sabato 17 dicembre 2011

Mario Monti ritratto da Karl Marx


Nel pleistocene, l’11 novembre scorso, prima che allo zio di Bonanni fosse regalato il laticlavio e conferito l’incarico di salvatore della patria in pericolo, scrivevo:

Lo spread è una mistificazione, una scusa. Ben oltre l’80 per cento del debito per quest’anno è già stato rinnovato per cui l’impatto dell’aumento dei tassi sarebbe molto limitato anche se il differenziale si mantenesse alto. La maggior parte di quelli che in Tv e nei giornali parlano di queste cose o mentono o sono degli idioti. Spesso entrambe le cose. Chi ha memoria ricorda che in Italia sono stati pagati tassi d’interesse a due cifre per anni, perciò pagare per qualche mese dei tassi più alti non sarebbe stata la catastrofe (una volta eliminato Berlusconi ed indetto elezioni).

Qualche giorni fa, la Banca dei regolamenti internazionali (Bri), la più antica istituzione finanziaria internazionale, descriveva così la situazione italiana in riferimento al tasso di rendimento delle obbligazioni statali:

“Vista la media relativamente alta della maturità del debito pubblico italiano (sette anni), ci vorrà un lungo periodo di tempo prima che i rendimenti elevati si traducano in un significativo costo aggiuntivo del debito”. Secondo la Bri anche se la curva dei rendimenti osservata a novembre, quando i Btp ad un anno avevano superato il 7%, dovesse persistere per tutto il prossimo anno, il costo addizionale ammonterebbe allo 0,95% del Pil. “[…] E anche nello scenario più pessimistico – aggiunge la Bri – i tassi dovrebbero persistere tre anni a questi livelli prima che i costi annui superassero il 2 per cento del Pil”.

Diceva l’uomo d’oro di Goldman Sachs il 6 dicembre: ''Ho chiesto agli italiani molti sacrifici ma l'alternativa era il rischio molto concreto che lo Stato non potesse più pagare gli stipendi e le pensioni''. Soprattutto gli stipendi di entità superiore ai 300.000 euro e le pensioni tra i 150.000 e i 500.000 euro. Possono tenerci buoni solo con la paura, con il terrorismo di Stato, con la propaganda incessante.

Per chi vuol intendere il presente, riporto alcuni brani (scritti 160 anni or sono!) del saggio di Karl Marx dal titolo Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Invito a leggerli con attenzione, vi è descritta, mutatis mutandis, sostanzialmente la nostra situazione:

Qual è la causa del fatto che il patrimonio dello Stato cade nelle mani dell'alta finanza? È l'indebitamento continuamente crescente dello Stato. E qual è la causa dell'indebitamento dello Stato? È la permanente eccedenza delle sue spese sulle sue entrate, sproporzione che è nello stesso tempo la causa e l'effetto del sistema di prestiti di Stato.

Per sfuggire a questo indebitamento lo Stato deve limitare le proprie spese, cioè semplificare l'organismo governativo, ridurlo, governare il meno possibile, impiegare meno personale possibile […]. Oppure lo Stato deve cercare di evitare i debiti e arrivare a un momentaneo, ma transitorio equilibrio del bilancio, facendo pesare imposte straordinarie sulle spalle delle classi più ricche. Per sottrarre la ricchezza nazionale allo sfruttamento della Borsa, il partito dell'ordine avrebbe dovuto sacrificare la propria ricchezza sull'altare della patria? Non era così stupido!

L'indebitamento dello Stato era, al contrario, l'interesse diretto della frazione della borghesia che governava e legiferava per mezzo delle Camere. Il disavanzo dello Stato era infatti il vero e proprio oggetto della sua speculazione e la fonte principale del suo arricchimento. Ogni anno un nuovo disavanzo. Dopo quattro o cinque anni un nuovo prestito offriva all'aristocrazia finanziaria una nuova occasione di truffare lo Stato che, mantenuto artificiosamente sull'orlo della bancarotta, era costretto a contrattare coi banchieri alle condizioni più sfavorevoli. Ogni nuovo prestito era una nuova occasione di svaligiare il pubblico, che investe i suoi capitali in rendita dello Stato, mediante operazioni di Borsa al cui segreto erano iniziati il governo e la maggioranza della Camera. In generale la situazione instabile del credito pubblico e il possesso dei segreti di Stato offrivano ai banchieri e ai loro affiliati nelle Camere e sul trono la possibilità di provocare delle oscillazioni straordinarie improvvise, nel corso dei titoli di Stato […] Le enormi somme che in tal modo passavano per le mani dello Stato davano inoltre l'occasione a contratti di appalto fraudolenti, a corruzioni, a malversazioni, a bricconate d'ogni specie. Lo svaligiamento dello Stato, che si faceva in grande coi prestiti, si ripeteva al minuto nel lavori pubblici. I rapporti tra la Camera e il governo si moltiplicavano sotto forma di rapporti tra amministrazioni singole e singoli imprenditori.

