In anni di profonda e diffusa incertezza
sociale e di vacuità ideologica, il Capitale di Karl Marx resta la lettura perfetta per
comprendere l’interna contraddizione di un sistema economico che ha raggiunto
la fase del suo declino storico e che nessuna innovazione tecnologica e velleità
riformistica potrà infine arrestare.
martedì 31 dicembre 2019
lunedì 30 dicembre 2019
In attesa del botto finanziario
Gli
indici del mercato azionario di Wall Street sono destinati a terminare l’anno a
livelli quasi record, in netto contrasto con la fine del 2018, quando hanno
vissuto il loro peggior dicembre dal 1931, all’apice della Grande Depressione.
Da
una mia vecchia agenda riprendo alcuni dati sul mercato azionario di Wall
Street del 2001, cioè ben prima della crisi, e li confronto con quelli odierni.
Il 3 gennaio di quell’anno il Dow Jones segnava 10.646 punti e 2.291 il NASDAQ.
Venerdì scorso il Dow Jones fissava a 28.645 e 8.770,98 il NASDAQ. Standard
& Poor, il paniere azionario formato dalle 500 aziende statunitensi a
maggiore capitalizzazione, il 27 scorso era a 3.240 punti, il 3 gennaio 2001 a
1.335. Dall’inizio di quest’anno il suo aumento è stato di circa il 29 per cento.
Insomma,
chi ha investito in quel mercato azionario nel 2001 e non si è fatto prendere
dal panico nel 2008, può aver tranquillamente triplicato il proprio capitale
senza muovere un dito (anzi proprio per quello), cosa che non succede sicuramente
con le obbligazioni statali (*).
L’escalation
dei mercati finanziari, tuttavia, non è espressione di salute economica, se
consideriamo che le principali banche centrali del mondo hanno pompato migliaia
di miliardi di dollari e di euro nel sistema finanziario, senza tacere delle
crescenti disuguaglianze sociali, il peggioramento dei salari e degli standard
di vita per milioni di persone. Tutto ciò è l’espressione contraddittoria della
crisi non più solo ciclica ma storica del sistema.
sabato 28 dicembre 2019
Improvvisazioni
Che significa “uomo del nordest”? Belzoni, anzi
Bolzon, era nato a Padova, e ciò basti (*). Quanto al nordest di allora era
diviso tra la Repubblica di Venezia, l’Impero asburgico e il Principato
vescovile di Trento.
Ancora: che c’entra “razza Piave”? È vero
che “razza Piave” indica uomini forti e vigorosi, ma non tutti i veneti si
riconoscono in “razza Piave”. Provate a dirlo a un veronese, oppure a un veneziano
(quasi s’offende). E nemmeno i patavini si definiscono “razza Piave”. Tutt’al
più si possono accostare al Brenta, o ancor meglio al Bacchiglione, il fiume
che attraversa la città.
(*) Bolzoni a sedici anni
si trasferì in riva al Tevere, cfr. Marco Zatterin, Il gigante del Nilo, Mondadori, 2000, p. 4.
giovedì 26 dicembre 2019
Venga con noi
La libera stampa, e più in generale la
libera informazione, rappresentano realmente uno dei pilastri della democrazia?
Sarà, ma vedo solo un grande monopolio sull’opinione pubblica, e non colgo
nessuna voce critica nella stampa che ponga in deciso dubbio che la nostra sia
un’autentica democrazia. Penso per esempio al peso che hanno i potentati
economici nel sistema, informazione compresa, of course.
Dove avranno trascorso il Natale i responsabili dei
fallimenti bancari di questi anni e quelli di questi ultimi giorni? E dove i
responsabili della strage della ThyssenKrupp? In quale considerazione l’amica
Germania ha preso le richieste italiane di estradizione? Penso quindi alla
magistratura, il potere che fa tutte le parti in commedia in questo paese, vero
governo ombra e opposizione compresa.
Clara Mazzanti, di cui dirò, afferma che la
frase che più la fa inorridire e che ogni giorno sentiamo e leggiamo su tutti i
media è: “Ho fiducia nella giustizia”. E lei sa bene di che cosa parla. Forse
non sa bene di che cosa parla il presidente della Camera, Roberto Fico, il
quale ha rilanciato il proposito di desecretare tutti gli atti relativi alla
strage di Piazza Fontana; lo stesso provvedimento già annunciato da Matteo
Renzi nel 2014. Dopo cinquant’anni dobbiamo sentire ancora di queste cose. Ciò
che di veramente segreto c’è in quella strage, così come nelle altre, non lo
sapremo mai.
E dunque mi chiedo chi
può pensare seriamente che in questo paese (come in altri, d’accordo) la
democrazia (il potere del popolo) sia qualcosa di effettivo, di reale? Ma ovvio, quelli della libera stampa!
*
È il mercato, non il meteo
Aggiornamento:
Stesso Grande Giornale, poche ore dopo.
Premetto che non ho nessun titolo per
parlare di meteorologia, però mi sembra che si stia esagerando con allarmismi
ed emergenze. L’Italia, a causa del suo territorio particolarmente vario,
costellato di catene montuose, di pianure o altipiani incastonati tra le
montagne, e per la presenza di un mare chiuso particolarmente caldo, è un
territorio davvero complesso per le condizioni meteo. Senza dimenticare i
flussi atlantici, africani e artici.
In ogni epoca si è assistito a degli estremi,
sia per il maltempo, con forti scarti sull’equilibrio idrostatico, e sia per la
siccità prolungata. Con ciò non voglio negare che negli ultimi vent’anni, in
particolare, vi sia una tendenza globale all’aumento delle temperature con
picchi elevati, e che in gran parte ciò sia causa delle attività antropiche. Su
ciò pare non ci siano più dubbi sul piano scientifico, e unanimità dal lato
della comune percezione dei fenomeni.
