Ho scritto ciò che segue un po’ per rabbia contro certo romanticismo economico che tende a dimenticare che il capitalismo non cambia e non cambierà mai pelle, dunque a margine di un articolo comparso sull’inserto domenicale del Sole 24ore dal titolo: La paradossale illusione delle aziende woke, recensione a un librone di 314 pagine di tale Carl Rhodes che sostiene che la moralità aziendale minaccia la democrazia. Andatevene a fare in culo sarebbe stato il commento più giusto e adeguato, tuttavia devo pur scrivere qualcosa con questo freddo.
Nulla è più falso di tutta l’ipocrita retorica delle classi possidenti, che affermano esservi nell’attuale ordinamento sociale diritto e giustizia, eguaglianza dei diritti e dei doveri e una generale armonia degli interessi. L’attuale società si presenta, nella sostanza nel più classico dei modi, come una grandiosa istituzione per lo sfruttamento dell’enorme maggioranza del popolo a opera di una piccola minoranza proporzionalmente sempre decrescente.
Rispetto alle società precedenti, laddove l’arricchimento dei proprietari di schiavi o dei signori feudali avveniva sfruttavano il lavoro servile, in quella attuale è diversa solo la forma con cui avviene l’appropriazione del lavoro non pagato. È sempre bene ribadire questo e altri concetti simili, specie in tempi della malora come questi.
La differenza tra lo schiavo dell’epoca antica e il salariato moderno risiede nel fatto che la continuità del rapporto fra schiavo e schiavista era assicurata dalla costrizione diretta di cui lo schiavo era vittima. Il lavoratore libero è invece costretto ad assicurarla egli stesso, poiché l’esistenza sua e della sua famiglia dipende dal continuo ripetersi della vendita ai capitalisti della propria capacità lavorativa.
Per quanto la si voglia menare sulle sorti magnifiche e progressive del capitalismo, la sua realtà, per quanto riguarda lo sfruttamento e l’estorsione della ricchezza prodotta dai lavoratori salariati, è rimasta immutata e nulla, qualunque estensione tecnologica il capitale riuscirà ad escogitare per risparmiare tempo di lavoro, potrà cambiarla.
Tutta la vita del salariato moderno viene ad essere trasformata in un mezzo per vivere, poiché solo il lavoro che egli svolge può garantirgli la sopravvivenza, e a volte il suo solo lavoro nemmeno gli basta. Solo in quanto gli è permesso di lavorare, solo in quanto lavora per un certo tempo gratuitamente per il capitalista (e quindi anche per quelli che insieme col capitalista consumano il plusvalore), gli è permesso di vivere!
La sua attività vitale è dunque per lui soltanto un mezzo per poter vivere. Egli lavora per vivere, non calcola il lavoro come parte della sua vita: esso è piuttosto un sacrificio della sua vita. Esso è una merce che egli ha aggiudicato a un terzo. La vita incomincia per lui dal momento in cui cessa questa attività, ossia a tavola, al banco dell’osteria, nel letto.
E però la pervasività dell’economia capitalistica s’è fatta tale che sfrutta tutti i bisogni del lavoratore che servano all’accrescimento del capitale, proponendogli surrogati di “vita”, precipitandolo nel più vieto consumismo e a un livello della più profonda degradazione. Anche il suo tempo disponibile viene a prestarsi per l’autovalorizzazione del capitale. Il capitale incorpora, dove è possibile, tutta la società nel processo produttivo di plusvalore.
Gli intellettuali organici alla classe borghese proclamano che con la transizione al capitalismo la schiavitù è stata definitivamente spazzata via dalla storia, poiché gli individui sono dichiarati formalmente liberi; in realtà essi non sono mai stati tanto legati alla loro condizione di merce tra le merci, soggetti ad input e codici ipnotici. Ciò che i media vendono, non solo mediante la réclame, è tempo cerebrale disponibile.
Lungi dal rappresentare il tempo storico della libertà pienamente ottenuta, nell’era del capitalismo senescente l’alienazione è divenuta totale. Non riguarda solo gli zombie che aspettano quasi un giorno davanti a un negozio Apple. Anche nel guardare una serie televisiva, la dipendenza ci spinge a voler sapere che cosa succede dopo e quindi a guardare l’episodio successivo. Non serve nemmeno un messaggio pubblicitario esplicito, siamo già entrati in un certo mondo che è intorno a noi e dentro di noi, interiorizzato fin dalla tenera età. Ci hanno formattato il cervello per obbedire, servire e comprare.
Tutto vero, tutto giusto ma che fare?
RispondiEliminaRibellarsi è possibile.
Posso citare qualche esempio illustre?
Emile Zola, "J'accuse", 1898
Jean Paul Sartre, Le manifeste des 121 (1960)
E poi leggere e rileggere Pierre Bourdieu
Mi rendo conto che sto citando solo francesi e mi chiedo perchè.
abbiamo tutti in noi qualcosa di Maigret
EliminaProduci consuma e crepa, cantava il guitto. Neanche l'ottimismo della volontà?
RispondiEliminaPietro
http://tinyurl.com/mrymn58f
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