Quest’anno passerà sotto silenzio o quasi il centenario di un evento storico di primaria importanza: la costituzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, la cui nascita fu favorita dai divisivi interessi delle potenze occidentali, oltre che dai successi delle armate bolsceviche nella guerra civile.
Il fatto interesserà poco meno dell’uno per cento dei lettori, ed è appunto per il grande afflato verso questo tipo di rievocazioni che ne scrivo qui.
La Russia tra la fine del 1917 e l’anno successivo rischiava la più totale disgregazione territoriale. Nell’estate 1918 pochi sarebbero stati disposti a scommettere sulla sopravvivenza del regime bolscevico. Le armate bianche avanzano da tutte le direzioni verso Mosca, le dimensioni dello Stato sovietico (ma non ancora ufficialmente URSS) si erano ridotte al nucleo del primo Stato russo, ossia entro i confini del Principato di Mosca.
Il preludio della guerra civile si manifestò in termini nazionali: gli ucraini sollevano la bandiera dell’indipendenza e già nel novembre 1917 proclamano la Repubblica popolare Ucraina; il suo governo di sinistra democratica rifiuta di riconoscere il governo bolscevico di Pietrogrado e cerca di affermare la propria indipendenza contro i tentativi bolscevichi di rovesciarlo; poi stabilisce contatti con gli alleati occidentali e conclude la pace con la Germania. A considerare le cose dappresso si può ben dire che non c’è mai nulla di realmente nuovo sotto il sole.
L’esempio ucraino apre la via ad una catena di secessioni: la Georgia si proclama indipendente il 22 novembre, la seguono l’Armenia e l’Azerbaijan. Una serie di secessioni che minacciano di smembrare lo stato russo nel suo nucleo centrale, poiché in una zona della Russia bianca si forma un governo di tendenza socialista in opposizione al governo di Mosca. Negli Stati baltici di Estonia, Livonia e Curlandia l’indipendenza è favorita dall’appoggio di truppe tedesche regolari e di altre truppe locali irregolari. La Finlandia è l’unica nazione dell’impero la cui indipendenza viene confermata dall’assenso del potere bolscevico, nella speranza di vedervi stabilito un governo sovietico, ma il maresciallo Carl Gustaf Mannerheim (che in seguito si alleerà anche con Hitler), facendo leva su forti sentimenti nazionali della popolazione, esce vincitore dalla guerra civile finlandese.
Un altro focolaio di guerra civile si apre in Siberia. Un corpo di 40.000 uomini formato da prigionieri cecoslovacchi dell’esercito austroungarico, che secondo il trattato di pace concluso dai bolscevichi con i tedeschi dovevano essere disarmati e internati, si impadroniscono della transiberiana e si dirigono verso occidente occupando una città dopo l’altra. Il risultato è una generale sollevazione antibolscevica dalla Siberia agli Urali.
Gli alleati occidentali (e il Giappone) aiutavano con armi, uomini e denaro i generali controrivoluzionari “bianchi”. Corpi di spedizione inglesi, francesi, giapponesi, americani e italiani sbarcano in vari porti della Russia: a Murmansk, Vladivostok (i bersaglieri italiani!) ad Archangelsk (Arcangelo) e altre truppe arrivano anche nel Caucaso.
L’intervento delle potenze occidentali nella guerra civile era diretto a impedire che importanti risorse come il petrolio del Caucaso, il grano ucraino o le armi sbarcate nei porti potessero essere utilizzate dai tedeschi. Tuttavia, le intenzioni alleate andavano oltre: lo scopo era quello di aiutare i nemici di un regime che aveva concluso una pace separata con
i tedeschi e si proclama avanguardia di una rivoluzione mondiale. In tutto circa 30.000 soldati alleati si trovavano in Russia quando nel novembre del 1918 la guerra mondiale si concluse con la sconfitta degli imperi centrali. Troppo pochi per sovvertire le sorti della Rivoluzione russa.
