Quanti avevano sentito parlare di Jordan Bardella prima di domenica sera? Un eurodeputato ombra, che durante il suo mandato non ha fatto nulla, e però a 23 anni s’è ritrovato vicepresidente di un gruppo parlamentare a Bruxelles e presidente del suo partito a 26 anni. In meno tempo di quello necessario per fare una omelette.
Da adolescente aveva un canale YouTube dedicato alla sua passione per il videogioco Call of Duty (Le Monde). Chattava sui forum online e sui social network, e ciò è bastato per raccogliere punti di simpatia tra i giovani, fin troppo felici di potersi finalmente riconoscere in un politico. Lungi dall’essere un fatto politico, si tratta semplicemente di un fatto generazionale.
Mentre nei dibattiti televisivi il giovane Jordan brilla per la sua incompetenza, i montaggi che pubblica sui social network lo fanno invece apparire sicuro, tranquillo, nel suo elemento. I tempi sono cambiati, per attirare i 18-24enni non ha senso regalare loro un volantino che finirà nella spazzatura: è sui social che si gioca la partita. E in questo gioco Bardella eccelle (Donald Trump ha adottato con passione i codici digitali di questa comunicazione per accaparrarsi elettori).
Sennonché ora si ritrova candidato primo ministro a guidare la Francia. Dopotutto cosa c’è di più normale? Bardella è l’immagine della Francia che viene, l’eroe trionfante delle elezioni europee, è uno come tanti altri leader politici in Europa: un giovane arrivista che sa solo mobilitare adeguatamente la sua immagine.
La telegenia di questi personaggi, in Francia, in Italia e ovunque, assicura l’umida ammirazione dei più disinibiti (eufemismo), che per fortuna e per ora non sono maggioranza. E questo a costoro basta. In che cosa consiste, in definitiva, la democrazia elettorale?
Va detto che negli ultimi decenni siamo stati tutti, chi più e chi meno, volenti o nolenti, declassati. In particolare per effetto dalla televisione e dagli altri media: gli schermi ci mangiano il cervello. Basta vedere, come specchio della società, il linguaggio politico a che cosa s’è ridotto: roba da trivio. E sui social segue il nostro raffinato sarcasmo (c’è, va sottolineato, chi ha staccato la spina, ma sono pochi).
Guarda, quella gente che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua/ Odia, quella gente/ che non sventola la tua bandiera/ odia, quella gente/ che non sventola la tua bandiera/ Odia, tutta la gente/ che non sventola la tua bandiera/ odia, tutta la gente/ che ha una bandiera con i colori diversi dalla tua.
Quanto alla scuola, amareggia dirlo, alle ultime generazioni non ha insegnato nulla di duraturo, né realmente la nostra storia, né quella del continente e di tutto il resto. Chi è che, almeno tra coloro che si sono recati a votare, sa come funzionano le istituzioni europee, a parte i pochi i cui neuroni sono ancora connessi?
Sto parlando anche dei giornalisti, metà colti e metà curiosi ma che non si possono mediamente paragonare ai loro coetanei di quaranta o cinquanta anni fa. Chi legge o scrive più un libro serio? Per il resto si accontentano dei riassunti preparati con largo anticipo dalle case editrici.
Vergognarsene? Impossibile: questa è la grande forza dell’ignoranza crassa, è impermeabile alla vergogna. Tra loro, chi conosce le radici dell’estrema destra europea, di là della vaga menzione del neofascismo e neonazismo? Qualche raro specialista, che sa come dalla base all’apice tutti costoro si identifichino in un’identità etnoculturale che affonda le sue radici nella saga degli indoeuropei, da Sparta a Roma. Questa roba c’è dietro Atreju e simili.
E chi altrimenti potrebbe definire correttamente la storia del socialismo e del comunismo se non con dei cliché? Chi la storia della questione mediorientale e di quella palestinese in particolare? Forse Marco Travaglio, uno specialista di malaffare politico e di manette? Si occupasse di quello.
Se noi confrontiamo i sessantottini con gli attuali giovani attivisti, dobbiamo riconoscere che c'è un enorme gap culturale, a favore dei primi. Colpa dei social media? Anche. Però la scuola che facevano/avevano fatto i sessantottini era migliore. Uno dice: e allora, non sono stati i sessantottini a cambiarla, la scuola? Un bel circolo vizioso. In inglese, loop. Je piace dirlo in inglese, a quelli di Ultima Generazione.
RispondiEliminaCambia solo proporzione demografica, la sciocchezza è sempre quella, forse meno addirittura, in quantità. La cultura, in Italia, mai è passata attraverso la scuola.
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