mercoledì 19 agosto 2020

La strada per una società più giusta e più libera



Leggo che in Italia ci sono almeno 400mila milionari. Circa metà di questi, o forse di più, sono multimilionari. Con 5 trilioni di dollari di ricchezza finanziaria personale, l’Italia dei ricchi e dei ricchissimi si piazza al nono posto nella graduatoria mondiale. E stiamo parlando di ricchezza finanziaria. Basterebbe un piccolo “prelievo”, pari al 5%, a favore dell’erario e si renderebbero disponibili 250 miliardi. Non rivanghiamo velleità anarco-comuniste, che poi questi filantropi col culo degli altri si agitano e ti chiudono i rubinetti della pubblica carità televisiva.

A proposito di “comunismo” (le virgolette sono d’obbligo, solo dei comici potrebbero negarle), come stanno le cose in Cina?

Il 28 maggio, durante una conferenza stampa dopo il Congresso nazionale del popolo (!?), il primo ministro cinese Li Keqiang (secondo per importanza dopo “Ping”) ha dichiarato che “ci sono ancora circa 600 milioni di persone il cui reddito mensile è di appena 1.000 renminbi, circa 120 euro (*).

Questo commento sulla miseria del 45% della popolazione del paese offre uno sguardo sull’incredibile livello di disuguaglianza sociale e sulle dure condizioni di vita di questi cinesi. E però la Cina ha registrato 373 miliardari nel 2020, secondi nella classifica mondiale.

Il 2020 era originariamente previsto come termine ultimo per vincere “la battaglia contro la povertà”. Noi in Italia invece, com’è noto, ci siamo riusciti con un anno d’anticipo.

Li Keqiang ha poi dichiarato che il governo “[ha] fiducia che saranno garantiti i bisogni essenziali della nostra gente e raggiungeremo il nostro obiettivo”.

C’è tuttavia anche una significativa classe media cinese, non per nulla la Cina è il più grande mercato per tutti i marchi di lusso occidentali, rappresentando il 33% del mercato globale nel 2018. E questo uno dei motivi del perché in Cina, come del resto altrove, non vi sia minaccia di rivoluzione sanculotta.

Un altro motivo economico che frena le rivolte nelle campagne riguarda le rimesse dei contadini immigrati nelle città come salariati.

I bassi salari e le scarse opportunità di lavoro nelle campagne sono uno dei principali fattori che contribuiscono all’enorme migrazione interna di lavoratori che cercano occupazione meglio remunerata nelle città per sostenere le loro famiglie nelle campagne. Nel 2019, c’erano 174,25 milioni di lavoratori migranti rurali in Cina, secondo il National Bureau of Statistics.

Mentre il reddito mensile medio dei lavoratori migranti è circa tre volte quello delle campagne, vivere nelle città è una dura lotta di sopravvivenza. La disuguaglianza economica tra i lavoratori migranti è molto marcata in rapporto alla media della popolazione urbana stabile.

I lavoratori migranti sperimentano una grande insicurezza poiché debbono cambiare lavoro in media ogni uno o due anni. Molti lavorano senza un contratto, il che rende estremamente difficile ottenere legalmente arretrati salariali o un risarcimento in caso d’infortunio sul lavoro.

La maggior parte di loro fa molti straordinari giornalieri e anche nei fine settimana, con al massimo due o tre giorni liberi il mese. Senza gli straordinari, non guadagnerebbero abbastanza per coprire le elevate spese di soggiorno nelle città, specie a Pechino, Shanghai e Shenzhen, dove vive gran parte dei lavoratori migranti. Non resterebbe loro quasi nulla da mandare a casa senza il super sfruttamento al quale sono sottoposti. I dirigenti di fabbrica e dei cantieri usano la minaccia di togliere gli straordinari per disciplinare i lavoratori che esprimono malcontento per i salari e le condizioni di lavoro.

Negli ultimi dieci anni, il prezzo medio delle case a Pechino è raddoppiato. Per ridurre i costi di locazione, la maggior parte dei migranti vive in baraccopoli, o “villaggi all’interno delle città”, che sono affollate e le cui infrastrutture e servizi sono generalmente di pessimo livello.

Lo spazio vitale medio è di pochi metri quadrati a persona. La maggior parte possiede pochi o nessun mobile e deve condividere i bagni con i residenti di un intero piano o edificio. Alcuni scelgono di vivere in dormitori di fabbrica dove di solito condividono una stanza con molti altri, non hanno praticamente nessuno spazio privato e hanno un accesso limitato a servizi essenziali come l’acqua calda della doccia.

Inoltre hanno un accesso molto limitato alla maggior parte dei servizi sociali nelle città come l’istruzione e le pensioni. Secondo uno studio dell’Università di Wuhan meno del 22% di questi lavoratori è coperto da previdenza per la pensione di vecchiaia di base.

La Cina sta vivendo l’epopea descritta da Marx a proposito dell’accumulazione originaria. È ora uno dei paesi socialmente più disuguali, con un coefficiente di Gini di 0,465 nel 2019. Mentre centinaia di milioni di cinesi devono lottare per ottenere un salario, un alloggio, servizi sociali e un’istruzione decenti, c’è una realtà nettamente diversa che riguarda i super ricchi.

I dati del National Bureau of Statistics mostrano che il reddito disponibile medio annuo per il 20% più ricco della popolazione è di 70.639,5 RMB, quasi 11 volte superiore a quello del 20 percento più povero.

L’apertura del paese negli anni 1980 come piattaforma di lavoro a basso costo per gli investimenti stranieri ha dato la stura a uno sfruttamento della forza-lavoro senza ostacoli che ha arricchito soprattutto uno strato sociale cinese di miliardari parassiti e i capitalisti di tutto il mondo.

Dopo quasi 30 anni di collettivismo e più di 40 anni di “riforme” in senso capitalista, non c’è da aspettarsi un’autocritica dai “compagni” cinesi al vertici del sedicente Partito comunista. Mao ha commesso, come dicono loro, un 30 per cento di “errori”, e però non meno gravi “errori” sono stati commessi dai suoi celebrati successori.

La strada per una società più giusta e più libera non passa neanche per la Cina.

(*) Secondo il National Bureau of Statistics, in Cina nel 2017 la popolazione rurale era di circa 576 milioni (oggi un po’ meno) e il loro reddito medio annuo disponibile era di soli 14.617 RMB (circa 2.000 dollari), ossia 1.218 RMB (circa 175 dollari) al mese. Nelle zone di campagna più povere, la media scende a circa 138 dollari il mese. Quindi la popolazione rurale costituisce la grande maggioranza dei 600 milioni di persone a cui fa riferimento Li il cui reddito mensile è inferiore a 145 dollari.

1 commento:

  1. Eppure viene da chiedersi, come mai non si innescano conflitti sociali, dato il numero di lavoratori coinvolti, o scontri sociali importanti.

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