venerdì 5 gennaio 2024

Cent'anni di inettitudine

Festa del fanciullo quella di Gaza

Non è tutta colpa della sinistra se il “popolo” le ha voltato le spalle. Essa sconta le inevitabili conseguenze della trasformazione tecnologica e dunque dei rapporti di produzione, dei rapporti tra le classi. La questione centrale è quella del rapporto tra classi proprietarie e dirigenti verso la maggioranza della società di massa. Di come non funzioni più il meccanismo democratico in un mondo dove la società si avvia a diventare sempre più una sola “gigantesca impresa”.

Tutti i problemi sociali più urgenti, anche quello demografico, trovano origine in questa trasformazione dei rapporti sociali. Per andare lisci: se il modello esclusivo dell’intera società è quello del successo economico, magari legato al mito del “merito”, va da sé che la valorizzazione esasperata di tale aspetto assume titolo anche morale per aspirare ad una superiorità sociale non solo funzionale, ma anche strutturale. La distanza tra le classi sociali è tornata a essere molto netta: la posizione delle classi inferiori più bassa, quella delle classi superiori più alta.

È in tale contesto sociale ed ideologico che matura il rifiuto di qualsiasi altro valore che non sia legato al successo professionale ed economico, e ciò infine produce nella società una spaccatura profonda almeno quanto nelle passate società di classe. È la fine, per dirla grezza, dell’idea e dalla prassi di un riformismo che puntava sulle pari opportunità e la solidarietà sociale (l’epoca d’oro dell’egualitarismo). La sinistra riceveva in premio il consenso elettorale.

Non è più così, volevamo l’evoluzione progressista e invece siamo alla catastrofe. Un’élite ha ereditato il mondo e in gran parte le conquiste sociali di un tempo sono state revocate e annullate. Il credito popolare d’un tempo alla sinistra è svanito quasi del tutto. Se lo prendono i fascisti e quelli che dichiarano di voler abolire la povertà (in un contesto capitalistico!) o quelli che vomitano spasmodicamente congiure (che altro non sono in prevalenza che gli sviluppi potenti del capitalismo).

Ecco che, nonostante la conservazione formale del costume liberale, la democrazia è stata definitivamente smontata di ogni sostanza. Una volta che si procede a scremare la società secondo i valori imposti dal neoliberismo, assicurando per esempio solo a una piccola parte di essa un’istruzione di prim’ordine (molto onerosa in termini di spesa individuale), e di conseguenza una serie di privilegi economici e di status sociale, il resto della popolazione viene progressivamente e automaticamente ad assumere il carattere non solo sociale, ma anche biologico, di classi inferiori, addestrate ai consumi e al godimento passivo e triviale di certe performance spettacolari.

L’assioma del pensiero corrente delle élite è che gli individui sono ineguali. Magari non te lo dicono in faccia, ma lo pensano e lo applicano. Gli elementi socialmente superiori sono superiori per l’intelligenza, l’istruzione e capacità straordinarie (*). Questo viene dato credere nel coerente sistema di valori del XXI secolo. E ciò a giustificazione di compensi economici e privilegi che altrimenti non si saprebbe come motivare.

È lecito dubitare che le classi inferiori sarebbero diventate così docili se non avessero trovato comodo il loro stile di vita. Ciò è avvalorato dal fatto che le classi inferiori non hanno più una propria ideologia di reale contrasto dell’ordine sociale. Anche la diffusa stupidità, compresa quella mediatica e politica (ormai costituiscono un tutt’uno), trova una sua spiegazione: la stupidità non è rilevata come tale quando i criteri entro i quali agisce un dato gruppo sociale trova del tutto normali quei tratti.

Nulla in ciò è casuale. In un’epoca nella quale gli sviluppi della tecnologia permettono di estendere l’automazione a tutti i settori dell’economia e della società, i membri delle classi inferiori si vedono sbarrata anche la prospettiva di poter avere un lavoro dignitoso e tutelato (in una società giovanilista si diventa obsoleti già a quarant’anni). Certo, si portano ad esempio delle eccezioni, che però restano tali e funzionali alla riproduzione. In questo relativamente nuovo contesto c’è la premessa per tutto il resto, demografia e esiti elettorali compresi.

