Quasi due anni or sono scrivevo il breve post che riporto qui sotto. Prendeva spunto da un articolo di Martin Wolf, lo stesso autore citato oggi in un post di Phastidio (il post di Seminerio di ieri era probabilmente ispirato dallo stesso articolo) e alcuni giorni or sono in un articolo sull’Unità scritto da Stefano Fassina.
Un po’ alla volta anche l’intellighenzia liberale prende atto che la storia si ripete, con delle varianti. Oggi il post del 20 marzo 2010 lo scriverei diversamente, ma non ne cambierei la sostanza.
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Su Il Sole 24ore del 17 c’è un buon articolo di Martin Wolf. Viziato ideologicamente, come è inevitabile, ma pertinente. Non è direttamente di tale articolo che voglio parlare, anche se esso mi offre lo spunto per considerare, ancora una volta, come le grandi questioni economiche che parevano superate da decenni, viceversa nella loro sostanza sono ancora tutte allineate sul vecchio tappeto degli Anni Venti e Trenta. Del resto, i problemi fondamentali connessi all’accumulazione, al debito, all’import/export, alla caduta tendenziale del saggio del profitto, si ripresentano inevitabilmente come elementi irriducibili dell’economia capitalistica. Le difficoltà della Germania di allora e di quella di oggi, sono paradigmatiche. E anche l'impasse degli Stati Uniti, della Francia e del Giappone. Il problema era ed è trovare mercati solvibili dove piazzare le proprie merci. Esorcizzare ideologicamente tali questioni, è servito solo sul piano politico e del controllo, oltre che nello scontro strategico Est-Ovest. Sul piano pratico si sono creati dei mercati comuni, delle aree aperte allo scambio, fino all’attuale mondializzazione. Il resto l’ha fatto l’industrializzazione diffusa e massiccia, la creazione di nuovi prodotti e il modello consumistico basato sulla fruizione rapida, cioè sulla dissipazione. Ciò non ha risolto i problemi, ma solo rinviati e ampliati, come nel caso del depauperamento delle risorse e l’incremento dell’avvelenamento. Infatti, nell’àmbito del modo di produzione capitalistico tali problemi non solo non si possono risolvere "riformandoli", ma si aggravano, inevitabilmente. Non si tratta più delle crisi di ciclo di un tempo, ma degli effetti di una crisi generale, permanente e quindi storica, del capitalismo, i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti. È il caso di dire: l'analisi di Marx, la sua critica dell'economia politica e l'individuazione delle leggi che muovono il capitalismo, è attualissima e da essa non si può prescindere.
Nemmeno durante la Guerra fredda il mondo ha corso tanti rischi quali si profilano minacciosi oggi. Le classi dirigenti dei diversi blocchi sapevano che l’impiego dell’arma atomica avrebbe avuto effetti devastanti e definitivi non solo per l’avversario. Inoltre gli avversari del capitalismo si connotavano soprattutto sul piano strategico politico-ideologico e molto meno su quello della concorrenzialità economica. Oggi non è più così. Il mercato mondiale nel suo sviluppo attuale crea i presupposti per un conflitto veramente globalizzato. La possibilità che una scintilla incendi la prateria, nei prossimi lustri, non è più remota come un tempo.
Attualissimo! Cambierei solo l'espressione "lustri" con "anni".
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