domenica 28 ottobre 2018

Come piace a lui


Vivremo tempi interessanti? Non ho dubbi, basterà non tirare le cuoia prima d’allora. Di tempi interessanti ne ho già vissuti alcuni, quasi tutti d’autunno. Ricordo sopraggiungere improvvisa e incredibile la nebbia che in rapidi banchi ci avvolse nel tardo pomeriggio dell’ultimo giorno di mare. Fu quello uno dei momenti più malinconici della mia prima giovinezza. Del resto accadeva nella stessa spiaggia, a pochi passi, dove meno di un decennio dopo Visconti girerà Morte a Venezia. E che la città stesse morendo era un dato di fatto conclamato dall’esodo inesorabile dei suoi abitanti verso la terraferma, dei quali noi non fummo i primi ma nemmeno tra gli ultimi.

Venezia restaurata, resa asettica alla patina del tempo, turistica, non sarebbe più stata la stessa. Ciò avvenne ben prima della realizzazione dell’opera pubblica più demenziale della sua storia, il “mose”; ben prima del passaggio delle grandi navi da 115mila tonnellate. Anche negli anni Sessanta transitava nel canale della Giudecca una grande nave, la Cristoforo Colombo, gemella della sfortunata Andrea Doria. La stessa che portò in Italia, tra gli altri, l’esule cubano Alvar González-Palacios. Appunto, una sola grande nave, di nemmeno 30mila tonnellate di stazza lorda, una barchetta a confronto dei giganti di oggi che innumerevoli e settimanalmente transitano per lo stesso canale. La Colombo attraccava comodamente al molo delle Zattere, davanti alla sede della Società adriatica di navigazione (mi pare si chiamasse così) e al consolato di Francia (a tale riguardo rammento una veridica liaison dangereus tra la silfide francese, moglie del giovane console, e … ).


Pochi giorni dopo tornammo a scuola e con grande sorpresa vedemmo sostituiti i nostri vecchi banchi di legno con dei nuovi piccoli banchi in formica e ferro. Ognuno aveva assegnato il suo con una piccola sedia, non si stava più in batteria come prima. Non più calamai, pennini, carte assorbenti, dita imbrattate, ma ognuno di noi faceva sfoggio di una fiammante Bic. Solo il nostro maestro continuava a scrivere con la sua grossa stilografica. E però anche lui si era dotato di una lunga penna a sfera, bicolore, da un lato rossa e dall’altro blu. Incuriosiva e inquietava.

Col senno di poi posso dire che quel pur modesto cambiamento segnava non solo la fine del dopoguerra ma di un’epoca intera. Si era aperta una nuova stagione, di riforme e di benessere diffuso, almeno così sembrava.

In quei giorni, ad Istanbul, un addetto militare italiano, del quale nessun libro di storia riporta il nome, fotografava delle navi di passaggio. Non tutte, solo quelle russe. Sul ponte delle navi si vedevano dei grandi e strani involucri. Che cosa celavano? Il sospetto fu tale che le foto furono mandate a Roma e da qui trasmesse oltre Atlantico per il semplice motivo che quelle navi sovietiche erano dirette in una delle isole dell’arcipelago dei Caraibi. Fu così che incominciarono i voli di ricognizione su Cuba. Le riprese aeree confermarono i sospetti. Scoppiò la “crisi dei missili”, che portò ad un passo da una nuova guerra mondiale.

L’anno dopo, sempre all’inizio della scuola (aprivano il primo ottobre, san Remigio, ed era già festa nazionale il quattro, san Francesco, patrono d’Italia) giunse la notizia della strage del Vajont. Conoscevo alcuni luoghi del Cadore, ma non Longarone e gli altri paesi distrutti. Ci andammo alla fine dell’estate successiva. Si presentò davanti ai nostri occhi un’immensa spianata, che incredibilmente e improvvisamente s’interrompeva sul primissimo tratto della montagna ove erano rimaste intatte delle vecchie case. Affacciata a una finestra, un’anziana signora raccontò a noi l’Apocalisse vissuta. Visitammo il cimitero approntato per la sepoltura delle vittime. Si disse allora ch’era provvisorio. Come tutto in questo straordinario e tragico paese.

Poche settimane ancora da quell’evento e la televisione mostrò insistentemente un oggetto che destò in me grande curiosità: un fucile. Seppi poi che si trattava di un Carcano modificato al quale era stato applicato, sul genere “fai da te”, un cannocchiale. Bastò quel vecchio fucile italiano acquistato per corrispondenza per cambiare il corso della storia, quanto meno quella degli Stati Uniti d’America. Così si disse, e non c’è motivo di dubitare che sua maestà il caso, unitamente a un buon addestramento nei marines, abbia fatto tutto da solo.

Tre anni dopo facevo le medie e cominciò a piovere ininterrottamente per giorni, mentre da sud soffiava lo scirocco. Una notte ci svegliò l’ululato delle sirene, per via dell’acqua alta, mentre al Lido il mare in burrasca si stava mangiando la spiaggia. Fu quasi nulla a confronto di quanto stava accadendo a Firenze. Ma questa vicenda è suppergiù molto nota. Di ciò che invece accadde tre anni dopo ancora, invece, che cosa sappiamo, a chi importa più? Ci pensa Paolo Mieli a raccontarcela come piace a lui.  

4 commenti:

  1. E tu un racconto così emozionante vorresti che lo continuasse Mieli? Non riesco proprio a immaginare quale potrebbe essere la conclusione.

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  2. Il MOSE non è realizzato, e io vorrei che lo fosse.

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  3. 12/12/1969:fine della democrazia. Inizio della strategia della tensione.

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    1. il 13 dicembre non c'era meno democrazia di prima. se non avessero funzionato le bombe ci sarebbero stati i colonnelli. in piena logica dei blocchi.

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