su Americanismo e fordismo).
    O meglio, chi percepì il nuovo ruolo della "potenza" economica statunitense come una minaccia, non ne capì però fino in fondo il senso e la portata, e pensò che la risposta a questa "novità" potesse declinarsi in termini di pura e semplice riproposizione di "vecchi" metodi: in particolare, le due dittature che vollero il conflitto del '39-'45 sottovalutarono le capacità del "colosso" d'oltreoceano (se ricordo bene, Mussolini in un'occasione arrivò a dire che l'America era un bluff - e infatti ce ne siamo accorti...!). Quella sottovalutazione però fu fatale, e anziché rallentare o scongiurare il declino della "potenza" europea, non ha fatto che accelerarlo all'inverosimile, consegnandoci completamente come "ostaggi" alla nuova superpotenza.
    L'orgoglio nazionalistico, insomma, è stato il peggior nemico di se stesso e degli scopi che dichiarava di prefiggersi.
    Il divario fra le categorie tipiche di quel nazionalismo - specie di quello italiano, idealistico-velleitario, forte con i deboli, incapace affatto di valutare con realismo i processi economici e i rapporti di forza e inebriato da motti dannunziani - e la nuova forma del capitalismo, rappresentata dagli Stati Uniti in ascesa si può leggere in alcune pretese che circolavano allora da noi in certi ambienti (come - per dirne solo una - la fallimentare e quasi "medievale" campagna contro l'emigrazione dalle campagne verso le città, per "salvaguardare la vocazione agricola" del paese, o qualcosa del genere... tentativo di difendere la rendita latifondistica d'antan, come se questa potesse essere la testa d'ariete della nostra economia, proprio mentre negli Usa il capitalismo fordista era in grande spolvero e in irresistibile ascesa: per fare un paragone, uno scontro fra l'alchimia medievale da una parte e la chimica moderna dall'altra, insomma, e sappiamo bene com'è finita).

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