Tuttavia vorrei ricordare, tenendo fermo
questo dato sull’aumento delle temperature medie, che non molto tempo fa, verso
la metà degli anni 80, si parlò di “mini glaciazione”. A tale riguardo rammento
con certezza un numero di Le Scienze,
credo del 1985, in cui numerosi articoli (e la copertina) erano dedicati
all’ondata di freddo che si stava abbattendo in particolare in Europa e negli
Stati Uniti.
mercoledì 25 dicembre 2019
Basterebbe un part-time
Non siete stati voi preti, abbaiatori di
Dio, per secoli, ad aver ridotto la trascendenza a prospettiva mercantile e di
potere, con le decime, le indulgenze, le donazioni (quelle vere e quelle fasulle)?
E per quanto riguarda i poveri del pianeta non è stata la vostra evangelizzazione ad aprire
la strada a una miseria in via di sviluppo?
Rinunciate ai vari oboli e all’8 per mille, date tutto integralmente e in totale trasparenza a chi ha bisogno. Verba docent, exempla trahunt.
E invece sapete bene che non c’è premio se non nel godimento del presente, perciò accampate la scusa del sostentamento (chiamate così la crapula) a spese altrui, cioè di quelli che lavorano davvero. A voi sedicenti eunuchi per vocazione basterebbe un part-time, un normale precariato, così avreste modo di mortificare il corpo, che chiamavate “prigione della coscienza”, senza il quale anche voi non sareste niente.
Rinunciate ai vari oboli e all’8 per mille, date tutto integralmente e in totale trasparenza a chi ha bisogno. Verba docent, exempla trahunt.
E invece sapete bene che non c’è premio se non nel godimento del presente, perciò accampate la scusa del sostentamento (chiamate così la crapula) a spese altrui, cioè di quelli che lavorano davvero. A voi sedicenti eunuchi per vocazione basterebbe un part-time, un normale precariato, così avreste modo di mortificare il corpo, che chiamavate “prigione della coscienza”, senza il quale anche voi non sareste niente.
P.S. : avete innalzato una croce recante l’indumento
simbolo di un migrante naufrago. Bravi. Attendiamo ne innalziate un’altra con l’immagine di un bambino insidiato e stuprato dagli orchi in clergyman.
martedì 24 dicembre 2019
Regalo di Natale (a debito)
Prima che far bene al mercato non deve far danno agli utenti e ai contribuenti. Finora non si
segnalano grandi esempi concreti, tutt'altro, almeno qui da noi ma anche
altrove. Il punto dirimente evidentemente non è più Stato o, per contro, meglio è solo il mercato.
Il capitale privato può far bene alla singola impresa (soprattutto a quelle che operano in regime di monopolio), quindi a molte imprese, ma nell'insieme ciò implica un'economia che opera senza riguardo ai limiti propri del mercato, e dunque con il sistema di mercato si finisce complessivamente in un mare di quella roba che chiamano crisi e che fa male a tutti (o quasi) ma soprattutto a chi campa di salario e stipendio.
Quanto al capitalismo di Stato, che in ogni caso non può essere contrabbandato per socialismo o comunismo, si tratta pur sempre di capitalismo. Vale a dire che lo Stato, proprio perché opera entro il mercato, spesso lo fa senza aver troppo riguardo alle sue leggi, ed è dunque destinato nel suo complesso a impasse o fallimento.
A monte di tutto, nell'un caso come nell'altro, sta la sempre più ampia divaricazione tra valore d'uso e valore (con il denaro mediatore dello scambio; viceversa, il mutare delle attuali forme di scambio con nuove forme di scambio sociale, non implicherebbe il dover ritornare a forme primigenie di baratto), che dà luogo alla contraddizione fondamentale immanente a qualsiasi forma nella quale si esplica il modo di produzione capitalistico.
Il capitale privato può far bene alla singola impresa (soprattutto a quelle che operano in regime di monopolio), quindi a molte imprese, ma nell'insieme ciò implica un'economia che opera senza riguardo ai limiti propri del mercato, e dunque con il sistema di mercato si finisce complessivamente in un mare di quella roba che chiamano crisi e che fa male a tutti (o quasi) ma soprattutto a chi campa di salario e stipendio.
Quanto al capitalismo di Stato, che in ogni caso non può essere contrabbandato per socialismo o comunismo, si tratta pur sempre di capitalismo. Vale a dire che lo Stato, proprio perché opera entro il mercato, spesso lo fa senza aver troppo riguardo alle sue leggi, ed è dunque destinato nel suo complesso a impasse o fallimento.
A monte di tutto, nell'un caso come nell'altro, sta la sempre più ampia divaricazione tra valore d'uso e valore (con il denaro mediatore dello scambio; viceversa, il mutare delle attuali forme di scambio con nuove forme di scambio sociale, non implicherebbe il dover ritornare a forme primigenie di baratto), che dà luogo alla contraddizione fondamentale immanente a qualsiasi forma nella quale si esplica il modo di produzione capitalistico.
*
La Banca mondiale propone un regalino con il
quale giocare a Natale, ossia una ricerca di quasi 250 pagine più bibliografia:
Global Waves of Debt: Causes and Consequences. Detto in sintesi, per chi il 25 dicembre avesse preso altri
impegni, la ricerca rileva un’ondata globale (tutto è globale, direbbe
Pigafetta) di debito dal 2010 che ha portato i paesi in via di sviluppo ad
accumulare qualcosa come 55 trilioni di dollari di debiti, un record storico.
Nella sua prefazione alla pubblicazione, il
presidente della Banca mondiale, David Malpass, analizza i collegamenti tra l’accumulazione
del debito e le crisi finanziarie, osservando che le “ondate di accumulo di
debito” sono state una delle principali caratteristiche dell'economia globale
negli ultimi 50 anni, con quattro ondate nelle economie emergenti e in via di
sviluppo dal 1970.
domenica 22 dicembre 2019
L'aspirapolvere
Più ancora di altri luoghi della nostra
casa, forse anche più delle domestiche librerie, le stanze da bagno ci dicono
chi siamo. Nella stanza più piccola della nostra casa, per dirla con Goethe, quella
delle attività più intime, abbiamo raccolto sciampo, bagnoschiuma, sapone e
altri detergenti, dentifricio, collutorio, cosmetici, assorbenti, carta
igienica, salviette, disinfettanti, profumi e deodoranti, rasoi e creme da
barba, aggeggi elettrici e no, insomma una miriade di prodotti tutti
debitamente reclamizzati e scelti con cura. Tutto ciò dà la misura non solo della
pervasività del capitalismo come “immane raccolta di merci”, per dirla con il
Grande Vecchio, quindi dello status di benessere, ma anche del grado di buona
igiene raggiunto negli ultimi decenni.
