domenica 27 giugno 2010

Sulla "capacità di discernimento" secondo Piero Ostellino



Scrive Piero Ostellino sul Corriere del 19 giugno:
Le mogli scelgono fra le decine di prodotti allineati sugli scaffali del supermercato; che sono il simbolo delle nostre libertà di scelta come consumatori, ma anche di quelle politiche come cittadini. Nei Paesi del «socialismo reale», alle scarse opportunità di scelta del consumatore corrispondeva la carenza di libertà politiche del cittadino. Si affacciano sulle vetrine dei negozi e hanno solo da fare i conti con la propria (alta) capacità d' acquisto».
Pertanto l’unità di misura principe delle “libertà” politiche sarebbe data dalle “libertà” di scelta nell’emporio capitalistico delle merci, dalla loro abbondanza, come se a decidere dei “bisogni” fossero i “consumatori”. Come se un diverso modo di produrre e consumare, di per sé e come dimostrerebbe l’esperienza del «socialismo reale», dovesse necessariamente riflettersi in una “carenza di libertà politiche del cittadino”.
Questo dovrebbe dare l’idea che il «socialismo reale» è fallito laddove il capitalismo è più forte, cioè nella produzione e distribuzione di una grandissima quantità di merci, quindi di scelta. Ed infatti non esiste, incontestabilmente, un sistema economico più capace e dinamico del capitalismo per quanto riguarda l’offerta di merci. È su tale truismo che si basa l’”analisi” di Ostellino, sulla presa d’atto di un fenomeno nel suo riscontro “oggettivo”, nella vita reale, come se vi fosse stata da parte delle autorità sovietiche la volontà di tenere a stecchetto i propri concittadini, quella brutalità perversa di non soddisfare abbastanza i bisogni del consumatore, poiché una più ampia “libertà” di scelta di beni avrebbe comportato, come diretta conseguenza e secondo l’assunto del signor Piero, una maggiore autonomia politica e quindi un pericolo per il potere oligarchico.
E, per parare qualsiasi tentativo di mettere in dubbio tale assunto, Ostellino mette le mani avanti:
«Nei Paesi del «socialismo reale», la capacità d’acquisto l’aveva solo la nomenklatura nei suoi spacci, perché non dipendeva dai quattrini - che sono una opportunità per chiunque abbia doti, meriti, discernimento, fortuna in una «società aperta» - ma era connaturata al potere politico di una «società chiusa».
Pertanto, secondo Ostellino, “la capacità d’acquisto”, che va di pari passo con le “nostre libertà politiche come cittadini” è prerogativa di “chiunque abbia doti, meriti, discernimento, fortuna in una società aperta”. Per società aperta egli intende la società dove domina la volontà del denaro. Per le doti e i meriti non è chiaro cosa intenda, ma si può immaginare che ciò debba tradursi, nella migliore tradizione liberale, nella capacità di abnegazione al lavoro, al sacrificio e al risparmio. Si tratta di una vecchia cantilena che ci racconta come almeno due terzi della popolazione nelle società capitalisticamente più sviluppate e i quattro quinti in quelle meno, altro non sia composta che da persone con scarse doti, priva di meriti essenziali e di discernimento, ma soprattutto di “fortuna”, cioè di denaro. Ciò nonostante si tratta proprio di quelle persone che lavorano in fabbrica, nei campi, nelle miniere, come domestici del signor Piero, e senza le quali, i signori della sua classe sociale, dovrebbero, quanto meno, darsi veramente daffare, poiché alle loro qualità non è sufficiente che faccia premio la sola virtù. Essi hanno perciò la necessità di comandare, di far valere la loro “capacità d’acquisto” rispetto a chi di tale “capacità” è sprovvisto, quindi verso coloro che per “incapacità”, cioè per bisogno, per sopravvivere, debbono accettare le condizioni imposte dalla virtuosa classe sociale degli Ostellino. Ed infatti è questo il solo modo per produrre tempo libero per la classe dei Pierini mediante la trasformazione in tempo di lavoro del tempo di vita dei salariati. In cambio, questi ultimi, avranno l’acceso, limitato naturalmente alle loro “capacità”, al paradiso del consumo e relativa ideologia di sostegno.
Ma chi sarebbero coloro che obiettano a siffatte verità stampate (e ben remunerate) in centinaia di migliaia di copie dal signor Piero Ostellino?
Uomini sensibili al potere invece che alle libertà. Disprezzano l’uomo della strada, che non saprebbe quali sono i suoi interessi perché «condizionato» dalla tv di Berlusconi e dai «persuasori occulti» della pubblicità. Sono per una società eterodiretta contro il mercato, il luogo dello spontaneismo sociale e delle libertà individuali. Si dicono liberali per non dire quello che sono: collettivisti, dirigisti, autoritari. Non sono democratici, ma reazionari.
Gli operai, per esempio, sempre a rompere la minchia per l’amianto, il pvc, le vernici, il cromo e simili stronzate; i braccianti di Rosarno che pretendono semplicemente condizioni di vita non subumane, gli edili che per far dispetto al datore di lavoro si precipitano apposta giù dalle impalcature. E i milioni di lavoratori precari che chiedono garanzie e diritti, come quelli che lavorano sulle navi da crociera per 20 settimane consecutive senza un giorno di riposo, con orari massacranti e una paga da fame.  Tutta gente che disprezza ciò che scrive Ostellino e ciò che fa Berlusconi, e allo stesso modo disprezzano gli evasori, i magliari, gli sfruttatori, e il blocco sociale che a vario titolo si sente e si trova d’accordo con loro.

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