I fatti umani cercano sempre una misura umana, da qui
l’idea che la decadenza della società borghese sia dovuta a fatti eminentemente
“politici”, alla stanchezza per la democrazia, al fallimento del riformismo,
che pure sono fatti reali e tuttavia conseguenti a cause eminentemente
economiche. Le spiegazioni politiche e umane danno l’idea del dramma nel suo
compiersi, ma si fermano alla superficie dei problemi.
Tuttalpiù, cioè nel migliore dei casi, la
pubblicistica borghese più radicale scopre che la politica s’è dissolta
completamente nell’economia e le vecchie e nuove povertà sono frutto
dell’abbondanza e della ricchezza di pochi, che dunque la società attuale,
progredita economicamente come mai prima, si muove in un circolo vizioso di
contraddizioni che continuamente riproduce senza poterle superare, cosicché
essa raggiunge sempre il contrario di ciò che si prefigge o che dà a vedere di
voler conseguire.
Possiamo constatare come poche centinaia di migliaia
di lavoratori possono produrre una ricchezza reale che mezzo secolo fa era
prodotta da milioni di operai. Ciò è il risultato dell’aumentata produttività
del lavoro che si realizza con l’impiego di nuove macchine e tecniche
innovative (*). E dunque non è difficile anche per il senso comune chiedersi
che cosa avviene dell’enorme ricchezza prodotta socialmente. È chiaro che parte
di essa viene impiegata per dare titolo a milioni di persone di avere un
reddito, e dunque funge a mantenere la pace sociale, e l’altra parte è
trattenuta per arricchire sempre di più i padroni della società.
È sul mostruoso debito pubblico che da un lato si
reggono gli Stati e dell’altro trova alimento la rendita privata nelle sue
diverse forme, perciò è sulla questione fiscale che si gioca il destino dell’ordinamento
sciale e politico borghese. Questa situazione è tutt’altro che nuova.
Scrive al riguardo Peter Brown, nel suo Il mondo tardo antico, che la
«tassazione fu la causa principale» della trasformazione sociale nella tarda
antichità. «Gli accertamenti erano coscienziosi; […] l’unico modo di
alleggerire il proprio fardello era di evadere le tasse, lasciando a pagare i
meno fortunati. Gli imperatori lo riconobbero. Di tanto in tanto alleviavano
l’onere delle imposte con gesti spettacolari: privilegi, condoni, annullamento
di debiti inesigibili; ma erano come spruzzi di vapore che uscivano da una
valvola di sicurezza; anche se facevano impressione, non servivano a una
redistribuzione vera e propria». Tanto che, scrive Brown nella stessa pagina 30,
«La caratteristica più appariscente di questa società, tanto per i
contemporanei quanto per lo storico, fu l’allargarsi del divario tra i ricchi e
i poveri».
Per tornare all’oggi, ciò che la pubblicistica
borghese non compie nell’analisi è il passo successivo, perché occupata a
screditare Marx o magari perché impegnata a reinterpretarlo (le due cose si
equivalgono). Ci pensano allora le masse a dare il loro nome alla crisi, come
già è avvenuto in un ancor recente passato. Eccitate e illuse da demagoghi di
piazza, si ribellano e non vogliono più continuare ad obbedire al vecchio
potere politico, né restare nei limiti del diritto vigente. Vogliono avere tutto
il potere, o il massimo del potere. Come finirà è facile da immaginare, in ogni
caso nel peggiore dei modi.
(*) I processi che accompagnano la cosiddetta
globalizzazione si fanno sentire soprattutto negli effetti che producono
sull’occupazione, segnatamente quella dei paesi di più antica industrializzazione
ove sono corrisposti salari più alti e sono maggiori gli oneri sociali e le tutele
dei lavoratori. Tuttavia sull’oggi e in prospettiva sul domani la sfida è giocata
anzitutto sull’innovazione tecnologica e non solo sull’abbattimento delle barriere
doganali e la libera circolazione di merci e capitali.
Offro al riguardo un esempio, se si vuole banale ma
indicativo, di come procedono le cose. Riguarda i lavoratori delle cave di
marmo, i quali non temono alcuna delocalizzazione poiché i giacimenti marmiferi
restano ovviamente dove li ha collocati la natura da miliardi di anni e dove
questa roccia viene estratta da secoli sempre nella medesima cava o comunque
nella stessa zona.
In antico, per estrarre il marmo, venivano inseriti
nelle fessure naturali della roccia dei pezzi di legno di fico essiccati, poi
imbevuti d’acqua. La loro dilatazione provocava la ”frattura”. Era in uso anche la tecnica della “formella”,
con cunei di metallo. Naturalmente c’era molto da lavorare anche con scalpello
e un martello di cinque-sei chili. Nel XVI e forse anche prima fu introdotto
l’uso della polvere da sparo, ma l’energia provocata dall’esplosione produceva delle fratture superficiali e dunque degli scarti di materiale non voluti. In seguito
si pervenne alla mina, costituita da una carica esplosiva innescata, cioè
collegata con un detonatore o con miccia detonante. Il tratto di foro superiore
(borraggio), veniva riempito con materiali inerti (sabbia o roccia finemente
triturata, stoppacci di carta e stracci), allo scopo di contenere l’energia
dell’esplosione all’interno della bancata.
Alla fine del XIX per il taglio si pervenne al filo
elicoidale, sabbia silicia e acqua. Il quarzo contenuto nella sabbia serviva da
abrasivo e l’acqua da raffreddamento. Questa tecnica di taglio permetteva la
riduzione del numero dei cavatori impiegati. Dal 1980 circa è stata introdotta
la tecnica di taglio con il filo diamantato, il quale consente lavorazioni ad
una velocità dapprima sconosciuta e operazioni di precisione con fori da 60 mm
a 205 mm di diametro, in tutte le direzioni. Da allora il numero degli
operatori è diminuito drasticamente.
Oppure, si pensi ai lavoratori delle miniere e centrali elettriche a carbone, di cui anche Trump se ne è occupato, per arrestarne il devlino. Declino dovuto alla concorrenza delle fonti rinnovabili di energia, che se da un lato ci aiutano a produrre energia in modo molto piú pulito, dall'altro mettono in esubero migliaia di lavoratori. Le fonti pulite, hanno bisogno di molto meno manodopera nella costruzione degli impianti, e pochissima nella manutenzione. Credo che questo sia un non trascurabile problema per il passaggio alla produzione di energia a basse emissioni: mantenere i posti di lavoro inalterati!
RispondiEliminariguarda tutto il complesso delle produzioni: agricoltura, edilizia, industria, e poi tutto il complesso dei servizi, dai trasporti alla carta bollata
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