Sul suo blog Mario Seminerio
avanza una proposta di riforma previdenziale entro la cornice di una riscrittura della manovra finanziaria del governo:
“Se
obiettivo è quello di svecchiare gli organici, decisamente meglio prevedere dei
fondi aziendali o settoriali per gestire gli “scivoli” alla pensione, sulla
falsariga di quello esistente nel credito, e alimentarli con contributi
datoriali e dei lavoratori, con eventuale residuale integrazione pubblica”.
Non so a quali commenti abbia dato adito tale ipotesi
di riforma e ad ogni buon conto, conoscendo l’epoca e i suoi attori, non reputo
possano essere più rilevanti del mio.
Tale proposta manca di troppi dettagli per essere
motivatamente giudicata, tuttavia come prima traccia mi sembra debole. Le
banche sono una cosa (e così i gruppi economici), le officine e i laboratori
artigianali, le piccole e piccolissime imprese, che fanno rete alla struttura
produttiva nazionale sono tutt’altra faccenda. Nel senso che non credo che i
piccoli e anche i medi imprenditori accarezzino l’idea di assumersi nuovi oneri
da conferire ad appositi fondi pensione per favorire lo “scivolo” pensionistico
dei propri dipendenti più maturi. Né credo i loro dipendenti, con i loro
asfittici salari e stipendi, vedano di buon occhio l’idea di foraggiare fondi ad hoc per raggiungere l’agognato
traguardo della pensione un qualche annetto prima. Sembra, a prima vista, una
riedizione aggiornata dell’Ape volontaria.
A meno che – e questo non è dettaglio di poco conto –
lo Stato non conguagli con la riduzione degli altri oneri a carico di entrambe
le categorie, cioè quella datoriale e quella dei dipendenti. Si tratterebbe
insomma di una partita di giro, e allora tanto vale. Ed infatti Seminerio
precisa: “con eventuale residuale
integrazione pubblica”. Il Diavolo s’annida nei dettagli.
Seminerio aggiunge: “Misure come l’Ape sociale dovrebbero restare, essendo una sorta di
‘salvaguardia’ implicita all’impianto della legge Fornero”. E su questo,
invece, non ci piove.
Quello che bisogna tener presente – ma sia chiaro che
non è dogma – è che 41 anni di lavoro
effettivo e i corrispondenti contributi debbono risultare sufficienti per
maturare i requisiti per anticipare la pensione rispetto a quella di vecchiaia,
altrimenti sarà sempre inutile mostrare stupore sull’incetta di voti da parte
della Lega e dei suoi alleati di governo.
Quella di Mario Seminerio è una proposta che non va
oltre l’ipotesi, e ciò non fa del male. Del male invece viene da ciò che ha
messo in cantiere il governo a tale riguardo. Più leggo e più colgo lo stato di
confusione di questi ineffabili pasticcioni. I quali non hanno mai lavorato oppure se
hanno praticato una qualche attività l’hanno svolta stando seduti, con una mano
al mouse e l’altra sui coglioni. Lascio agli sciocchi decidere se quest’ultima
sia destra o sinistra.
Nessun commento:
Posta un commento