Nel marzo 1919, il dittatore della Siberia, Aleksandr Kolčak, forte di 125.000 uomini, lanciò una grande offensiva che in poco più di un mese riesce a raggiungere il Volga. Anton Denikin, che disponeva di 160.000 uomini, avanzava dal fronte ucraino e raggiunse Orel, a 300 km da Mosca. In ottobre, si sviluppò lungo le rive del Baltico un’offensiva che vide affiancate la flotta britannica e un contingente del generale Rüdiger von der Goltz con volontari baltici e truppe bianche. Questa offensiva fece crollare i regimi sovietici dell’Estonia e della Lituania e avviava i paesi baltici all’indipendenza.
Ci si preparava a conquistare Pietrogrado con l’aiuto degli inglesi, ma i giorni dell’intervento diretto da parte delle truppe alleate erano contati. Un aspro dibattito s’era aperto in Occidente sull’opportunità di condurre a termine una vera e propria crociata antibolscevica. I principali sostenitori di questa crociata erano in Francia il maresciallo Ferdinand Foch e in Inghilterra Winston Churchill, ai quali si opponeva il presidente americano Wilson.
Nell’aprile 1919, mentre le offensive bianche acquistano un nuovo vigore, gli alleati decidono ufficialmente di ritirare l’invio di altre loro truppe in Russia. Il timore di una rivoluzione comunista mondiale giocò un ruolo secondario nell’appoggio alleato alla controrivoluzione bianca. In realtà, Inghilterra, Francia e Giappone erano soprattutto interessate a indebolire la Russia come Stato, il suo status come potenza internazionale, e a sottrarle parte dei suoi territori.
Paradossalmente e all’opposto di quanto accade oggi, all’epoca della guerra civile russa, l’unico paese che non aveva interesse a indebolire la Russia erano gli Stati Uniti. Essi temevano un notevole accrescimento della potenza giapponese nel Pacifico, rivale degli americani. Anche le altre potenze non riuscivano facilmente a conciliare i propri obiettivi per quanto riguarda la Russia: i francesi, per esempio, non potevano vedere di buon occhio l’interesse inglese per il Mar Nero e il petrolio del Caucaso.
Tutto ciò non esclude che il fallimento della controrivoluzione bianca contro i bolscevichi vada ricercato anche e naturalmente nella disperata resistenza opposta dall’armata rossa, e va poi preso in considerazione anche l’atteggiamento antinterventista assunto dai movimenti progressisti di tutto il mondo, come i laburisti in Inghilterra o i socialisti in Francia e in Italia, che esercitarono una forte influenza sull’opinione pubblica e sui governi dei rispettivi paesi.
Il governo italiano venne informato abbastanza bene dall’ambasciata d’Italia a Pietrogrado circa l’evoluzione della situazione politica locale. In effetti il ministro degli Esteri del gabinetto Sforza incontrò il ministro per il commercio sovietico a Londra già nel giugno del 1920. L’Italia sottoscriveva nel dicembre del 1921 il primo accordo commerciale con la Russia bolscevica. Negli anni successivi, con l’avvento al potere del fascismo, il governo Mussolini annunciva la sua disposizione a riconoscere de iure l’Unione Sovietica, creata ufficialmente nel dicembre 1922.
Mussolini, con una dichiarazione al Parlamento del novembre del 1923, annunciava che l’Italia riconosceva l’URSS. Sarebbe stato quindi il primo governo delle ex potenze alleate a riconoscere l’Unione sovietica, senonché questa volle dare precedenza al governo laburista britannico, sicché il 2 febbraio 1924 veniva sottoscritto l’accordo per il riconoscimento a Londra. Il 7 febbraio, fu sottoscritto l’accordo per il riconoscimento da parte dell’Italia dell’Unione sovietica.