È vero che nel nostro pittoresco paese qualcuno
recentemente ha messo in dubbio che sia salubre farsi almeno una doccia il giorno, ma si tratta di stravaganze. Già un tempo, in generale, ci si lavava
molto di meno di oggi, il bagno era settimanale e ci si cambiava quasi solo in
tale occasione. Ciò accadeva non solo per necessità, ma anche perché non si
avvertiva il bisogno di farlo più frequentemente e ciò senza che la cosa
creasse particolare disagio a se stessi, ma semmai agli altri (mal comune mezzo
gaudio). Diciamo che certe abitudini igieniche seguivano pedisseque la tradizione.
Potremmo oggi rinunciare a tutto ciò?
Nemmeno per idea, salvo, appunto, i “tradizionalisti”. Tuttavia,
tradizionalisti a parte, noi vediamo che vi sono molte persone che vivono e
lavorano a nostro contatto, fornendo servizi essenziali alla collettività, e
che non solo non hanno lo stesso nostro concetto d’igiene, ma sembrano averne
uno di molto particolare, se d’igiene si può parlare. Per esempio, si lavano
ancora come facevano quando vivevano sulle rive dell’Indo, del Nilo, del Niger,
dello Shyok o del Jhelum, cioè solo con acqua, in modo parziale e senza impiego
di detergenti. Semplici abluzioni che hanno a che fare con il rito ma non con
l’igiene vera e propria.
Verrà il momento in cui queste persone
perverranno a pratiche d’igiene meno sommarie e sbrigative? Difficile
rispondere affermativamente, anche perché constato che oltre alle più
elementari regole igieniche personali e domestiche si comportano con estrema
nonchalance anche nel manipolare i prodotti che mettono in vendita o che confezionano
e servono ai tavoli dei ristoranti. Insomma, rientrano anche loro e con modi
propri nel novero dei mai estinti “tradizionalisti”.
Post scriptum: nel caso denotaste questo
post anche solo vagamente striato di “razzismo”, v’invito ad andare … in piazza
con coloro che da qualche settimana si propongono di venderci un aspirapolvere
(dopo l’apriscatole di Grillo).
sabato 21 dicembre 2019
L'amante
Piove. Anche a quote più alte, per cui a Natale
gli sciatori dovranno accontentarsi di neve artificiale. M’importa nulla, io
amo il piano, la campagna e il mare, soprattutto nelle mezze stagioni, quelle
che com’è noto non ci sono più. La montagna invece non m’entusiasma, e mi tiene
distante quando c’è neve. E dire che nell’anno in cui nacqui, l’Italia fu
travolta da un'ondata di gelo senza precedenti: caddero numerosi record
climatici e nevicò fino a Lampedusa, evento rarissimo. Sul finire del mese di
gennaio il gelo era avanzato inesorabile verso il Mediterraneo Centrale, le
isoterme fino a -15° a 1500 metri sfondavano in Pianura Padana nelle prime ore
del giorno, portando intense e abbondanti nevicate su gran parte delle regioni
centro settentrionali. Il giorno dopo, venerdì, mia madre partorì verso le ore
12.
Con oltre mezzo metro di neve, genitori e
parentado convennero che si sarebbe atteso il giorno dopo per l’iscrizione all’anagrafe,
aperta anche di sabato mattina. Sennonché il giorno dopo la vecchia auto non ne
voleva sapere di superare la salitella che dal cortile conduceva in strada, e
del resto come arrivare con quel ghiaccio fino al municipio? Il nonno s’offri volentieri d’andare, a piedi, fino in piazza, tanto più che aveva bisogno di fermarsi
in ferramenta. Sennonché tra il negozio di ferramenta e il municipio incontrò l’osteria,
e gli parve giusto e doveroso festeggiare con amici e semplici avventori la
lieta novella. Per la verità il nonno non fu mai un forte bevitore, anzi, fu assai
moderato, salvo in pochissime occasioni.
Tornato a casa assai gioviale, il nonno fu
sottoposto a quarto grado dalla nonna e dalle zie. Si scoprì con raccapriccio
che all’anagrafe aveva fatto registrare il mio nome in modo sbagliato. In
pratica aveva omesso consonante e vocale in fine al nome, e aveva mutato di ciò
che restava l’ultima vocale da femminile in maschile. Dopo i primi momenti di agitazione,
sembrava che la cosa dovesse chiudersi lì, senza altri patemi. E però una
nipote riferì a mia madre, a letto, del fattaccio. In quel momento era presente
anche l’ostetrica, tornata a verificare come stesse la puerpera. Chiaro che la
questione del nome sbagliato non poteva passare in cavalleria.
