C’è grande preoccupazione per la BP. Non perché da oltre cinquanta giorni un suo giacimento continui ad inquinare il mare con la fuoriuscita incontrollata del greggio. Di questi aspetti si occupano già le anime belle. Giovedì l'altro era suonato il campanello d'allarme quando BP è sceso sotto il 40 per cento del suo valore “pre-spill” e il relativo costo della copertura assicurativa, in caso di default societario, è aumentato di conseguenza.
L’allarme non riguarda quindi la morte dei cormorani e simili, ma le “voci” circa la mancata distribuzione di dividendi per 10 miliardi di dollari. Per questo motivo la stampa finanziaria britannica ha lanciato un duro monito circa il dovere di BP di distribuire dividendi agli azionisti.
Ma c’è, inoltre, un altro timore, da parte britannica, e cioè che Wall Street e i giganti del petrolio degli Stati Uniti utilizzino il disastro per acquisire una quota maggiore del mercato e ottenere un vantaggio competitivo per la società con sede in Inghilterra. In effetti, sono già in atto piani per proteggere BP, le banche, e principali azionisti e obbligazionisti da potenziali risarcimenti miliardari per costi di pulizia e multe: manovre finanziarie che in ultima analisi dovrebbero scaricare questi costi sul pubblico.
Lo scenario di un eventuale fallimento di BP a causa dei costi di risarcimento per i danni arrecati e quindi la possibilità che la stessa BP possa essere acquisita da una ditta rivale, come la statunitense Exxon Mobil, è descritto in un recente articolo del New York Times finanziario a firma di Andrew Ross Sorkin.
Altro che cormorani e i mezzi di sussistenza dei pescatori locali. Comanda il capitale, che ha le sue regole e le vuole rispettate, quando c’è da incassare, fino all’ultimo centesimo.
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