Gli uomini producono oggetti d’uso e di consumo
nel quadro di rapporti di produzione determinati e stabiliscono rapporti
sociali conformemente alla loro produttività materiale, producono cioè anche i
principi, le idee, le categorie, ecc.. Nuove forze produttive cambiano i modi
di produrre e dunque tutti i rapporti sociali: laddove c’è la macina a mano c’è
il signore feudale, dove c’è il mulino a
vapore sorge la società industriale e i rapporti sociali si conformano ad essa.
In tal modo i principi, le idee, le categorie politiche e giuridiche, non sono
più eterne di quanto non lo siano le relazioni che esprimono. Sono prodotti
storici transitori. D’immortale non c’è che l’astrazione del movimento.
Genesi e funzione delle forme ideologiche non sono
questioni, appunto, che possono essere affrontate prescindendo dalle condizioni
materiali della loro manifestazione. A questo punto iniziano le domande: 1) come mai
l’organizzazione sociale, quale essa è realmente, appare in forme rifratte più che riflesse nelle
rappresentazioni che se ne fanno gli individui determinati che la compongono? 2) perché il
“linguaggio della vita reale”, vale a dire le relazioni materiali che gli
uomini stringono nel corso della loro attività pratica, non si riflette
direttamente, ma si distorce, si rifrange, nel “linguaggio della politica,
delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc., di un
popolo”? 3) se
“la coscienza non può mai essere qualcosa di diverso dall’essere cosciente, e
l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita”, perché mai
“nell’intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in
una camera oscura”?
«Esattamente
all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo
sulla terra, qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gli
uomini dicono, s’immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa,
si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma
si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della
loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di
questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello
dell’uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita,
empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali. Di conseguenza la
morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme
di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell’autonomia.
Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma sono gli uomini che sviluppano la
loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme
con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero.
Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la
coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente,
nel secondo modo, che corrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi
individui reali viventi e si considera la coscienza soltanto come la loro
coscienza.
Questo
modo di giudicare non è privo di presupposti. Esso muove dai presupposti reali
e non se ne scosta per un solo istante. I suoi presupposti sono gli uomini, non
in qualche modo isolati e fissati fantasticamente, ma nel loro processo di
sviluppo, reale ed empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate.
Non appena viene rappresentato questo processo di vita attivo, la storia cessa
di essere una raccolta di fatti morti, come negli empiristi che sono anch’essi
astratti, o un’azione immaginaria di soggetti immaginari, come negli idealisti.
Là
dove cessa la speculazione, nella vita reale, comincia dunque la scienza reale
e positiva, la rappresentazione dell’attività pratica, del processo pratico di
sviluppo degli uomini. Cadono le frasi sulla coscienza e al loro posto deve
subentrare il sapere reale.»
Questa scissione che contrappone, non senza drammatiche
conseguenze, essere e coscienza, a prima vista sembra paradossale, ma lo è solo
per chi si ostina a leggere l’aforisma marxiano secondo cui “non è la coscienza
che determina la vita ma la vita che determina la coscienza”, con gli occhiali
del riduzionismo meccanicistico nelle sue diverse varianti. Infatti, per
Marx, riflessi, echi ideologici, immagini nebulose che si formano nel cervello
degli uomini vanno indubbiamente spiegati sulla base del processo reale della
vita di questi ultimi, ma nel senso che tali riflessi ed echi sono “necessarie
sublimazioni” di esso.
Le forme della
coscienza sono allora per Marx stati qualitativamente diversi, sublimati
appunto, dalle forme dei rapporti sociali. Esse non vanno però intese come un
che di cronologicamente secondario rispetto ai rapporti sociali, poiché sorgono
“soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti
con altri uomini”.
Ecco, rapporti
sociali e forme della coscienza si generano simultaneamente e reciprocamente;
gli uni non si danno senza le altre e viceversa. Come i primi, anche le seconde
hanno origine dal e col lavoro, essendo il mezzo
di relazione necessario agli uomini per cooperare ed intraprendere una
qualsivoglia attività collettiva e finalizzata.
T'hai d'adattà.
RispondiEliminaChi comanda detta le regole, la plebe si adatta.
ha mai notato il fatto che gli uomini oltre a produrre e consumare merci (cosa che in effetti hanno sempre fatto) fanno anche qualcos'altro ?
RispondiEliminasì. rompere le scatole al prossimo
Eliminaapplausi....tu sola non ci sei
RispondiEliminaRisposta a Malvino?
RispondiEliminaFranz
rispondo a tutti :)
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