Qual è il livello degli studi su Marx, almeno per
quanto riguarda l’Italia? Generalmente il più infimo. Si va dall’ignoranza che
si fa protervia alla falsificazione vera e propria, ma spesso le due cose sguazzano
nella stessa pozzanghera. Un esempio? L’articolo di Benedetto Vecchi, Il dono dell’incompiutezza, recensione
al libro di Carlo Galli, un tizio molto confuso sull’argomento.
Basterebbe citare questa frase per aver chiaro con
chi abbiamo a che fare:
“Il
proletariato sarà sconfitto nel 1848 con
la cancellazione della Comune di Parigi, ma la sua storia non finisce con
quell’insuccesso, annota Galli”.
Che dire? Cascano le braccia. Questa gente doveva
essere fermata in terza media, ma anche prima, se possibile. E invece scrive
articoli, pubblica libri e insegna all’università ed è molto considerata da
quel popolo di analfabeti che sono, in generale, gli italiani di ogni ceto
sociale. Ad ogni modo sorvoliamo e passiamo a una considerazione più corposa:
“La
critica dell’economia politica ha una notevole base documentale per segnalare
che c’è sfruttamento, c’è plusvalore non pagato al lavoratore”.
Dunque, Marx critica l’economia politica classica per
“segnalare” (?!), su base “documentale” (?!) che c’è sfruttamento (???!!!).
Benedetti analfabeti, lo sfruttamento non è prerogativa del solo modo di
produzione capitalistico, la critica marxiana va ben oltre. Non segnala
semplicemente lo "sfruttamento" e che “c’è plusvalore non
pagato al lavoratore”. Questa è una versione banale e fuorviante della critica marxiana.
Essa individua, per essere sintetici, che nel capitalismo (ecco la parolina magica che manca!!) lo sfruttamento assume la forma storica e determinata di appropriazione di lavoro (lavoro!!!) non pagato. Ma ciò è solo in premessa al fatto che la contraddizione tra valore d’uso e valore costituisce la contraddizione fondamentale del capitalismo (e non semplicemente di una sempiterna “base” economica), che, con la crescita dell’accumulazione, pone le premesse per la sua negazione, in quanto lo sviluppo delle forze produttive entra in contrasto con la forma e la natura che esse assumono nel modo di produzione capitalistico, cioè con i rapporti di produzione esistenti.
Essa individua, per essere sintetici, che nel capitalismo (ecco la parolina magica che manca!!) lo sfruttamento assume la forma storica e determinata di appropriazione di lavoro (lavoro!!!) non pagato. Ma ciò è solo in premessa al fatto che la contraddizione tra valore d’uso e valore costituisce la contraddizione fondamentale del capitalismo (e non semplicemente di una sempiterna “base” economica), che, con la crescita dell’accumulazione, pone le premesse per la sua negazione, in quanto lo sviluppo delle forze produttive entra in contrasto con la forma e la natura che esse assumono nel modo di produzione capitalistico, cioè con i rapporti di produzione esistenti.
“Questi
rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono – scrive Marx –
in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale”.
Ed è proprio quello che sta accadendo, asini. E se
questa incipiente rivoluzione sociale (che
può temporaneamente assumere anche connotati prevalentemente reazionari, sia
ben chiaro) non la scorgete è perché oltre
che degli asini siete anche orbi.
Tra l’altro, l’espressione “plusvalore non pagato al lavoratore” è quantomeno zoppa e può dar
adito a interpretazioni sraffiane (non mi dilungherò sul punto, tant’è). Tanto
zoppa è l’espressione che verrebbe da chiedere a questi confusi: se c’è plusvalore non pagato al
lavoratore, esiste anche un plusvalore che gli viene pagato?
Soprattutto, che cosa significa che la critica
dell’economia politica marxiana ha una base documentale? Che cazzata è mai
questa?
“Marx,
dunque, incompiuto. È questa una delle chiavi di lettura del volume, che merita
attenzione. Non tanto per quello che evidenzia: il suo progetto di critica del
capitale, Marx non riesce a realizzarlo. Continuerà a studiare, leggere,
scrivere, inviare lettere per affermare che bisogna continuare a scavare, a
interpretare il mondo per trasformarlo, ma la sua filosofia sarà incompiuta”.
La critica dell’economia politica marxiana sarebbe
dunque rimasta allo stato di progetto? E che cazzo mi rappresenta allora Il Capitale? Esercizi di stile? Questo si scrive su un giornale che si definisce “quotidiano comunista”, a tal punto è giunto lo “scavo” nel baratro dentro il quale s’è accoccolata la
cosiddetta “sinistra” (*).
Marx filosofo (??) inviava lettere per affermare che
bisogna interpretare il mondo per trasformarlo? E questo come si concilia –
quanto meno – con la sua famosa undicesima tesi: “I filosofi hanno solo
interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo”? E citiamo
pure, per soprammercato, la seconda tesi: “La questione se al pensiero umano
appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. È
nell'attività pratica che l'uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il
potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o
non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente
scolastica”. A puttane anche questa!
Bene ha fatto a suo tempo Rossana Rossanda a mandarli
tutti a quel paese.
(*) La critica marxiana dell’economia politica non
studia i fenomeni della società capitalistica così come essi appaiono alla
superficie, ma si propone di scoprire dietro ad essi le leggi e le categorie
del modo di produzione capitalistico, i rapporti di produzione tra gli uomini,
i rapporti di classe della società capitalistica.
Per contro, gli economisti borghesi considerano le
categorie economiche (sono tali ad es. merce, denaro, valore, ecc.) come
categorie naturali della produzione, date una volta per tutte ed
immodificabili. In questo modo le categorie dell’economia politica vengono
concepite come qualcosa al di fuori e al di sopra della storia.
La critica marxiana dell’economia
politica considera le categorie come riflesso dei rapporti sociali di
produzione. Scopre in tal modo, per esempio, la reale natura del lavoro
salariato, prevalente e tipico della società capitalistica, dunque lo sfruttamento della classe
operaia e ciò che distingue l’attuale modo di produzione da quelli precedenti.
Questo è il modo corretto e non fraudolento di
presentare sinteticamente l’oggetto della critica marxiana dell’economia
politica.
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