Fu prontamente lo zio a offrirsi
di sistemare la faccenda presso l’anagrafe. Chiese all’ostetrica di
accompagnarlo, e così partirono entrambi su una pista di ghiaccio a bordo di
una Topolino anni Trenta, di quelle con i fari anteriori ancora distinti dal
cofano. Il protrarsi dell’assenza dello zio per quasi tutto il giorno non
preoccupò alcuno. Lo zio medesimo raccontò poi che emendare l’errore del nonno aveva
richiesto molto tempo, fino a pomeriggio inoltrato. I parenti sorrisero e si fecero
l’occhiolino, poiché tutti sapevano che zio e ostetrica erano amanti da anni.
venerdì 20 dicembre 2019
Se non si afferra tale differenza, Marx è inutile
A riguardo di Marx e della questione della crisi Roberto Fineschi scrive:
«La crisi. Anche questo è un tema per cui in realtà Marx è stato sulla bocca di tutti dato che le teorie ortodosse non hanno una spiegazione della crisi. Se voi studiate nei manuali di macroeconomia leggete di crisi frizionali, crisi di riassestamento, rigidità che possono essere fluidificate con interventi esterni che però non implicano ciclicità strutturali per cui la crisi è un elemento costante, ricorrente della riproduzione sociale; quindi quando ci si trova di fronte a crisi come quella del 2007, 2008, in parte ancora in atto, i nostri economisti ufficiali non sanno che dire. Cito spesso che su Rai due Giuliano Amato spiegava la crisi con la teoria della sovrapproduzione di Marx, su Rai due alle 14,30! Non aveva un teorico ortodosso che gli dicesse perché potesse esserci una crisi così clamorosa e deflagrante che spezzava in maniera così dirompente le dinamiche della riproduzione. E Giuliano Amato spiega con eleganza, su Rai due, che c’è la crisi, perché Marx ha ragione, perché c’è la sovrapproduzione, perché il modo di produzione capitalistico tende a produrre a prescindere dal bisogno solvente, cioè a prescindere da chi può pagare, quindi alla fine ingolfa il mercato con una quantità di merci non vendibili, crolla il prezzo, la speculazione finanziaria non può rispondere a questa dinamica oggettiva».
Se posso riassumere, la metterei così: l’essenza della produzione capitalistica, implicando la
produzione senza riguardo ai limiti del mercato, conduce alla crisi. Il che è
vero nella misura in cui è fuorviante.
giovedì 19 dicembre 2019
Cretini in tv
Questa sera un cretino in televisione (uno dei tanti) se n’è
uscito con questa frase testuale: “Se Marx non avesse odiato i padroni, non ci
sarebbe stato il movimento operaio”. Questo è il Marx e il marxismo che passa
quotidianamente per i media, questa è l'informazione, questo il livello
culturale.
«In una parola per evitare possibili malintesi.
Non dipingo affatto in luce rosea le figure del capitalista e dei proprietario
fondiario. Ma qui si tratta delle persone soltanto in quanto sono la
personificazione di categorie economiche, incarnazione di determinati rapporti
e di determinati interessi di classi. Il
mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della formazione economica della
società come processo di storia naturale, può meno che mai rendere il singolo
responsabile di rapporti dei quali esso rimane socialmente creatura, per
quanto soggettivamente possa elevarsi al di sopra di essi.
Nel campo dell'economia politica la libera
ricerca scientifica non incontra soltanto gli stessi nemici che incontra in
tutti gli altri campi. La natura peculiare del materiale che tratta chiama a
battaglia contro di essa le passioni più ardenti, più meschine e più odiose del
cuore umano, le Furie dell’interesse privato […]» (Karl Marx, Il Capitale, critica dell’economia politica,
Prefazione, 25 luglio 1867).
Dalla guerra contro la povertà a quella contro i poveri
In attesa di festeggiare natale e capodanno,
do notizia di chi ha buoni motivi di festeggiare tutto l’anno. Nello specifico
di là dell’Atlantico, dove sono meno ipocriti che nel nostro pittoresco paese e hanno il coraggio di regolamentare per legge l’evasione fiscale (non è ironica).
La Tax Cuts and Jobs Act, approvata nel
dicembre 2017 e firmata dal presidente Donald Trump, ha ridotto al 21 per cento
l'aliquota fiscale federale sul reddito delle società (una riduzione del 40 per
cento rispetto alla precedente aliquota del 35 per cento). La legge del 2017 ha
apportato altre modifiche fiscali che incidono su ciò che le aziende pagano
d’imposte.
In tal modo nel 2018, negli Stati Uniti, 379
società censite da Fortune 500 come altamente redditizie hanno versato
un’imposta sul reddito federale media effettiva di appena l'11,3%. Questo è uno
dei dati di un rapporto pubblicato lunedì scorso dall'organizzazione per la
politica fiscale senza scopo di lucro, l'Institute on Taxation and Economic Policy (ITEP).
Il rapporto rileva che oltre la metà delle
379 società, ovvero 195, ha versato meno della metà della nuova aliquota
dell'imposta sulle società prevista per legge al 21%. Cinquantasei società
hanno pagato aliquote fiscali effettive comprese tra lo zero e il 5 per cento (la
loro aliquota fiscale media effettiva era del 2,2 per cento). Quasi un quarto
delle 379 società, 91 società, non hanno pagato imposte sul reddito.
Le agevolazioni fiscali sono prevalentemente
concentrate a favore di poche grandi società, tanto che solo 25 aziende si sono
portate a casa 37,1 miliardi di $ di agevolazioni fiscali, ossia quasi la metà
dei 73,9 miliardi di agevolazioni
fiscali richieste da tutte le 379 aziende. Solo cinque società, Bank of
America, JP Morgan Chase, Wells Fargo, Amazon e Verizon, hanno beneficiato complessivamente
di oltre 16 miliardi di agevolazioni fiscali nel 2018.
Dalla guerra contro la povertà a quella
contro i poveri. Ripeto ancora una volta: Marx ritornerà di moda.
mercoledì 18 dicembre 2019
Forse, chissà
In un sistema di mercato, fosse pure a
livello di baratto, il rischio cova in ogni aspetto del gioco di scambio e di
promessa. E uso la parola gioco, più
neutra di altre. Ciò posto, la cosiddetta diligenza del buon padre di famiglia,
pur non garantendo immunità dai rischi (nulla è immune da rischi), se non altro
serve a contenere i danni eventuali, a non credere facilmente nelle favole, a
non cedere alle lusinghe di chi la sa molto più lunga di te (non mi riferisco
solo alle banche, ovviamente, ma alla miriade di lupi mannari in circolazione).
