Quel volto di imperatore è stato preso a martellate in un giorno di rivolta o riscolpito per servire al suo successore. La pietra scagliata da un cristiano evirò quel dio o gli spezzò il naso (M. Yourcenar, Il tempo, grande scultore, Einaudi, p. 53).
*
L’odierna distruzione di statue e siti archeologici operata
da fanatici islamici c’indigna e ci ferisce. Non potrebbe essere diversamente.
Meno noto è invece il fatto che le distruzioni comunemente e prevalentemente imputate
in antico ai cosiddetti barbari, furono opera sistematica e secolare di
ben altri farabutti.
Non mi riferisco solo al tristemente noto papa Urbano
VIII, al secolo Maffeo Barberini (quod
non fecerunt barbari, fecerunt Barberini), né solo all'opera di distruzione
perpetrata tra il 1586 e il 1589 Sisto V che, per la costruzione della sua
villa sull’Esquilino, demolì, anche con l’ausilio di esplosivi, circa 100 000
m³ delle terme di Diocleziano; né altresì al pontificato di Benedetto XIV,
laddove tale Paolo Posi profanò l’attico del Pantheon sostituendo gli squisiti
rilievi marmorei di Settimio Severo con delle croste. E nemmeno ai chilometri
di porticato romano ancora esistenti nel IX secolo, né alle molteplici
distruzioni perpetrate dai grandi uomini del Rinascimento, “nonostante il loro
entusiastico amore per l’arte antica e per la civiltà classica”, i quali
“trattarono i nostri monumenti e le nostre rovine con incredibile disprezzo e
brutalità” [*].
Ben prima dei secoli XVI e XVII, tali distruzioni e
mutilazioni ebbero per oggetto edifici, statue, iscrizioni, affreschi, mosaici,
libri, tradizioni, ecc.. In breve ebbe luogo la distruzione/cancellazione/censura del
mondo classico. I barbari, quelli “autentici”, saccheggiarono, derubarono, in
certi casi incendiarono, ma non erano imprese di demolizione. Non rasero al
suolo edifici pubblici, non mutilarono sistematicamente migliaia di statue e
bassorilievi, non avevano interesse a cancellare la letteratura greco-latina annientando
biblioteche pubbliche e private bruciandone i libri. Tutto ciò fu opera anzitutto
della furia iconoclasta dei cristiani che si accompagnò alla persecuzione,
questa sì reale, di quelli che essi spregiativamente definivano come “pagani”.
Non solo i più fanatici tra i cristiani, ma i cristiani nel loro complesso, a
cominciare dai vescovi e dai cosiddetti “padri” del cristianesimo che anzi
ebbero modo di vantarsene.
Scrive Catherine Nixey, nel suo In nome della croce: ciò che assicurò la pressoché totale
distruzione di tutta la letteratura latina e greca fu una combinazione di
ignoranza, paura e idiozia. È stato stimato che meno del dieci per cento di
tutta la letteratura classica è sopravvissuta fino a oggi. Per quanto riguarda
la letteratura latina, le stime sono di gran lunga peggiori: si sarebbe salvato
circa un centesimo della produzione originaria. Scrive Nixey:
«Se davvero
volete pensare a questo come a una “salvaguardia e conservazione” di quel
patrimonio – come spesso si è voluto sostenere – allora si trattò di
un’operazione caratterizzata da un’incompetenza straordinaria. Se, invece, si
trattò di censura, allora fu efficace in modo impressionante.
Il vivace
mondo classico, ricco di argomenti e discussioni, veniva letteralmente
cancellato dalla Storia [**]».
I libri furono distrutti, oppure in seguito si raschiarono
le pergamene per sostituire la letteratura classica con fantasiosi racconti dei
martiri cristiani e altre favole edificanti. Quello che i copisti medievali
salvarono dalla distruzione e dall’oblio fu maldestramente e pesantemente
interpolato. Quanto alle statue e agli edifici è sufficiente prendere contatto
con Making and Breaking the Gods.
Christian Responses to Pagan Sculpture in Late Antiquity (2013), un lavoro riccamente
illustrato e dettagliato di Troels Myrup Kristensen, professore associato di
arte classica e archeologia presso il Dipartimento di cultura e società
dell'Università di Aarhus, per rendersi conto della vastità e capillarità delle
distruzioni.
A cominciare dalla distruzione del Serapeo di
Alessandria con annessa biblioteca, che ebbe luogo nell’ultima decade del IV
secolo. E tuttavia si trattò appunto di una delle più emblematiche distruzioni,
ma non certo l’unica. Nella Valle del Nilo tutti i siti archeologici
egizi furono aggetto delle attenzioni dei terroristi cristiani. Allo stesso
modo tutta l’arte delle antiche civiltà fu sottoposta al vaglio del fanatismo
cristiano. Le immagini considerate intollerabili furono fatte a pezzi, i
rimasugli mutilati che sopravvivono oggi sono tutto ciò che resta dei volti
degli dèi, brutti e fuori posto sopra ai corpi ancora delicati.
In circa un secolo, 60 milioni di abitanti
dell’impero furono quasi tutti convertiti con la violenza e il terrore. La rèsistance au christianisme, per
chiamarla con l’omonimo titolo di un libro di Raoul Vaneigem, fu infine piegata
e residuale. Il “trionfo” del cristianesimo fu completo.
[*] Rodolfo A. Lanciani, L’antica Roma, Newton & Compton editori, p. 16. Il grande
archeologo fu peraltro dell’avviso che alla Chiesa “siamo debitori per
l’incommensurabile ricchezza di opere d’arte di ogni tipo di cui l’Italia è
così orgogliosa” (Roma pagana e cristiana, 32). Sosteneva anche che la Chiesa con "misura, tatto e lungimiranza, contribuì al compimento pacifico della trasformazione" (28). Parla anche di evidente "superiorità morale delle nuove dottrine sulle vecchie religioni" (24). Nel suo libro, Catherine Nixey, demolisce questo reiterato truismo (125 e sgg).
[**] 196-97.
Per non dire della cancellazione totale dei manufatti latino-americani. Non possiamo neanche lontanamente immaginare quanta e quale arte"satanica" sia stata fusa (peraltro per essere poi predata dai corsari inglesi...).
RispondiEliminaAlessandro