(*) Conoscete un solo membro di questa élite che non mandi i propri figli in una scuola privata? Non in una scuola privata qualsiasi, ma nelle migliori e con le rette più alte. Scuole che dovrebbero funzionare senza oneri per lo Stato, e che invece ricevono contributi in ogni forma possibile. Questi genitori non lo fanno per snobismo, né tanto per perpetuare distinzioni di classe, non almeno come motivazione principale. Mandano i propri figli in quelle scuole perché abbiano il meglio. Acquistano a un prezzo stabilito un’istruzione privilegiata. Se la scuola pubblica fosse all’altezza del compito e godesse di prestigio, per le scuole private non ci sarebbe mercato (un tempo, alle scuole private le famiglie che se lo potevano permettere iscrivevano i figli somari). Pertanto, la scuola pubblica non si trova nella situazione attuale per caso. In tutto ciò c’è stata premeditazione, si è voluto conseguire un disegno. Si è trattato di un processo di espropriazione, mentre per contro aumentava il prestigio (e il prezzo) delle scuole private. È la forma mutata del diritto allo studio e di quanto previsto dall’articolo 34 della costituzione. Questi sono i veri “complotti”, non altre bagatelle. 

12 commenti:

  1. Post bellissimo e tristissimo.
    Avrei voluto scriverlo io, se ne fossi capace
    Baci

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  2. "Un’élite ha ereditato il mondo e in gran parte le conquiste sociali di un tempo sono state revocate e annullate"

    Per come la vedo io, non è corretta questa affermazione. Oggi viviamo nella "Democrazia dello svuotamento" ovvero sono rimaste le leggi delle conquiste sociali ma svuotate, appunto, della loro funzione nel mondo reale.

    Come è stato possibile?

    L'esempio più lampante è la legge sull'aborto. Nemmeno a questo governo di fasci viene minimamente l'idea di modificarla ne tantomeno cancellarla. E' bastato spingere, nel corso degli ultimi 30 anni, l'inserimento degli obbiettori di coscienza negli ospedali ed oggi ci ritroviamo che una donna che vuole eseguire una interruzione di gravidanza è costretta alla violenza di una via crucis psicologica che non le permette di portare a termine la sua scelta.

    E' stato svuotato pure lo strumento dello sciopero che ormai è diventata una macchietta e potrei andare avanti per ore.

    Ovviamente anche il voto non ha nessun più valore di cambiamento sociale. I partiti non esistono più, anch'essi svuotati della loro rappresentazione sociale. Sono diventati dei fan club di arrampicatori sociali che leccano il culo al personaggio di turno che non propone visioni di mondo ma persegue il successo personale e si fa garante delle istanze di chi detiene il capitale.

    Con questa strategia, chi vuole contestare la mancata efficacia delle leggi ha pochi appigli visto che la legge formalmente c'è, così come chi mette in dubbio l'attuale efficacia di questa democrazia viene deriso visto che tutti possono votare.

    Il peggio deve ancora venire. Finita il ciclo delle ultime generazioni (gli attuali 40enni) che sono cresciute con la politica, eleggeremo lobotomizzati che si sono "formati" in un modo privo di idee che ha eletto il fancazzismo e il divertimento a ragione di vita e quindi i problemi sono seccature da scansare.

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    1. sì, il termine svuotate è migliore di annullate. grazie

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  3. Post magistrale, come sempre.

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  4. http://tinyurl.com/2s46yvrr

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  5. la demografia di oggi non è una conseguenza dei rapporti di produzione bensì impone quantitativamente la qualità di questi rapporti

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  6. Non potrei essere più d’accordo, naturalmente.
    C’è solo un punto, apparentemente una faccenda nominalistica. Si tratta del “neoliberismo”. Forse ho già raccontato che ho cercato di documentarmi sull’uso di questo termine, che vede accomunati nella repulsione analisti di sinistra e di destra, e pure i cosiddetti rossobruni. Quando vai a scavare nei fondamenti teorici e pratici dell’analisi, scopri che la teoria non si sposa con la pratica. Anzi, alla teoria si sostituisce il moralismo. Il neoliberismo non è, come io pensavo, il trionfo del laissez-faire, o della mano invisibile. Il neoliberismo è il trionfo dell’egoismo della classe dominante.
    Non è che io non sia d’accordo che la classe dominante è egoista: vorrei però capire cosa c’entra questo col liberalismo, in termini socioeconomici. E vengo a osservazioni concrete, ossia numeriche. Se guardiamo il bilancio dello Stato italiano, vediamo che la spesa pubblica è oltre la metà del PIL (sopra i 1000 miliardi per il 2022, ossia il 54%). Per farci un’idea finalmente numerica, nella seconda metà dell’ottocento, quando trionfava il vero liberismo economico, la spesa pubblica si aggirava intorno al 10%, a coprire principalmente gli stipendi dei pubblici impiegati e le spese militari; il resto era iniziativa privata, selvaggia o meno. A questo punto, gli interlocutori dedestra e desinistra devono, in genere, superare uno scoglio, che è quello dei soldi di tutti. E’ incredibile quanto ostico risulti il concetto che i soldi dello Stato sono i soldi nostri. Superata questa montagna logica, e intuito cosa voglia dire “taxpayer’s money”, viene subito fuori l’argomento dell’evasione fiscale (“se pagassero tutti, si pagherebbe di meno”). Evito di entrare nel vortice polemico che vede i balneari e i tassisti colpevoli di ogni male, mentre tutti i capitalisti sono residenti a Montecarlo o almeno in Lussemburgo, e le loro aziende sono registrate in Olanda o Irlanda. Dico solo che non è questo il punto. Anche se gli Agnelli, i Del Vecchio, i DeBenedetti, i Rocca pagassero le tasse in Italia, rimarrebbe sempre la contraddizione in termini di un paese liberista nel quale più di metà del PIL è spesa pubblica.
    Cerco di concludere quella che è solo un grezzo abbozzo di analisi socioeconomica: l’Italia non è (più) una società liberale. Si avvicina, come la maggior parte dei paesi occidentali, a una forma di feudalesimo. Anche peggio, a dire il vero.

