mercoledì 24 luglio 2019

Bretton Woods e l'irrisolta contraddizione


Nel luglio di 75 anni fa, si concludeva la conferenza di Bretton Woods. I partecipanti, i rappresentanti delle potenze alleate ancora impegnati nelle fasi finali della guerra contro Germania e Giappone, erano perfettamente consapevoli che nelle loro deliberazioni era in gioco un nuovo ordine economico e la sopravvivenza del capitalismo. Infatti, quella conferenza avrebbe svolto un ruolo chiave nel gettare le basi per il ristabilimento dell'economia mondiale dopo la devastazione di due guerre mondiali e la Grande Depressione degli anni '30, aprendo così la strada per il boom postbellico (*).

Gli Stati Uniti, le cui capacità industriali erano cresciute nel corso della guerra a tal punto che nel 1945 rappresentavano circa il 35% della produzione mondiale, furono in grado di usare la loro forza economica per ricostruire il capitalismo mondiale. Non lo fecero per altruismo, ma perché la stabilizzazione del capitalismo in Europa e in Asia si adattava agli interessi americani. Se l’Europa e il resto del mondo fossero stati riportati alle condizioni degli anni Trenta, l'economia americana, dipendente dall'espansione del mercato mondiale, avrebbe dovuto affrontare un disastro anche più grave di quello vissuto nel decennio precedente.

Parlando a conclusione dell'incontro, il segretario al Tesoro americano Henry Morgenthau riassumeva: “Siamo arrivati ​​a riconoscere che il modo più saggio ed efficace per proteggere il nostro interesse nazionale è attraverso la cooperazione internazionale, vale a dire attraverso lo sforzo unito per il raggiungimento di obiettivi comuni”.

I timori che spingevano verso questo orientamento furono espressi nel marzo del 1945 in un discorso al Congresso dal sottosegretario di Stato agli affari economici William Clayton. Dirigendo le sue osservazioni contro i sostenitori delle tariffe doganali elevate, avvertiva che “la pace nel mondo sarà sempre gravemente compromessa dal tipo di guerra economica internazionale che è stata condotta così amaramente tra le due guerre mondiali”, e che "la democrazia e la libera impresa non potranno sopravvivere a un'altra guerra mondiale”.

Ciò descrive precisamente la strada sulla quale è avviato il mondo: si approfondiscono i conflitti economici e le minacce di guerra, soprattutto da parte dall'imperialismo americano. Infatti, a tre quarti di secolo di distanza da quella conferenza, nel momento del suo massimo trionfo, il sistema capitalista mondiale sta affrontando una serie di crisi non meno gravi di quelle che contrassegnarono il periodo tra le due guerre mondiali.

Da oltre due anni, gli Stati Uniti stanno portato avanti un'escalation di guerra economica, colpendo allo stesso modo alleati e rivali imponendo o minacciando tariffe doganali. Si tratta delle stesse politiche tariffarie che crearono le forti tensioni commerciali degli anni Trenta e che gli architetti dell'accordo di Bretton Woods avvertirono avrebbero portato a una nuova catastrofe.

Va chiarito che la crescente guerra commerciale e la minaccia alla stabilità e pace mondiale non sono il prodotto della psicologia o della mentalità di un particolare gruppo di politici alla Donald Trump, ma si tratta bensì di processi radicati nella profonda e irreversibile crisi dell'imperialismo americano, prodotto esso stesso dell'evoluzione storica del sistema capitalistico mondiale nei tre quarti di secolo da Bretton Woods. Se a ciò si aggiunge l'intraprendenza e l'aggressività dell'imperialismo cinese, la sempre accesa criticità mediorientale, non c'è da stare tranquilli.

(*) Lo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, aveva posto in luce che la guerra era il risultato della contraddizione tra lo sviluppo dell’economia mondiale e la divisione del mondo in Stati-nazione rivali. Tale contraddizione è stata alla base anche del II conflitto mondiale in scala anche maggiore, così come, e lo si è visto in seguito, di tutti quei conflitti aperti o sottotraccia che si sono localmente combattuti fino ad oggi. Difendendo i propri interessi, nella lotta per i mercati, i profitti e le risorse, ciascuna grande potenza crea le condizioni che portano inevitabilmente alla contrapposizione e al conflitto.

Il sistema di Bretton Woods aveva lo scopo di minimizzare i conflitti tra le maggiori potenze capitaliste. Difendendo gli interessi dell'imperialismo britannico, l’economista John Maynard Keynes propose la creazione di una valuta internazionale, il bancor, per finanziare transazioni commerciali e d’investimento globali. L’essenza del piano Keynes era di rendere gli Stati Uniti soggetti alla stessa disciplina delle altre maggiori potenze, limitandone così il suo dominio.

Il piano bancor è stato categoricamente respinto e il dollaro USA è stato posto a base di un sistema monetario internazionale rinnovato. Nonostante tutta la retorica sulla necessità di una collaborazione internazionale, l’egemonia americana è stata sancita dall'accordo di Bretton Woods. L'unico vincolo per il dollaro consisteva nella scambiabilità con l'oro in rapporto di 35 dollari per oncia (circa 1,1 dollari per grammo).

