Prima che far bene al mercato non deve far danno agli utenti e ai contribuenti. Finora non si
segnalano grandi esempi concreti, tutt'altro, almeno qui da noi ma anche
altrove. Il punto dirimente evidentemente non è più Stato o, per contro, meglio è solo il mercato.
Il capitale privato può far bene alla singola impresa (soprattutto a quelle che operano in regime di monopolio), quindi a molte imprese, ma nell'insieme ciò implica un'economia che opera senza riguardo ai limiti propri del mercato, e dunque con il sistema di mercato si finisce complessivamente in un mare di quella roba che chiamano crisi e che fa male a tutti (o quasi) ma soprattutto a chi campa di salario e stipendio.
Quanto al capitalismo di Stato, che in ogni caso non può essere contrabbandato per socialismo o comunismo, si tratta pur sempre di capitalismo. Vale a dire che lo Stato, proprio perché opera entro il mercato, spesso lo fa senza aver troppo riguardo alle sue leggi, ed è dunque destinato nel suo complesso a impasse o fallimento.
A monte di tutto, nell'un caso come nell'altro, sta la sempre più ampia divaricazione tra valore d'uso e valore (con il denaro mediatore dello scambio; viceversa, il mutare delle attuali forme di scambio con nuove forme di scambio sociale, non implicherebbe il dover ritornare a forme primigenie di baratto), che dà luogo alla contraddizione fondamentale immanente a qualsiasi forma nella quale si esplica il modo di produzione capitalistico.
Il capitale privato può far bene alla singola impresa (soprattutto a quelle che operano in regime di monopolio), quindi a molte imprese, ma nell'insieme ciò implica un'economia che opera senza riguardo ai limiti propri del mercato, e dunque con il sistema di mercato si finisce complessivamente in un mare di quella roba che chiamano crisi e che fa male a tutti (o quasi) ma soprattutto a chi campa di salario e stipendio.
Quanto al capitalismo di Stato, che in ogni caso non può essere contrabbandato per socialismo o comunismo, si tratta pur sempre di capitalismo. Vale a dire che lo Stato, proprio perché opera entro il mercato, spesso lo fa senza aver troppo riguardo alle sue leggi, ed è dunque destinato nel suo complesso a impasse o fallimento.
A monte di tutto, nell'un caso come nell'altro, sta la sempre più ampia divaricazione tra valore d'uso e valore (con il denaro mediatore dello scambio; viceversa, il mutare delle attuali forme di scambio con nuove forme di scambio sociale, non implicherebbe il dover ritornare a forme primigenie di baratto), che dà luogo alla contraddizione fondamentale immanente a qualsiasi forma nella quale si esplica il modo di produzione capitalistico.
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La Banca mondiale propone un regalino con il
quale giocare a Natale, ossia una ricerca di quasi 250 pagine più bibliografia:
Global Waves of Debt: Causes and Consequences. Detto in sintesi, per chi il 25 dicembre avesse preso altri
impegni, la ricerca rileva un’ondata globale (tutto è globale, direbbe
Pigafetta) di debito dal 2010 che ha portato i paesi in via di sviluppo ad
accumulare qualcosa come 55 trilioni di dollari di debiti, un record storico.
Nella sua prefazione alla pubblicazione, il
presidente della Banca mondiale, David Malpass, analizza i collegamenti tra l’accumulazione
del debito e le crisi finanziarie, osservando che le “ondate di accumulo di
debito” sono state una delle principali caratteristiche dell'economia globale
negli ultimi 50 anni, con quattro ondate nelle economie emergenti e in via di
sviluppo dal 1970.
Le prime tre sono state: la crisi del debito
in America Latina degli anni ‘80, la crisi finanziaria asiatica alla fine degli
anni ‘90 e la crisi finanziaria globale del 2007-2009. Una quarta ondata è iniziata
nel 2010 e ha raggiunto, come detto, 55 trilioni di dollari nei paesi in via di
sviluppo alla fine dello scorso anno, “rendendola la più grande, la più ampia e
la più rapida crescita delle quattro e sta assumendo forme più rischiose”.
Il rapporto sottolinea che l'attuale
escalation stava avvenendo in condizioni di crescita inferiore rispetto al
periodo precedente alla crisi del 2007-2009. Mentre le economie emergenti e in
via di sviluppo stavano crescendo a un ritmo più lento rispetto al passato, i
loro livelli di debito stavano aumentando più rapidamente. Dal 2010, il debito
nelle economie in via di sviluppo è salito a un totale di circa il 170 per cento
del loro prodotto interno lordo, con un aumento di 54 punti percentuali in soli
otto anni.
Le ondate precedenti erano in gran parte di
natura regionale, ma la quarta ondata è stata diffusa con un aumento totale del
debito nell'80% dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo,
aumentando di almeno 20 punti percentuali del PIL in poco più di un terzo di
queste economie.
Il rapporto avverte che su una serie di
misure le economie in via di sviluppo sono in una posizione peggiore rispetto a
prima della crisi finanziaria globale. Tre quarti presentano disavanzi di
bilancio, il debito societario in valuta estera è molto più elevato e i
disavanzi delle partite correnti sono quattro volte maggiori rispetto al 2007.
