Scrivevo,
poco prima del Natale, che siamo sazi e distratti, inconsapevoli di come va il
mondo, di come stanno realmente le cose. Salvo poi – dicevo – mostrare sorpresa e disgusto per i traffici, i giochi spietati nei
quali chi conosce bene le regole può rovinare senza pericolo i poveri ingenui
che credono ancora nell’equità e nella giustizia di questo sistema.
L’altro
giorno rilevavo che nella generale confusione e inversione di ogni cosa, dunque
nel mondo sovvertito, ciò che accade realmente di essenziale e importante è
solitamente mantenuto segreto o capovolto a tal punto da renderlo
irriconoscibile. Perciò chissà cosa si nasconde – oltre alla palese
malversazione e mistificazione – in quello che accade nelle banche, nell’economia
in generale e nella politica.
Non
è solo a causa dello smog se viviamo come in una notte dove tutto appare grigio
e annebbiato. A contraddistinguere quest’epoca così veloce e duttile è l’apatia,
e ciò conduce inevitabilmente a dare al presente significati ch’esso non
possiede e in definitiva a non porre in luce i reali motivi del dramma delle
nostre società.
Ciò vale sotto l’aspetto individuale e tanto più sotto quello collettivo, pervasi come siamo da un nichilismo che ci sta conducendo passo passo verso inedite catastrofi. Nel dramma di quest’epoca non essere più nulla significa non avere né un’idea di società e nemmeno un tema di confronto che non sia già dato e funzionale al sistema.
Abbiamo
dimenticato la storia, senza la cui continua riscoperta e reinterpretazione ogni
singola generazione è orfana. È d’abitudine dire che la storia non insegna
nulla, che al più solo la storia recente è importante (salvo espellerla da
scuola!). Si dimentica in tal modo che tutta la storia è contemporanea, che
nell’essenziale la condizione degli uomini e della società non è mutata, specie
in quegli aspetti che più si credono invece tanto nuovi e moderni.
Allo
stesso modo non v’è più coscienza che l’utopia, come espressione di possibilità
razionali, è una caratteristica fondamentale della vita vissuta con degli
scopi. Nessuna vita umana è completamente razionale se non prevede una
direzione, se non regola azioni e bisogni alla luce d’un piano più generale e
di più vasti sistemi di valori nei quali devono tendere di trovare posto tutte
le parti dell’esistenza.
Temo
che questi discorsi – e non importa se letti qui o altrove – in realtà non
interessino non solo la massa delle persone prese da altre premure, ma nemmeno
ormai quelle minoranze che a essi un tempo mostravano attenzione. Ciò che
interessa veramente è la polemica e il parapiglia. Con quest’aria ammorbante gli
anni a venire non possono riservarci nulla di buono.
È d’abitudine dire che la storia non insegna nulla
RispondiEliminaInvece la "storia "sarebbe una buona maestra, sono gli studenti che sono sempre mediamente "asini" :-)
Però è anche vero che. giusto dal '68, sia stato decretato che ogni mancato "apprendimento" dei "discenti" sia sempre e soltanto colpa del "docente"
Un' altra "conquista" dell'"asinista" a guida "radicalborghese" :-)
Mi pare fosse Gramsci a dire che la storia non trova alunni. Per quanto riguarda gli asini essi sono ben rappresentati in ogni epoca, nella nostra si notano di più perché i loro ragli sono amplificati dai nuovi mezzi di comunicazione.
EliminaSi suole imputare al 68 troppe cose, più nel male che nel bene. Ci si dimentica spesso da quale retrograda società si tentava di uscire allora, specie in paesi come il nostro. E in quali modi si tentò di fermare quel fermento. Come ogni cosa che produce un reale cambiamento, anche il 68 ha avuto le sue luci e le sue ombre. Direi che il 68 ha rappresentato senza dubbio il momento del più grande mutamento sociale del novecento. Le pare poco?
cara olimpe , ci sono sempre delle buone ragioni per tutte le "rivoluzioni" sebbene dopo si scopra che esse erano tutte "colorate" in partenza, compresa quella " russa", l'unica fuggita di mano a quella parte della "borghesia" che come al solito gli aveva dato il via.
EliminaQuindi per me tutte "le rivoluzioni" vanno alla fine giudicate più dalle risultanze geopolitiche che da quelle "sociali" che ne sono una , spesso futile, consequenza.
E da questo punto di vista per me il '68 ha segnato l' inizio dell' asservimento dell' europa ai modelli culturali e politici della " superborghesia" anglofona e QUINDI della ritirata delle forze popolari che da questo asservimento non poteva che consequire.
E a me questo disastro "non pare poco",anche se ammetto non tutto sia andato perduto, visto che ora almeno abbiamo "le nozze gaie" :-)
E con questo sorriso auguro buon anno a te e a tutto il blog datosi che purtroppo ne avremo tutti bisogno.
ws
senza polemica, confondere status geopolitico con quello sociale per me è ripetere un errore fatale, quasi secolare, che ancora paghiamo e da cui pare non ci schiodiamo
EliminaDopo aver letto il tuo post, mi sono imbattuto in questa pagina di un libro di Anselm Jappe su Guy Debord (ho evidenziato io in giallo).
RispondiEliminadunque sono in sintonia. grazie molte e ciao
EliminaCara Olympe,
RispondiEliminaognuno ha un suo vissuto del 68.
Da parte mia posso solo dire che fu a macchia di leopardo, le metropoli una "cosa", la provincia "un'altra".
Senza contare che ci fu un 68 operaio ed un 68 "studentesco".
Quello "operaio "incise" sul piano che più ci interessa e cioè sul piano economico che di fatto estese in ultima analisi il welfare.
Mi venne, in seguito , perfino il dubbio, che in una certa misura le concessioni, sia sul piano economico che su normativo dei diritti fosse compatibile con il grado di sviluppo raggiunto dal sistema produttivo, si trattava di allargare ulteriormente "il "mercato "interno.
L'altro 68 non fu immune da tendenze di vario tipo, da un lato "radical-borghese, incidendo sul "costume", dall'altro da un radicalismo di frange cattoliche che sappiamo dove finirono.
Il primo ,però, a mio avviso, finì per preparare la strada al riflusso degli anni 80,pregne di un individualismo ed un edonismo maggiormente confacenti al "mercato "o almeno in linea.
Certo, luci ed ombre, ma in sostanza devo dirti che non saprei dirti cosa ne sia rimasto oggi, soprattutto alla luce anche delle tue analisi, che mi trovano quasi sempre d'accordo.
Caino