lunedì 20 agosto 2012

Orecchiette con cime di rapa


Riprendo il punto dal post precedente (lo so che forse interessa pochi, ma pazienza). L’economista Joseph Stiglitz sa bene che le carte del capitalismo sono truccate, egli è una di quelle anime belle che vorrebbe un capitalismo virtuoso ed etico.

Nel suo libro, La globalizzazione e i suoi oppositori, egli afferma che: “Il cambiamento più sostanziale, necessario per far funzionare la globalizzazione nel modo dovuto, è un cambiamento del governo di queste istituzioni” (Einaudi, p. 230). Per esempio alla Banca Mondiale basterebbe una modifica del sistema di voto. Altro punto sostanziale riguarda “il problema della mancanza di trasparenza di ognuna di queste istituzioni internazionali” (p. 332). Insomma, migliorare taluni aspetti della regolamentazione del sistema, quale quello, come detto, delle istituzioni internazionali, ma anche del sistema bancario e perciò della gestione del rischio (p. 243).

Ci si potrebbe chiedere dove viva Stiglitz, e soprattutto dove abbia vissuto nel passato e cosa abbia fatto. È stato consigliere economico del presidente William J. Clinton proprio nel periodo (1997-2000) in cui la presidenza fece approvare la legge Gramm-Leach-Bliley di Modernizzazione dei servizi finanziari il 12 novembre 1999 che di fatto ha contribuito all'abrogazione della legge Glass-Steagall del 1933, approvata in risposta al clima di corruzione, manipolazione finanziaria e insider trading che aveva provocato più di 5.000 fallimenti bancari negli anni successivi al crollo di Wall Street del 1929.

Con questo non voglio dire che alcuni dettagli della critica di Stiglitz alle politiche liberiste non contenga osservazioni pertinenti e ben argomentate, ma è la base di partenza della sua critica che è sbagliata. Sta di fatto che l’unica cosa che egli non mette in dubbio è la validità, in sé, del sistema capitalistico. Naturalmente vorrebbe riformarne alcune distorsioni, soprattutto dal lato finanziario e ora anche dal lato del modello sociale e della distribuzione.

Su un punto essenziale, a mio avviso, tali riformatori sbagliano, e cioè nel non tener conto della reale natura del modo di produzione capitalistico. E questo lo si capisce bene quando Stiglitz distingue categorie economiche quali “merce” e “beni”, questi ultimi intesi come valori d’uso e dei quali non si capisce bene con quali criteri dovrebbero essere scambiati o distribuiti all’interno del sistema di produzione capitalistico. Soprattutto non va dimenticato che la formazione del capitale non può avvenire che sulla base della circolazione delle merci e la produzione capitalistica fa della merce la forma generale di ogni prodotto.

L’economia borghese, ossia la metafisica dei rapporti di produzione borghesi, intende il capitale, sia esso merce o denaro, come fatto di “cose”, senza tener conto che esso è anzitutto un rapporto, un rapporto sociale, e che da un processo produttivo, qualunque idea ci si sia fatta di esso, non può mai uscire nulla che non vi sia entrato sotto forma di condizioni della produzione.

Oltretutto, va tenuto conto, come osservava Marx, che il prodotto del processo di produzione capitalistico non è né semplice prodotto (“bene”, valore d’uso) né semplice merce, cioè prodotto dotato di un valore di scambio; il suo prodotto specifico è il plusvalore. In tale contesto, il lavoro salariato è il presupposto necessario della produzione capitalistica e le condizioni oggettive del suo impiego assumono una forma specifica, di sottomissione alle condizioni materiali del lavoro e di costrizione al plus-lavoro. Pertanto affermare, come fa Stiglitz, “lasciamo lavorare le macchine e godiamoci la vita”, è pura fantasia (eufemismo).

Infine, cosa che non va dimenticata, la produzione capitalistica non è solo produzione di plusvalore, ma anche produzione e riproduzione del rapporto di produzione specificamente capitalistico. E da qui in poi la discussione, sui temi della trasformazione, potrebbe diventare davvero interessante, ma non con le teste di rapa.

4 commenti:

  1. A me interessa molto l'argomento! Continui la prego :)

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  2. Ma se davvero lasciassero (non lasciassimo) lavorare le macchine, chi veramente si godrebbe la vita? In buona sostanza: chi saranno per Stiglitz i gaudenti? Il popolo o i soliti noti?

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  3. Anche a me, naturalmente, interessa molto. Rimuovere con stile l'illusione affabulatoria della finta dialettica all'interno dello stesso sistema di potere, per andare al nucleo duro della realtà, è fare alta filosofia. (Lo so, suona molto linguaggio vendoliano ma mi è uscita così).
    mauro

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  4. Se sopravviveremo, la valutazione tra la proposta di un sistema che evolve quello attuale "umanesizzandolo" e quella di un nuovo sistema fondato sulla eliminazione della causa che (probabilmente) rende impossibile la prima proposta diventerà un punto fondamentale di discussione.

    Quanto sopra per dire che l'argomento è molto interessante, l'incertezza (dovuta ovviamente a ignoranza) è tanta e che la speranza è l'ultima a morire. :)

    marco

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