Ciò significa che, nonostante i tassi d’interesse
eccezionalmente bassi e la prospettiva di continui tassi bassi nel breve
termine, “l'attuale ondata di accumulazione del debito [una locuzione che
ricorre ben 16 volte nel rapporto] potrebbe seguire il modello storico e
culminare in crisi finanziarie”.
Il più grande aumento del debito è in Cina
(raggiunge 20 trilioni), dove il rapporto debito/PIL è aumentato di 72 punti,
al 255% dal 2010. Questo è il risultato delle misure avviate dal governo e
dalle autorità finanziarie per sostenere la crescita economica.
Il governo cinese sta ora cercando di
frenare l’accumulo di debito. Allo stesso tempo, sta cercando di mantenere la
crescita economica in condizioni in cui l'aumento del PIL è al suo livello più
basso in 30 anni.
Insomma, si può trarre la conclusione che la
follia dei finanziamenti cinesi non è stata accompagnata da un corrispondente
aumento della produttività, ma da un uso sempre più inefficiente del credito,
il che suggerisce che le società cinesi potrebbero avere una capacità
deteriorata di ripagare i debiti esistenti.
Non per nulla il Fondo monetario
internazionale ha stimato che il 15,5% di tutti i prestiti bancari commerciali
al settore delle imprese cinesi sono “a rischio”, il che significa che gli
utili dell'impresa non sono sufficienti a coprire i pagamenti d’interessi sui
suoi prestiti.
Il decennio 2020 non sarà monotono sotto
tale profilo quanto lo è stato il decennio che si sta chiudendo.
P.S. : la cosa abbastanza curiosa è data dal fatto che il rapporto considera la Cina un paese "in via di sviluppo".
P.S. : la cosa abbastanza curiosa è data dal fatto che il rapporto considera la Cina un paese "in via di sviluppo".
Una domanda ingenua: chi sono i "creditori" degli stati in via di sviluppo? È lecito immaginare che siano, per es. riguardo alla Cina, grandi società come Huawei e Alibaba che sono obbligate a comprare buoni del tesoro statale cinese?
RispondiEliminadi sicuro noi due non siamo tra i creditori della Cina.
Eliminabuon natale mio caro amico.
Vi ringrazio per quest' altro anno passato in vostra compagnia, auguri a entrambi
Eliminagrazie per i tuoi commenti ficcanti che non fai mai mancare.
Eliminaun abbraccio e auguri.
Una volta una rana vide un bue in un prato. Presa dall'invidia per quell'imponenza prese a gonfiare la sua pelle rugosa. Chiese poi ai suoi piccoli se era diventata più grande del bue. Essi risposero di no. Subito riprese a gonfiarsi con maggiore sforzo e di nuovo chiese chi fosse più grande.
RispondiEliminaQuelli risposero: - Il bue.
Sdegnata, volendo gonfiarsi sempre più, scoppiò e mori.
Quando gli uomini piccoli vogliono imitare i grandi, finiscono male.
auguri
il quadro descritto da Olympe è veritiero ed è a mio avviso la turbolenza tipica di un' economia che deve necessariamente traghettarsi da un 44% di pil manifatturiero verso un 15-20% e sostituire la differenza con il terziario. Anche il 10% di pil dato dalle produzioni agricole si andrà riducendo. Ciò significa inurbare 20 milioni di contadini l'anno, dirigere le industrie verso produzioni sempre più labour saving -qualificate dal punto di vista del valore relativo, creare un più ampio ricco e stabilizzante mercato interno, il tutto inevitibilmente scendendendo sotto il 6% di crescita annua senza troppo infiammare gli animi degli abitanti. Tutta roba che sta già accadendo. Per quanto riguarda il credito, ricordo che il peso del prestito "ombra" al di fuori della ufficialità pare sia ancora grande quanto il suo bisogno e scarsamente controllabile dal governo.
RispondiEliminaPossiamo anche notare che i passi che la Cina sta compiendo verso lo status di economia avanzata rendono in qualche modo il capitalismo cinese velocemente maturo, e nonostante questo non riesce ancora a vivere in gran parte di rendita da lavoro altrui. le cedole dei titoli di stato americani incassati dagli investitori cinesi sono prodotte dal commercio, con tutto ciò che questo implica, di merci...cinesi di cui Walmart rimane il piùgrande distributore mondiale pigliandosi una bella tangente ecc. Probabilmente ha ragione chi si chiede se " il pianeta potrebbe reggere un paese con un miliardo e mezzo di abitanti" come leader -cioè rentier- del capitalismo globale.
A mio avviso il disaccoppiamento sul lungo termine delle due più grandi economie mondiali faceva già parte più dei piani cinesi che americani, viste le tempistiche dell' iniziativa "via della seta", ma in definitiva hanno bisogno di tempo e la variabili in veloce processo. In questo senso la presidenza data a Trump è di una logica quanto meno puntuale. Quando il gioco si farà scoperto ci accorgeremo delle ripercussioni.
foto in alta definizione
Eliminae anche la cina diventa adulta e si vuole sganciare dal manifatturiero: avanti il prossimo.
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