Ernesto Galli lamenta che non vi sia una strategia per uscire dai soliti schematismi retorici
del riformismo parolaio. Ha ragione, manca una strategia. Per esistere la sinistra deve trovare altre giustificazioni che non sia semplicemente quella di proporsi come partito di governo.
Non ha strategia non solo per
incapacità, per assenza d’idee, di leadership, ma per un motivo di base: la
sinistra inseguendo il proprio pragmatismo s’è adeguata con gioia al liberismo,
professando anzitutto l’identità d’interesse tra capitale e lavoro. Su questo
equivoco, così come su altri, la sinistra ha perso la propria identità ed è
un’evidenza storica perfino pleonastica che quando la sinistra fa disastri la
società esce sempre a destra.
La
sinistra sconta una caduta verticale della sua cultura politica, così come in generale si nota una incultura diffusa, e già questo ha in sé molti pericoli, anzi è uno dei
dati più preoccupanti della nostra epoca. Deve porre al primo posto l’analisi critica e l’autocritica, e invece vive di polemica assecondando la sottocultura che si esalta attraverso i social. C’è altrimenti il rischio di essere minoritari? È un
rischio che va accettato, non ci sono scorciatoie.
Quello
che Galli non può ammettere (data la sua posizione di classe) e che la sinistra
ignora bellamente (per lo stesso motivo), riguarda un fatto strategico
fondamentale: oggi più che mai il superamento del capitalismo è un problema
aperto. Le persone che rappresentano la sinistra sono ben lontane dal
condividere anche solo l’ipotesi di tale questione, in gran parte disinteressate ad interrogarsi realmente sugli effetti prodotti
dalle nuove tecnologie, dal monopolio e dalla globalizzazione, se non nella lettura
ideologica corrente. Non sono per nulla inclini a prefigurarsi un domani diverso da come si
prospetta nel capitalismo e sotto il governo di filibustieri decerebrati.
Si
tratta invece di dimostrare anzitutto che un’alternativa a questo sistema ha
ragioni serie, che vanno tradotte in programma di lungo periodo entro una
dinamica molto più vasta di quella meramente nazionale; e così per quanto
riguarda la tattica sull’immediato, dal tema del lavoro, del reddito, della
fiscalità, dell’ambiente, tutti obiettivi intermedi che devono avere per forza
di cose respiro e collegamento quantomeno europeo.
Se però
il nuovo soggetto politico della sinistra che si propone unitariamente per le prossime
elezioni europee avrà tra i suoi esponenti le vecchie cariatidi, allora per la
destra fascistoide sarà tutto molto più facile.
Mi verrebbe in mente l'adagio: «Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire», se l'attuale classe dirigente di sinistra non avesse orecchie da mercante.
RispondiEliminacerume in contante
EliminaL’attuale classe dirigente di “sinistra”, ammesso che oggi il termine significhi qualcosa, fa parte integrale dei gruppi dirigenti di questa società. Se nel primo dopoguerra il suo scopo precipuo, ideologico prima, era quello di suggerire alle masse la possibilità di un presunto cambiamento attraverso le riforme, in contrapposizione al pericolo comunista che proveniva da est e dall’avanzata della Russia. Dopo il crollo dell’Unione sovietica, il suo scopo è stato di puntellare da “sinistra”, l’ordine neoliberale, e diciamolo neofascista che avanzava. Oggi questi gruppi dirigenti, con il loro seguito ed accozzaglia di intellettuali e pseudo, non servono più né come copertura ideologica, un pericolo di una rivoluzione socialista o democratica, non è alle porte, né oramai come gruppo dirigente, in quanto del tutto squalificato!
RispondiEliminaIl problema ed entro nel merito del post che purtroppo il superamento dell’attuale sistema, che in parte è già avvenuto anche con i provvedimenti assunti per risolvere la crisi, potrà avvenire solo se ci sarà una rottura in qualche parte del sistema capitalistico. E questi ultimi 100 anni ci dicono che ciò è possibile solo dove l’anello della catena è debole, come suggeriva il buon Lenin.
L’Europa non lo è e sembra avviarsi verso una stagione, auguriamoci breve, di fascismo in salsa sovranista.
Saluti