lunedì 5 dicembre 2022

La povertà come progetto

 

Il futuro non ispira nulla di buono. In assenza di misure politiche concrete, è probabile che la situazione economica generale peggiori e che la povertà raggiunga livelli inediti nella storia più recente.

Come sappiamo l’inflazione, che per alcuni generi merceologi è molto più alta di quella ufficiale, colpisce duramente i redditi più bassi. La differenza tra l’inflazione sopportata dai più abbienti e quella che grava sui più poveri non è mai stata così alta negli ultimi quindici anni nella zona euro, notano gli economisti della Banca centrale europea. Se lo dicono loro, bisogna crederci.

La povertà sta diventando endemica. Un segno di questo cambiamento è visibile nel fatto che sempre più persone fanno la spesa nei discount, laddove i prezzi scendono con i volumi acquistati e con la più bassa qualità del prodotto. Persino i mercati rionali tradizionali di frutta e verdura risentono di un forte calo della domanda, anche maggiore per quanto riguarda il pesce fresco (o presunto tale).

Tutto indica che il numero di persone impossibilitate a vivere dignitosamente aumenterà, e non solo di poco. È la fine dell’“opulenza”, di cui cianciava Eugenio Scalfari pochi anni prima di tirare le cuoia, che tanto infastidiva Tommaso Padoa-Schioppa, costretto a mettersi in fila per entrare in un museo. Sempre più netta è la divisione della popolazione in due campi – i ricchi e gli svantaggiati –, con debiti pubblici e privati giganteschi (non è vero che basti stampare moneta), situazioni che ricalcano quelle dei cosiddetti paesi in via di sviluppo.

Non parlo di liberismo o neoliberismo, ma di questa roba qua, dove i ricchi, che ovviamente fanno i propri interessi, diventano sempre più ricchi e la classe media si proletarizza sempre di più. Con ovvie conseguenze sul piano sociale, dei comportamenti e degli atteggiamenti, sul piano demografico e a cascata su tutto il resto. Il termine esatto per questa roba è: capitalismo.

La spesa pubblica è gestita male, anzi malissimo, ma la contraddizione principale è in radice, perché ciò sta accadendo, se non si guarda solo al proprio hortus conclusus, non solo in Italia, bensì in vario grado nell’intera Europa e oltre. Dunque, c’è qualcosa di strutturale che funziona troppo bene per pochi e troppo male per tutti gli altri, e che decenni di privatizzazioni, di moneta unica, di tonnellate di normative UE non hanno risolto e anzi aggravato.

Alla fine della canzone, visto che nulla sembra smuovere davvero le nostre società, eclissati quelli che un tempo sapevano pensare e scrivere, se ci domandiamo a cosa approdano tutte le nostre preoccupazioni e angosce, non sappiamo trovare altre risposte fuori di quella che dava Leopardi: si gira su noi stessi come trottole, finché il moto rallenta, le passioni si spengono e il meccanismo si rompe.

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