Di seguito, faccio dono ai lettori, che si sono presi l’arduo compito di arrivare sin qui, dello stralcio di alcuni documenti diplomatici concernenti la questione del riconoscimento dell’URSS da parte del regno d’Italia. Si potrà notare quanta e quale fregola sia posta dal Mussolini per stabilire la priorità italiana in tale riconoscimento. Cambiano i regimi e i governi, ma le maschere italiane non mutano.
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Il Capo della Delegazione economica a Mosca, Amadori, al presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini.
R. 487/116. Mosca, 12 marzo 1923.
Dopo che la Germania ha mostrato la sua incapacità ad una nuova guerra, dopo che le Potenze dell'’ntesa male o bene hanno conservato i loro contatti amichevoli, dopo che nell’Oriente Balcanico la situazione si è chiarita, la politica russa si è persuasa che l’Europa è più saggia di quello che essa pensava e che non è pertanto il caso di speculare per ora su immediati conflitti europei. Né la Russia vuole provocarli, perché, nelle condizioni presenti europee e nelle sue proprie condizioni di forza statale, ciò costituirebbe un giuoco d’azzardo, in cui tutto sarebbe rischiato.
[...] La Russia vuole restare Stato Comunistico: e vuole così perché tale è la mentalità del partito che la dirige e perché – se fosse ammesso un altro ordinamento economico – quel partito finirebbe per perdere il potere. Il comunismo puro ha accettato la NEP; ma le grandi ricchezze – la terra, le case, la grande industria, il gran commercio, i trasporti – sono sempre dello Stato Comunista. Quello che è lasciato alla piccola libera iniziativa privata è misera cosa, sempre alla portata degli arbitrii dello Stato Comunista.
[...] L’edificio comunista nel campo economico e nel campo d’arbitrio politico non è stato intaccato. Potrà subire altre variazioni; ma esse non saranno che piétiner sur place [pestare i piedi sul posto]. Per giungere a quella trasformazione che l’Europa attende occorre saltare il fosso onde giungere alla proprietà privata ed al diritto d’accumulazione delle ricchezze: tutto quello che è stato fatto finora è zero di fronte a questa trasformazione che si attende e che per effettuarsi deve essere preceduta o accompagnata da una trasformazione politica.
Ecco quindi il significato di quanto Lenin dice: «Riuscirà la Russia a con- serrare la sua posizione ed il suo significato di paese comunista fino al tempo nel quale la crisi del capitalismo porterà al sistema socialista?» È questo il problema centrale interno russo e ad esso Lenin risponde che la Russia deve restare comunista e che il dissolvimento europeo è inevitabile.
[...] Ecco dunque cosa scrive Lenin in un articolo sulla Pravda dedicato allo studio di una organizzazione più perfezionata e più corrispondente ai principi comunisti del sistema amministrativo sovietista ed in particolare dedicato alla necessità di trasformare in un organo di controllo modello il Rabkrin, cioè l’Ispettorato Operaio-Contadino, costituito dagli elementi più decisi e più abili del Partito Comunista:
«In Europa il sistema capitalistico, dopo di aver raggiunto il culmine del suo sviluppo, è ora, in conseguenza della guerra mondiale e della permanente crisi economica, arrivato ad un punto dove emergono con evidenza le sue contraddizioni interne e l’incapacità e l’impotenza sua di ristabilire il mondo sconvolto. Le Potenze vincitrici cercano di rimediare alla loro crisi economica interna a spese dei paesi vinti e sfruttano le loro colonie e specialmente i paesi dell’Oriente. Ma qui, causa la guerra mondiale, si è sviluppato e continua a svilupparsi da una parte un giovine capitalismo che sembra dovere seguire lo stesso processo di sviluppo seguito dal capitalismo Occidentale, mentre dall’altra parte si svegliano nazionalmente ed economicamente le masse. È evidente che tra il capitalismo orientale e quello occidentale si inizierà una lotta di vita o di morte e che nello stesso tempo le masse orientali si rivoluzioneranno e seguiranno l’esempio delle masse russe. I primi segni di questo processo si manifestano già in India, Turchia, Cina, Persia, ecc.