Se alcuni di questi e simili concetti, espressi
meglio per carità, li scrivessimo a caratteri cubitali in parete nelle aule di scuola media, in modo che gli alunni, e
dapprima gli insegnanti, possano riflettervi? Facendo poi del libro di Carlo
Lorenzini, in specie capitolo XVIII, materia d’esame sia scritta che orale? Non
si faccia spallucce a una simile pragmatica proposta. Con un investimento
minimo si potrebbero ottenere in futuro grandi risparmi (ed evitare figure di …
tolla). Forse, chissà.
martedì 17 dicembre 2019
Che c’entra l’acetone con la questione palestinese?
Quale ruolo svolge il caso negli eventi storici? Un ruolo
straordinario se consideriamo la storia solo dal lato del singolo événement. È vero che l’infinita messe
d’imprevedibili eventi casuali è il modo nel quale il reale si attua, tuttavia è
solo osservando il complesso degli eventi nel lungo periodo che si può comprendere
la differenza tra i processi di tendenza e l’azione casuale degli elementi
fortuiti, così come ebbe a definirli Engels in una lettera a Heinz Starkenburg,
nella quale chiariva che tracciando l’asse mediana della curva vedremo che
quanto più lungo è il periodo in esame, quanto più esteso è il terreno
studiato, tanto più questo asse corre parallelo all’asse dell’evoluzione
economica.
*
Quale ruolo ha avuto la
cosiddetta dichiarazione Balfour nella vicenda storica che ha portato
all’instaurazione dello Stato d’Israele? Tale “dichiarazione” consiste in una
breve lettera che il ministro degli Esteri inglese Arthur James Balfour indirizzò a un privato
cittadino, Lionel Rothschild. Questi non ricopriva un ruolo ufficiale nel
movimento sionista, ma era strettamente associato e amico intimo di Chaim
Weizmann quando era presidente della Federazione sionista britannica, inoltre
era cugino del barone Edmond James de Rothschild, che sponsorizzava l’insediamento
ebraico in Palestina. Lionel divenne noto per le sue stravaganze: andava per le
strade di Londra in una carrozza trainata da quattro zebre (come la famiglia di mercanti indiana dei Mullick, che nella Calcutta della fine del Settecento, soleva girare per la città con una carrozza trainata da due zebre). Nella lettera il
governo britannico esprimeva simpatia per le aspirazioni dell'ebraismo sionista
dichiarandosi con favore per la costituzione, in Palestina, di un “focolare
nazionale” per il popolo ebraico.
Un documento del genere era stato
oggetto di desiderio da decenni, sin da quando Herzl aveva cercato di
convincere i principali sovrani europei nella speranza di ottenere un placet
per l'insediamento ebraico in Israele. Il movimento sionista ha saputo
abilmente trasformare la lettera di Balfour in uno dei fondamenti del suo
diritto a occupare stabilmente la Palestina, cacciando dalla loro terra gli
abitanti autoctoni, spesso requisendo o distruggendo i loro beni immobili,
istaurando uno Stato sovrano d’ispirazione sionista (1).
Si tratta di un territorio che il
“popolo ebraico”, segnatamente i sefarditi e gli askenaziti, non possono storicamente vantare di aver
abitato in nessuna epoca, poiché la storia del “popolo ebraico” è in gran parte un’invenzione, e la faccenda della “diaspora” un’ipotesi aleatoria (vedi Il mito degli antenati ebraici). Tuttavia la
dichiarazione Balfour ha un’origine assai curiosa e merita di essere accennata.
* * *
Chi e che cosa spinse il
ministro degli Esteri inglese Balfour a indirizzare a Lionel Rothschild quella
lettera che i sionisti hanno brandito come fondamento giuridico del loro
diritto a occupare in massa la Palestina? La protostoria di tale vicenda non è
azzardato definirla come “esplosiva”.
Partiamo da una voce di Wikipedia dedicata a
Chaim Weizmann, che sarà poi il primo presidente dello Stato d’Israele:
«Dal 1900 al 1903 è stato professore di chimica,
prima all'Università di Ginevra e poi, dal 1904 al 1916, a quella di
Manchester. [Cittadino russo] Naturalizzato britannico, assunse la carica di
direttore dei laboratori dell’Ammiragliato Britannico [1916-‘19] durante la
prima guerra mondiale, contribuendo agli studi sugli esplosivi e inventando la
cordite. Scoprì un metodo per l'estrazione di petrolio sintetico da
sostanze organiche presenti in natura».
Chiariamolo subito, Chaim Weizmann non “inventò” la cordite. Quanto
all’asserita estrazione di “petrolio sintetico” (?!), dirò in seguito.
Che cos’è la cordite?
È un esplosivo infume a basso potere
dirompente a base di nitroglicerina (58%, in peso), nitrocellulosa (37%) e oli
minerali (5% di vaselina), usato essenzialmente per le cariche di lancio nelle
armi da fuoco, da quelle portatili, a quelle di campagna, alle artiglierie
navali.
Venne sviluppato e prodotto nel Regno Unito
dal 1889 per sostituire la polvere nera come propellente militare. La cordite è
classificata come esplosivo detonante e non deflagrante come dell’originaria
polvere nera, cosa invece sostenuta in modo errato da Wikipedia.
Per la fabbricazione della cordite viene
impiegato l’acetone come solvente, in tal modo la miscela viene estrusa sotto
forma di cilindri a forma di spaghetti, chiamata figuratamente “cordite”. Fu
sintetizzata dai chimici inglesi James Dewar e Frederick Abel, modificando
opportunamente un esplosivo simile, chiamato balistite (costituito da due sostanze
esplodenti, nitrocellulosa e nitroglicerina).
Tanto simile che lo svedese Alfred Nobel, che
l’aveva brevettato, intentò una causa legale contro i due chimici inglesi, per
sottrazione di brevetto. Nobel, tuttavia, nei tribunali inglesi perse la causa.
Tra l’altro, la nitroglicerina e la nitrocellulosa (2) avevano avuto altri scopritori.
