domenica 7 luglio 2024

Lo studente/cliente anche come risposta al calo demografico

 

Il Sole 24 ore di oggi dedica un articolo alla città di Gent. Pur non aspirando a diventare ministro della cultura, ammetto che sul principio non avevo capito di che città si trattasse. Poi, leggendo, scopro che si tratta della città belga che nel XV secolo era seconda per popolazione solo a Parigi, e soprattutto dando un’occhiata alle foto che corredano l’articolo, capisco si tratti della città di Gand, la città che diede i natali a Carlo V. Scarsa elasticità mentale la mia e a nulla vale il fatto che in ogni manuale e libro di storia che mi è capitato tra le mani il nome della città è sempre con la grafia francese: Gand.

Anche per Wikipedia il nome è Gand, salvo poi, di quando in quando, trascrivere il nome in fiammingo, Gent per l’appunto (non per Treccani). Non si finisce mai d’imparare, soprattutto di domenica.

Ad ogni modo il punto è un altro: «Di notte, al chiaro di luna, la città rivela l’ennesimo volto segreto, grazie a una sofisticata illuminazione frutto del lavoro di talentuosi light designer. Il migliore? L’italiano Alberto Garutti, che ha realizzato in pieno centro un sistema di lampioni collegato ai reparti maternità della città. Quando nasce un bambino, la mamma schiaccia un bottone e una nuova luce si accende tra le strade di Gent».

Se nelle città italiane, specie alcune, si adottasse la geniale idea di Garutti per l’illuminazione pubblica, ci sarebbe presto il rischio di rimanere al buio. Non per insufficiente alimentazione elettrica, ma a causa del crollo demografico. Come ci ricorda lo stesso quotidiano di Confindustria, in 20 anni l’Italia ha perso 3 milioni di 18-34enni. Non solo, il 35% degli under 30 è pronto a lasciare l’Italia per avere salari più alti (sondaggio Ipsos).

Sui motivi di questo stato di cose ci sono in campo diverse opinioni, alcune sostenute anche da studi e statistiche. Sostanzialmente in quasi tutti i casi si tratta di bugie (specie a riguardo dei bassi salari). Degli esempi? Gian Carlo Blangiar, prof. emerito di demografia e già presidente dell’Istat: «[...] nel 2008 sono nati 577mila bambini e bambine, che tra un paio d’anni dovranno decidere il percorso di studi universitari, lo scorso anno ne sono nati 379mila [...]».

Di là dei numeri, che non sono contestabili, Blangiar, con un curriculum di dieci pagine, vive in un mondo poco frequentato dai comuni mortali. Non di meno, Carlo Marroni, che scrive l’articolo e riporta le parole di Blangiar, scrive: «Il tema demografico oggi va a sbattere con un sistema scolastico disegnato da Giovanni Gentile e di fatto in 100 anni poco o nulla è cambiato».

Mi pare evidente che questi esperti non siano mai entrati in una famiglia normale, cioè in una famiglia media italiana. Sentire Francesco Billari, rettore dell’università Bocconi (privata) e prof. di demografia: «Data la penuria di capitale umano non possiamo più permetterci di lasciare, come succede oggi, metà degli studenti essenzialmente indietro, con cicatrici di basse competenze che si porteranno dietro per sempre».

La penuria di “capitale umano”. Sempre lì vanno a parare, l’idea fissa che tutto e tutti siano “capitale”. E dunque l’obiettivo sarà quello di migliorare la scuola pubblica, con più investimenti e una migliore selezione (questa sì) del corpo docente (meglio formato e retribuito)?

Non proprio: l’obiettivo della scuola, chiosa l’articolista citando l’illustre rettore, «da tempo non è più la selezione ma l’inclusione». Puntano a una scuola elitaria, una cultura ricca e varia immediatamente spendibile a scopo produttivo, che favorisca gli studenti più “meritevoli” nella loro personale scalata sociale, magari con corsi privati di auto- motivazione su come imparare a sgomitare nella competizione con il prossimo.

Insomma una scuola strettamente premiale e fortemente individualistica, d’impronta “americana”, “cinese”, “giapponese”, magari una scuola dove lo studente è un cliente. Non certo una scuola come bene comune, che considera quest’ultimo come lo stato di equilibrio dinamico automaticamente risultante dalla corretta competizione tra gli individui.

Questa gente invece ci racconta la solita storia di una società vista da vincenti, e importa nulla se nel mondo non possono esserci, evidentemente, milioni di storie come la loro.

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