Quale è attualmente la situazione ed il compito della Russia dei Soviet? L’esistenza della Russia dipende per il prossimo tempo dal problema: riuscirà essa a conservare la sua posizione ed il suo significato di paese comunista fino al tempo nel quale il capitalismo avrà compiuto la sua evoluzione (storicamente inevitabile) verso un sistema economico e politico socialista? Questo processo non si sviluppa così come noi l’abbiamo aspettato prima. La trasformazione del sistema capitalista verso il socialismo non è un “maturare equo e continuo”, ma si effettua per mezzo dello sfruttamento dei paesi sconfitti e dell'Oriente, che così viene coinvolto nel movimento mondiale rivoluzionario.
Che tattica ci prescrive la situazione attuale? Evidentemente la seguente: noi dobbiamo cercare di mantenere con tutte le cautele possibili il nostro potere operaio; di conservare e di attrarre a noi i larghi strati di contadini medi e piccoli e di risanare ad ogni costo la nostra economia nazionale.
Riusciremo noi ad evitare un conflitto coi paesi imperialisti? Ci daranno una seconda volta la possibilità di rifarci? La risposta a questa questione dipende da troppe e troppo varie circostanze per poter precisarla con qualche sicurezza. L’unica conclusione che si può trarre è quella che l’immensa maggioranza della popolazione mondiale viene istruita dal capitalismo stesso a fare la lotta contro di lui. Ed in fin dei conti l’esito della lotta è predestinato dal fatto che la Russia, la Cina, le Indie ecc. hanno una maggioranza gigantesca di popolazione che precisamente negli ultimi anni, viene attirata con una celerità non comune verso una lotta di liberazione. In questo senso la vittoria finale del socialismo è garantita».
Il Capo della Delegazione economica a Mosca, Amadori, al presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini
T. 2408/518. Mosca, 14 marzo 1923, ore 19 (per. ore 8,20 del 15).
Situazione si presenta tale che eventuale scomparsa Lenin con tutta probabilità non determinerebbe nei giorni immediatamente successivi eventi radicali trasformazioni violente. È però evidente che scomparsa rappresenterebbe un fattore fondamentale che in tempo non immediato può mettere in crisi potere bolscevico sia per lotte interne al partito comunista sia per disgregamenti autorità stato comunista di fronte massa popolazione. Esiste conflitto acuto fra gruppo facente capo Trotzki appoggiato da elemento militare giovane e gruppo Stalin formato da una vecchia guardia comunista, la quale si fa temere oggi da parte Trotzki. Inoltre partito comunista ha finora piuttosto rimandato decisioni definitive sui più gravi problemi cercando di guadagnare tempo; ma in una nuova situazione nascerebbero conflitti mancando una autorità morale riconosciuta da tutti. Masse contadini che rappresentano lo stato nella persona di Lenin possono prendere atteggiamento di ostilità passiva che paralizzerebbe Governo. Non è da escludersi come reazione naturale a queste nuove difficoltà ed a generale diffidenza da cui si troverebbe circondato partito comunista, questo procedere a misure preventive di sinistra. In tali condizioni eventuale politica estera, anche se più turbolenta negli aspetti esteriori, sarebbe senza forza reale.
(Tratto da: Documenti diplomatici italiani, Settima serie, 1922-1935, vol. I (31 ottobre 1922 - 26 aprile 1923).
Il capo della Delegazione economica a Mosca, Paternò, al presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini.
T. GAB. 248/24. Mosca, 2 febbraio 1924, ore 20,44 (per. ore 3,30 del 3).
Il presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini al capo della Delegazione economica a Mosca, Paternò.