Ascanio Sobrero, chimico e medico
piemontese, ripeté l'esperimento della sintesi di nitrocellulosa (che era stato
effettuato, senza successo, da Schönbein): mise due gocce, questa volta di
glicerina, in una provetta e la riscaldò, ma la piccola esplosione che ne
scaturì durante l'esperimento danneggiò il laboratorio, così decise di
interrompere gli esperimenti. Successivamente Sobrero riprese gli studi degli
acidi e nel 1847 riuscì nella sintesi, ottenendo un nitrato esplosivo ancor più
stabile, la nitroglicerina, utilizzato poi da Alfred Nobel nel 1867.
Che ruolo ebbe quest’ultimo?
Iniziò nel 1859 lo studio sulla
nitroglicerina scoperta da Sobrero, e rendendosi conto che l’esplosione poteva
essere innescata con polvere da sparo, ne iniziò la commercializzazione sotto
il nome di “olio esplodente”. Un'esplosione distrusse la prima fabbrica
svedese, uccidendo il fratello di Alfred. Il commercio di “olio esplodente”
continuò fino al 1867, anno in cui Nobel adottò il fulminato di mercurio come “innescante” e stabilizzò la nitroglicerina facendola assorbire da farina fossile
(una diatomite). Con ciò ottenne una pasta morbida più stabile della
nitroglicerina, da plasmare in canne di dimensioni e forma
idonea per l'inserimento nei fori di perforazione, che chiamò dinamite, utile
nelle cave, demolizioni e per usi bellici. Il tecnico-imprenditore svedese
brevettò nel 1875 la cosiddetta "gelatina esplosiva", a base di
cotone collodio e nitroglicerina, con un potere esplosivo maggiore della
dinamite.
E Chaim Weizman dal quale siamo partiti? Meglio
la Treccani: “condusse importanti ricerche sulla fermentazione acetonbutilica,
che sfruttò (1914) per la produzione dell'acetone, di grande interesse per l’industria
bellica dell'epoca”. Non la sfruttò nel 1914 per la produzione dell'acetone,
bensì in seguito, e però il resto è esatto.
*
Nella versione italiana delle Memorie di guerra di Lloyd George non si
fa menzione al ruolo svolto da Weizmann relativamente al problema del
munizionamento, tuttavia l’ex ministro scrive a tale riguardo: “Tra gli
sviluppi interessanti che riguardano il lato chimico della guerra, devo
menzionare la storia dell’acetone. […] Questa sostanza chimica era elemento
essenziale nel processo di produzione di cordite, comunemente prodotta dalla
distillazione del legname, e necessaria per fabbricare munizioni grandi e
piccole” (3).
L'acetone veniva prodotto principalmente da
minerali di raffinazione come l'acetato di calcio, che proveniva dalla Germania
e dall'Europa centrale. Essendo in guerra con gli Imperi centrali,
l’Inghilterra otteneva il calcio acetato dalla distillazione del legno, e dalla
decomposizione del calcio acetato produceva acetone. È necessaria una quantità
molto elevata di legname per produrre infine una tonnellata di acetone (4).
Prosegue Lloyd George: “Il problema del
nostro munizionamento s’impose subito allo scoppio delle ostilità. Dopo apparve
chiaro che se noi non lo avessimo saputo risolvere e risolvere con prontezza, saremmo
stati destinati a rappresentare una parte insignificante nella guerra” (p. 93).
Purtroppo nella versione italiana delle Memorie non si va oltre, ossia mancano proprio i capitoli relativi
alla vicenda degli approvvigionamenti di armi e munizioni. Pertanto si deve
fare ricorso alla versione americana dell’opera di Lloyd George stampata nel 1933 a Boston.
La Gran Bretagna dipendeva per gran parte
dalle importazioni di acetone dall'America. Comunque le forniture americane di acetato
per la produzione di acetone non bastavano per fabbricare le quantità di
cordite necessarie alla guerra. Inoltre, già nella primavera del 1915 la
situazione del mercato dell’acetato in America era diventata estremamente
delicata, poiché i prezzi venivano forzati e gli appaltatori vendevano la loro
produzione due volte, inadempiendo in tal modo i contratti e rendendo impossibile
per il governo britannico recuperare i danni.
Scrive Lloyd George: “The matter was urgent,
for without the acetone there would be no cordite for our cartridges, for either
rifles or big guns [cannoni]”.
Fu Charles Prestwich Scott, direttore del Guardian e amico di Lloyd George a
segnalare allo stesso ministro il chimico che faceva al caso, vale a dire il
prof. Chaim Weizmann, dicendogli che “l'unica cosa che gli interessava davvero era
il sionismo, e che era convinto che solo la vittoria degli Alleati era una
speranza per il suo popolo” (5).
Lloyd George invitò il professor Weizmann a
Londra. Allora era abbastanza sconosciuto al grande pubblico, ma non appena il
ministro lo incontra si rende conto che si tratta di una personalità davvero
notevole. Gli illustra il suo “dilemma chimico” e gli chiede aiuto. Il
professore rispose che non sapeva ancora se poteva dare aiuto, ma ci avrebbe
provato. Poteva produrre acetone da un processo di fermentazione su scala di
laboratorio, ma ci sarebbe voluto del tempo prima che potesse garantire una
produzione su scala industriale.
Dopo qualche settimana Weizmann tornò da
Lloyd George e gli disse che il problema era risolto: dalla microflora esistente
su mais e altri cereali era riuscito a isolare un organismo capace di
trasformare l’amido dei cereali, in particolare quello del mais, in acetone (6).
Lloyd George scrive che dopo il successo
della produzione di acetone con il metodo di Weizmann, gli disse: “Hai reso un
grande servizio allo Stato e vorrei chiedere al Primo Ministro di segnalarti a
Sua Maestà per un’onorificenza”. Weizmann rispose che non voleva nulla per se stesso, ma chiese al
ministro che facesse qualcosa per il suo popolo, spiegando che le sue aspirazioni
andavano sul rimpatrio degli ebrei alla “terra sacra che avevano reso famosa”.
Questa richiesta fu all’origine – scrive Lloyd George – della nota
dichiarazione sulla “National Home for Jews in Palestine”.