La contraddizione tra economia mondiale capitalistica e sistema degli Stati-nazione non è stata superata, ma solo momentaneamente aggirata con il sistema di Bretton Woods. Sarebbe tornata in superficie.

8 commenti:

  1. Poiché nello stesso post si parla di tariffe e di Keynes, può essere utile ricordare che Keynes si ritrovò a essere favorevole al protezionismo quando faceva parte di una commissione governativa che aveva lo scopo di contrastare la crisi nata nel 1929. Il ragionamento era identico a quello oggi adottato da Trump: ottenere maggiore occupazione interna. Keynes, che un po’ si vergognava di contraddirsi, specificò che mai avrebbe avallato l’idea di tariffe permanenti (long-term), ma che nel breve potevano servire. La stessa cosa che dice Trump. La cosa crea imbarazzo tra i neokeynesiani, ossia il gruppo di intellettuali più ridicolo dal tempo della scapigliatura lombarda.

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    1. Apprezzo il tuo commento e visto che sei un tipino vispo e intelligente rispondo per le lunghe.

      È chiaro che difendono acriticamente i fondamenti del sistema capitalistico in generale e quelli nazionali di riferimento in particolare. Qualunque sia il livello di consapevolezza proprio del singolo economista (ma ciò vale anche per altre figure), il collante sono gli interessi di classe e l’esimente l’ideologia stessa che li supporta. Se Keynes fosse nato trent’anni dopo, in Russia, sarebbe potuto diventare un intellettuale di rigida osservanza dei cosiddetti e fasulli principi del marxismo-leninismo. Il nostro destino personale dipende da una molteplicità di fatti casuali, ma alcuni di essi sono assai determinati: l’epoca, il luogo, la classe sociale di appartenenza. A cascata viene l’ambiente familiare, gli studi, le frequentazioni, ecc.. Tutto ciò, mi rendo conto, è ovvio, ma spesso viene trascurato.

      Sono tra le poche persone che in Italia si siano prese la briga di leggere (per davvero) la Teoria generale …; ebbene, tratta di aspetti relativi alla sfera della tassazione e della circolazione; vi è sottesa ad ogni pagina una falsa coscienza che non può lasciare sconcertato ogni lettore che abbia avuto a che fare, non dico con la critica dell’economia politica marxiana, ma semplicemente con i classici dell’economia politica. Quanto poi al “moltiplicatore” e alla “domanda aggregata”, vedi:
      https://www.nuovaresistenza.org/2016/02/se-il-pesce-non-abbocca-non-e-colpa-del-pesce/

      Se pensiamo che l’economia politica borghese non ha mai fatto un’analisi esauriente delle differenze nella composizione organica del capitale e ancor meno nella formazione del saggio generale del profitto, ossia che non ha mai fatto distinzione fra plusvalore e profitto (malgrado ciò che si crede, il cosiddetto “valore aggiunto”, di cui parlano gli economisti, non è precisamente assimilabile al concetto di plusvalore e nemmeno di profitto); che per quanto riguarda la caduta tendenziale del saggio del profitto ha constatato l’esistenza del fenomeno e si è data da fare per spiegarlo con tentativi contraddittori, ma date le premesse non vi è riuscita; se insomma per motivi del tutto ideologici e quindi d’interesse di classe vive in uno stato confusionale totale e permanente, allora non ci si deve più meravigliare del fatto che essa non sia mai riuscita a trovare risposte adeguate sulle cause REALI e OGGETTIVE della crisi, e anzi propenda arrampicarsi sugli specchi della psicologia sociale borghese, facendo perdere alla crisi il suo carattere capitalistico per assumerne uno “umano”.

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    2. oh, gli scapigliati furono comunque un sasso nello stagno, e secondo me, cosa che conta più di tutte, si divertirono assai assai

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  2. E poi..

    E poi dicono che Marx era un utopista , millenarista.
    Non so più dove l'avevo letto, ma me lo ero appuntato.
    Creazione di un mercato mondiale,estensione del modo capitalistico di produzione nell'intero pianeta,centralizzazione del capitale e concentrazione dei mezzi di produzione,maturazione del capitalismo in imperialismo,imputridimento parassitario,burocratizzazione, militarizzazione ect, ect,

    In altre parole legge dello sviluppo..

    Beh, chi ha da confutare ,confuti, forza fatevi avanti che a me (mi) viene da ridere.

    Beata utopia millenaristica.
    In casa nostra ,poi, Si tav, NoTav..burloni !

    caino

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  3. Perché se un medico cerca di alleviare le sofferenze del malato senza promettere di renderlo immune per sempre né dalle malattie né dalle sofferenze, va bene, se un economista adotta lo stesso atteggiamento verso la società, non va bene ?

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    1. l'omeopatia è provato scientificamente non funzionare. La sua risposta significa che ritiene che all'interno del capitalismo non esista per principio la possibilità che una qualsiasi particolare politica economica possa migliorare le condizioni materiali dei cittadini e quelle dell'economia ?

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    2. non funziona così, nel senso che le analogie vanno bene fino a un certo punto, non si possono tirare in lungo come chewingum

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