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    1. Penso che il neoliberismo, o comunque lo si voglia chiamare, prima di essere una pratica soggettiva sia un insieme di determinazioni economiche oggettive. Nel post, molto schematicamente, ho cercato di tratteggiare una dimensione sociologica del fenomeno.

      Il confronto tra il welfare di oggi e quello del passato hai ragione è improponibile. Bisogna tener conto per quanto riguarda la spesa pubblica dell’impatto della previdenza, della sanità, per quanto malconcia, delle decine di miliardi per la spesa militare e il mantenimento di un gigantesco apparato poliziesco, ecc.. Quindi degli oneri sul debito, che non sono poca cosa, specie a fronte della massiccia evasione ed elusione fiscale. Cose che sappiamo e che ci ripetiamo da decenni a noia.

      Quello che dovremmo mettere in discussione invece è lo smantellamento pianificato dell’industria pubblica, invece di riformarla in modo da renderla più efficiente. È stata una lotta pluridecennale tra il pubblico e il privato senza esclusione di colpi. In questo modo, lo Stato è stato chiamato ad affermare le condizioni di valorizzazione del capitale privato, per il resto occupandosi della riproduzione complessiva delle classi sociali e della riproduzione nelle classi lavoratrici in particolare con sempre maggiori oneri e minori possibilità di spesa. Sia ho detto per inciso, ciò non significa che lo Stato non abbia conservato una propria autonomia, però sempre più residuale in rapporto sia al capitale che ai veri padroni dell’Unione Europea.

      Tale intervento dello Stato, che chiamiamo welfare, costituisce una necessità storica alla quale non può sfuggire sotto il peso delle contraddizioni della società di classe. Ed è proprio tenendo a freno le insorgenze della classe sfruttata che lo Stato può operare tagli lineari alla spesa sociale. Peraltro, essendo necessario finanziare il debito pubblico, si richiede l’aiuto di organismi internazionali e del mercato dei capitali esteri, gettando così le basi materiali ed economiche di un intervento straniero nelle decisioni di politica economica da adottare. A ciò si è aggiunta la tenaglia dell’euro …

      In definitiva voglio dire che il capitalismo reale e lo Stato hanno perso certe loro determinazioni specifiche, si sovrappongono, si fondono; e la funzione dello sfruttamento si arricchisce cumulando immediatamente su di sé anche quella del dominio. Quest’ultimo punto mi pare essenziale poiché qui si inserisce anche la questione del controllo sociale che si riproduce all’interno di ciascun individuo-cittadino attraverso una irradiazione informazionale di comandi semplici ed elementari, una irradiazione martellante, interattiva, sistematica, diffusa, pluralistica, sovrabbondante e pluristrumentata. Tocca ai media, principalmente, trasmettere linearmente e diffondere nei differenti contesti e con gli opportuni adattamenti secondo i profili sociali di ciascuno, le opportune ingiunzioni: su di essi riposa la buona riuscita di tutta l’operazione …

      Non lo ripeterò mai abbastanza e ahimè inutilmente: sulla battaglia ideologica ci si gioca tutto.

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    2. La spesa sociale serve al mantenimento ordine liberale

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    3. Sì, ottima sintesi e anche ottima allusione a tematiche laterali da sviluppare. La sovrapposizione fra capitalismo reale e Stato la vediamo bene negli Stati Uniti. Ma la cosa davvero importante è l'ideologia, cui accenni alla fine. La differenza fra il padrone delle ferriere di un secolo fa e Bill Gates è che il primo pensava solo al quattrino, il secondo vuole plasmare la società (beninteso guadagnando sempre di più). Questa è una cosa che ancora mi sbalordisce, e ogni volta che ci penso non riesco a capacitarmene: questa gente vive ideologicamente. E' anche per questo che penso al feudalesimo: c'era, a sostenere il sistema, la religione, ossia l'ideologia del tempo. Oggi hanno messo in campo tutte le fregnacce globaliste e il Dio Pianeta. Non mi è del tutto chiaro come si chiudano i ragionamenti, ma anche loro possono fallare.

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