Non appena divenne premier, Lloyd George
parlò della questione con il ministro degli Esteri, Arthur James Balfour. Come
scienziato, dice Lloyd George, Balfour era immensamente interessato al successo
del dr. Weizmann, ed entrambi i politici inglesi erano ansiosi di raccogliere per
tale progetto il sostegno ebraico nei paesi neutrali. Questo è stato l'inizio
di processo, scrive, il cui esito, dopo un lungo esame, fu la famosa
dichiarazione Balfour, che “divenne la carta del movimento sionista”. Lloyd
George sottolinea con enfasi soddisfatta: “So that Dr. Weizmann with his
discovery not only helped us to win the war, but made a permanent mark upon the map of the world”.
Dice ancora Lloyd George che in seguito a
ciò Weizmann raccolse fondi per quindici o sedici milioni di sterline per
la ricostruzione di Sion (“rebuilding of Zion”), pp. 50-51. Nel 1939, Weizmann
viaggiò dalla Palestina all’Inghilterra per convincere il governo a non
pubblicare il Libro bianco proposto che limitava la Dichiarazione Balfour alla
Palestina a ovest della Giordania, creando una Palestina indipendente governata
da arabi ed ebrei palestinesi in proporzione al loro numero nella popolazione.
Il Libro bianco fu respinto dal parlamento inglese il 23 maggio 1939 con 268
voti a 179.
Ovviamente Lloyd George e Balfour erano ben
al corrente che nel 1916, la Gran Bretagna e la Francia avevano sottoscritto un
accordo per la spartizione della “carcassa del turco”, cioè dell’Impero
ottomano (l'accordo Sykes-Picot, dal nome dei due diplomatici che lo
firmarono). Com’è noto l'accordo fu firmato dai due paesi solo per cercare di
rafforzare la loro influenza nella regione, nella speranza di ottenere un
controllo reale. A tal fine, gli inglesi cercarono di acquistare il favore dei
due campi, arabi e sionisti – ed entrambi chiesero il riconoscimento del loro
diritto alla terra. Con la non trascurabile differenza che quella terra era
abitata dagli arabi.
(1) Per quello che vale la mia opinione, ritengo che oggi la popolazione ebraica abbia diritto di abitare e
vivere in pace in Palestina, al pari di quella araba palestinese. Reputo però
come un insulto l’instaurazione di uno Stato sionista, e un proposito errato quello di
costituire uno Stato palestinese. L’ideologia sionista e il nazionalismo arabo
hanno prodotto solo danni gravissimi e ormai irreparabili.
(2) Nel 1838 un chimico
francese, Théophile-Jules Pelouze, scoprì che la carta o il cartone potevano
essere resi violentemente infiammabili immergendoli in acido nitrico
concentrato. Pelouze ha chiamato il suo nuovo materiale “pirossina”. Christian
Friedrich Schönbein, un chimico svizzero, è stato in grado di aumentare il
grado di nitrazione della cellulosa, e quindi l'infiammabilità del prodotto,
immergendo il cotone in una miscela di acidi nitrico e solforico. Nel 1846
annunciò la scoperta di questa rivoluzionaria sostanza esplosiva, che divenne
nota come guncotton [nitrocellulosa,
altrimenti detto fulmicotone], e acquisì brevetti in Gran Bretagna e negli
Stati Uniti.
La nitrocellulosa non entrò in uso come componente
della polvere da sparo fino al 1860. La storia del suo primo impiego è stata
punteggiata da molte disastrose esplosioni, causate in parte dall'incapacità di
comprendere che la nitrocellulosa è un materiale instabile ed è soggetta alla
decomposizione catalitica causata dai suoi stessi prodotti di decomposizione.
Nel 1868, il chimico inglese Sir Frederick Augustus Abel mostrò che i metodi allora
prevalenti per lavare la nitrocellulosa dopo la nitrazione erano inadeguati e
che l'acido residuo causava instabilità. Nel 1880 l'ingegnere francese Paul
Vieille aggiungeva stabilizzatori speciali alla nitrocellulosa per
neutralizzare i prodotti di decomposizione cataliticamente attivi; il primo
propellente stabile e affidabile, polvere senza fumo, derivò dal suo lavoro e
divenne la principale forma di polvere da sparo. Anni prima era stata sperimentato l'impiego dell'acido picrico come carica di lancio, noto anche come melinite. Molto potente presentava però degli inconvenienti.
(3) “Among the interesting developments to
which the chemical side of warfare gave rise I must mention the story of acetone.
[…] This chemical, which was an essential element in the process of
manufacturing cordite, for cartridges great and small, was commonly produced by
destructive distillation of wood”.
(4) La quantità di acetone necessaria come
solvente era elevata: una tonnellata di cordite richiedeva più di 2 quintali di
acetone, che con recupero di solvente scendevano a circa 1,3 quintali.
(5) “[…] that the one thing he really cared about
was Zionism, and that he was convinced that in the victory of the Allies alone
was there any hope for his people”.
Anche Winston Churchill, come Primo Lord
dell'Ammiragliato, affrontò la crescente carenza di acetone usato per produrre
la cordite, e per tale motivo entrò anch’egli in contatto con Weizmann. Dopo le
dimissioni seguite alla disastrosa campagna di Gallipoli, Churchill fu nominato
alla fine della guerra ministro delle Munizioni e David Lloyd George, che era ministro
delle Munizioni, nel 1916 fu nominato premier. Churchill fu molto amico di Weizmann,
il quale aveva reclutato per la causa sionista l’ebreo Herbert Samuel, ministro
degli Interni nel 1916 e molti anni dopo leader del Partito Liberale. Due mesi
dopo la dichiarazione di guerra della Gran Bretagna all'Impero ottomano, Samuel
fece circolare un memorandum intitolato Il
futuro della Palestina, il quale suggeriva che la Palestina diventasse una
casa per il popolo ebraico sotto il dominio britannico.