[…] Naturalmente le difficoltà pecuniarie del governo provvisorio non furono per nulla diminuite da un colpo di scena che gli sottraeva il denaro contante disponibile. Il disagio finanziario non poté più a lungo essere dissimulato, e piccoli borghesi, domestici, operai, dovettero pagare la gradita sorpresa offerta ai creditori dello Stato. Fu dichiarato che i libretti delle casse di risparmio non potevano più cambiarsi in denaro al di sopra dell'importo di 100 franchi. Le somme depositate nelle casse di risparmio vennero confiscate e convertite con decreto in un debito di Stato non redimibile. Era il modo di mettere contro la repubblica il piccolo borghese, già in cattive acque anche senza di ciò. Ricevendo in luogo dei suoi libretti di risparmio titoli del debito pubblico, egli fu costretto ad andare a venderli in Borsa, e così a mettersi direttamente nelle mani degli strozzini della Borsa, contro i quali aveva fatto la rivoluzione di febbraio.

L'aristocrazia finanziaria, che aveva dominato sotto la monarchia di luglio, aveva la sua cattedrale nella banca. Come la Borsa regola il credito di Stato, così la banca regola il credito commerciale. Minacciata direttamente dalla rivoluzione di febbraio non solo nel suo dominio, ma nella sua stessa esistenza, la banca cercò sin dal primo momento di screditare la repubblica, rendendo generale la mancanza di credito. D’un tratto essa sospese il credito ai banchieri, agli industriali, ai commercianti. Questa manovra, non avendo provocato immediatamente una controrivoluzione, si ripercosse inevitabilmente sulla banca stessa. I capitalisti ritirarono il denaro che avevano depositato nei sotterranei della banca. I possessori di biglietti di banca si precipitarono alla cassa per cambiarli in oro ed argento.
Il governo provvisorio avrebbe potuto costringere la banca al fallimento, senza alcun intervento violento, in modo legale. Bastava che rimanesse passivo e abbandonasse la banca al suo destino. La bancarotta della banca era il diluvio che avrebbe, in un batter d'occhio, spazzato dal suolo della Francia l'aristocrazia finanziaria, la nemica più potente e più pericolosa della repubblica, il piedistallo d'oro della monarchia di luglio. E una volta fallita la banca, la borghesia stessa sarebbe stata costretta a considerare come ultimo disperato tentativo di salvezza la creazione da parte del governo di una banca nazionale e la sottomissione del credito nazionale al controllo della nazione.

Il governo provvisorio, invece, stabilì il corso forzoso dei biglietti di banca. Esso fece di più: convertì tutte le banche di provincia in succursali della Banque de France e lasciò che questa gettasse la sua rete su tutta la Francia. Più tardi le dette le foreste demaniali, come garanzia per un prestito che contrasse con essa. Così la rivoluzione di febbraio consolidava ed estendeva in modo diretto la bancocrazia che avrebbe dovuto abbattere.

Frattanto il governo provvisorio si piegava sotto l'incubo di un crescente disavanzo. Invano andava mendicando sacrifici patriottici. Solo gli operai gli gettavano la loro elemosina. Si dovette ricorrere ad un mezzo eroico, all'introduzione di una nuova imposta. Ma su chi farla cadere? Sui lupi della Borsa, sui re della banca, sui creditori dello Stato, su chi viveva di rendita, sugli industriali? Non era il mezzo di cattivare alla repubblica la borghesia. Da una parte era un mettere a repentaglio il credito dello Stato e il credito commerciale, mentre dall'altra parte si cercava di mantenerlo con così grandi sacrifici e umiliazioni. Ma qualcuno doveva sborsare. Chi venne sacrificato al credito borghese? Jacques le bonhomme, il contadino.

3 commenti:

  1. Grazie per questo chiarimento.

    gianni

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  2. Stavo, tempo fa, leggendo questo testo di Marx (quello riportato nel suo post), ma ho sospeso la lettura.
    L'ho sospesa perchè, del periodo storico di cui Marx parla (e specificamente in Francia), non mi ricordavo poco o niente.
    Domanda: è essenziale per lei, approfondire prima la storia di quel periodo francese, prima di leggersi il testo marxiano?
    Se la risposta è scontata, chiedo venia, ma credo sia sempre bene saperne qualche cosa, da chi dimostra di saperne di più.
    Saluti da Luigi

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  3. non è indispensabile, ma è utile avere un'idea degli accadimenti del periodo e comunque Marx si compendia anche da solo
    saluti

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