Il traffico dal primo mattino è caotico ma scorrevole, come può esserlo in una città di circa 15 milioni di abitanti con ambizioni occidentali e retaggi levantini. Lungo i parapetti del Ponte di Galata (uno dei due che collegano la parte nord e sud della città, oltre al via vai regolare dei traghetti, mentre altri due lunghi ponti collegano la parte orientale ed occidentale) si è già formata una teoria di pescatori, quasi tutti giovani, con le loro lunghe canne. In centro alcune pattuglie di poliziotti armati di mitra. Negozi e librerie sono aperti dalle otto e i bazar un’ora dopo.
Più tardi arriveranno i turisti e decine di scolaresche delle prime classi elementari che invaderanno il Topkapi, il palazzo dei sultani, mentre il museo archeologico e quello dell’Oriente antico resteranno quasi deserti e sconosciuti.
Le manifestazioni di protesta si svolgono lontane da qui, in una zona circoscritta nella parte orientale, senza interferire con i normali traffici turistici e commerciali. I turchi manifestano contro il banditismo israeliano, ma il loro governo continua a perseguitare i kurdi.
Intanto gli oleodotti che attraversano la Turchia funzionano regolarmente. I pozzi, nei paesi arabi, sono sotto il controllo occidentale, con le buone o con il mandato dell’Onu.
Al rientro, in Italia, alla dogana sono molto scrupolosi. Del resto non sono un evasore protetto dallo “scudo fiscale”.
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