Samuel dal 1920, due anni prima ancora che
la Società delle Nazioni conferisse il mandato alla Gran Bretagna (1925), fu
il primo alto commissario britannico della Palestina.
(6) Weizmann aveva iniziato ad approfondire
il processo di fermentazione dei batteri in condizioni di basso ossigeno nel
tentativo di trovare un microbo che producesse l’alcol isoamilico, per
impiegarlo nello sviluppo della gomma sintetica. Sarebbe stata una miniera
d'oro eccezionale. Nell’effettuare queste ricerche scoprì che alcuni batteri
isolati dal mais producono quantità molto elevate di butanolo e acetone.
Weizemann usò il batterio Clostridium acetobutylicum (il
cosiddetto organismo Weizmann) per produrre acetone. In seguito trasferì i
diritti alla produzione di acetone alla Commercial Solvents Corporation in
cambio di royalties. Attualmente la sintesi avviene attraverso l’idroperossido
di cumene, che a sua volta è trattato con acido solforico per dare fenolo e
acetone. L’idroperossido di cumene non va confuso con il perossido di acetone,
esplodente ma molto instabile (più della nitroglicerina).
Leggo da Wikipedia che il perossido di acetone sarebbe
stato utilizzato come esplosivo negli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi,
negli attentati di Bruxelles del 22 marzo 2016 e nell'attentato di Manchester
del 22 maggio 2017. Si ritiene sia stato utilizzato anche negli attentati di
Londra del 2005. Personalmente ritengo che se fu usato perossido di acetone per
fabbricare gli ordigni, essi furono messi in opera da non comuni specialisti!
domenica 15 dicembre 2019
Ci vuole altro che uno scossone
In questi giorni leggo di giornalisti freelance
che “amano tanto il loro lavoro” ma che sono destinati ad essere eterni precari
soggetti a vessazioni di ogni genere, anzitutto economiche. Scrive Sara Mauri: “Mancando
la gratificazione economica, ci deve essere come minimo quella personale. Ma se
anche quella manca?”
Qui il primo errore: il lavoro è lavoro e va
pagato. La gratificazione personale è altra cosa.
La colpa è di un sistema malato? Cioè? Una giornalista
nella sua denuncia non dovrebbe rimanere nel vago, anzi nel non detto.
Scrive ancora Sara: “Le cose devono cambiare, così
non si va avanti. Spero di contribuire a tirare giù quel muro di cemento, dando
un altro scossone all’impianto strutturale e viziato di questo mestiere che
maledettamente amo”.
Purtroppo non si tratta di un muro di cemento e
nemmeno di mattoni. Anzitutto devi capire di che cosa è realmente fatto quel
muro, così ti renderai conto che ci vuole ben altro che uno scossone.
Poco più di un anno fa scrivevo un post sul
ruolo dell’informazione, in particolare su quello degli editori e degli
editorialisti, ma anche sulla condizione dei “rematori”, come Sara Mauri, nella
stiva delle redazioni. Lo riporto intero salvo l’ultimo paragrafo che
riguardava altro.
*
sabato 14 dicembre 2019
È tardi per i ripensamenti
Le migliori.
-->
*
Il primo ministro conservatore Boris Johnson
ha ottenuto il maggior successo elettorale dalla vittoria di Margaret Thatcher
nel 1987, sulla scia del peggior risultato per il Partito laburista dal 1935.
I Tories, precedentemente ridotti a un
governo di minoranza, ora hanno una maggioranza di 80 seggi, con 365 parlamentari,
rispetto ai 203 del Labour, ai 48 del Partito nazionale scozzese, agli 11 dei
Liberali, agli 8 del Partito Unionista, ai 7 del Sinn Féin, 4 del Plaid Cymru
(partito politico gallese di centrosinistra) e il solo seggio dei Green.
Rispetto alle elezioni generali del 2017, i
Conservatori sono aumentati solo dell'1%, ma il Labour è sceso dell'8% ! Questo
risultato consolida il governo più a destra nella storia britannica del
dopoguerra, che si è impegnato a muoversi rapidamente per “portare a termine la
Brexit” e per completare la “rivoluzione Thatcher”.
Gli errori di Corbyn sono evidenti e contraddittori,
da un lato la sua sindrome acuta di riformismo sovietista, dall’altro l’errore di
schierarsi per l'una o l'altra fazione borghese e reazionaria nella disputa
sulla Brexit, una divisione creata ad arte, cui ha fatto seguito la scelta tutt’altro
che popolare di rinegoziazione di un accordo con l'UE, eccetera.
Bisognerebbe chiedersi come si è arrivati a quel punto, dal quale ha avuto origine il disastro attuale. Non lo faranno, poiché ciò significherebbe fare i conti con la vera natura del Labour.
Tuttavia non va posto in secondo piano il
ruolo avuto dai media, compresa la BBC, che sono stati un torrente di menzogne contro
Corbyn, accusato di portare alla rovina economica, minacciato la sicurezza
nazionale fino ad arrivare a dire che è antisemita. Una campagna che ha avuto
tra i suoi attori i principali rappresentanti delle forze armate, i servizi di
sicurezza e persino il rabbino capo e l'arcivescovo di Canterbury. L'intera
struttura della politica parlamentare è stata dichiarata marcia, fino ad attacchi
disgustosi contro i familiari dei politici.
Gli eventi confermano che non esiste più un
percorso parlamentare in cui si possano difendere posti di lavoro, salari e
servizi sociali, preservare i diritti democratici e fermare la spinta al
militarismo e alla guerra. È tardi e “la forza delle cose” farà il resto. Si
tratta di prendere atto che l’accumulo di errori, protratti per decenni, porta
a situazioni senza uscita, come è già successo in passato.
Scrivevo il 7 maggio scorso: «Prendiamo
atto, di garbo o no, che non è possibile nessuna risposta politica che guardi
al passato, nessuna possibilità di ripristino degli antichi equilibri tra le
classi sociali, nessun ritorno a quell’epoca dove contraddizioni e aspirazioni
trovavano nella piattaforma riformistica ricomposizione e agibilità».
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