Debbo assolutamente protestare per il modo con cui Litvinoff [Maksim Maksimovič Litvinov, ministro degli Esteri sovietico] ha con S. V. impostata la questione della precedenza del riconoscimento inglese su quello italiano ricollegandolo alle dichiarazioni fattele il 12 gennaio. Se tali dichiarazioni potevano avere un valore nella situazione indecisa di allora non ne hanno alcuno oggi risultando dai documenti che l’atto del Governo inglese è stato anzi provocato e affrettatamente attuato per la notizia del già concordato riconoscimento italiano. Risulta dal processo verbale dell’ultima seduta plenaria da me personalmente presieduta il 3 gennaio scorso che essa fu chiusa con una mia dichiarazione formale nella quale affermavo che essendo ormai ultimati i lavori, si poteva considerare come avvenuto il riconoscimento del Governo dei Soviets [sic!] da parte dell’Italia. Non si procedette immediatamente alla firma del Trattato e dei relativi accordi soltanto per le
Se si vuole evitare di creare una giustificata ostilità nel pubblico italiano che attende ormai da qualche giorno la firma del trattato occorre procedervi senza ulteriore ritardo. Il Governo di Mosca dovrebbe rendersi conto di queste considerazioni e dell’utilità di procedere senz’altro alla firma ed all’approvazione del Trattato. Qualora però volesse insistere nel suo concetto di rivedere gli accordi, assumerebbe la responsabilità delle conseguenze di questo ingiustificato atteggiamento e dell’irritazione che ne verrebbe nel pubblico italiano, mentre dal canto mio mi riserverei di prendere le mie decisioni dopo aver conosciuto il pensiero del Governo di Mosca.
Prego V. E. di spiegare l’azione più efficace perché codesto Governo acceda al mio punto di vista impartendo immediate analoghe istruzioni a questa Delegazione Commerciale.
Il capo della Delegazione economica a Mosca, Paternò, al presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini.
T. GAB. s. 264/30. Mosca, 5 febbraio 1924, ore 22,50 (per. ore 12,40 del 6).
Dopo una giornata laboriosa trattative da me condotte col Governo russo sono riuscito riunire Consiglio Ministri. Discussione finita in questo momento. Allo scopo di mostrare a V. E. che esame trattato non deve intendersi connesso con riconoscimento inglese, ma solo dovuto necessità aver notizie pochissimi punti su cui codesto Rappresentante non riferì con sufficiente chiarezza, questo Governo telegrafato istruzioni a Jordanski di procedere firma del trattato con riserva circa esame da farsi in sede ratifica soli punti dubbi da elencare e sottomettere preventivamente a V. E. che farebbero eventualmente oggetto protocollo addizionale. Su tali punti autorità V. E. potrà certo ottenere che siano ridotti a pressocché nulla. In cambio di atto omaggio che questo Governo intende così rendere alla persona di V. E. esso prega che all’atto firma trattato V. E. voglia rilasciare una nota al Rappresentante Soviets e per riconoscimento ufficiale Soviets sì da costituire un atto di fiducia e benevolenza che Governo russo considererebbe di maggior portata di quello che ha fatto Gran Bretagna. Esame parziale verrebbe fatto in pochi giorni e resterebbe segreto. Serpeggia qui malumore per riconoscimento inglese a mezzo semplice incaricato d’affari ciò darebbe al nostro riconoscimento uno speciale valore che spero sfruttare convenientemente. Prego V. E. telegrafarmi sue decisioni per mia norma.
Il presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini all’ambasciatore a Londra, Della Torretta.
T. GAB. RR. 100. Roma, 6 febbraio 1924, ore 17,30.
Decifri Ella stessa.
Nota del presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Mussolini al commissario del popolo per gli Esteri sovietico, Cicerin [Georgij Vasilevič Čičerin].
421. Roma, 7 febbraio 1924.
Mi è grato parteciparLe in occasione della firma del Trattato di Commercio, qualmente in armonia con le dichiarazioni da me fatte alla Camera dei Deputati il 30 novembre u. s. avevo dichiarato nella seduta di chiusura della Conferenza per il Trattato predetto, tenutasi il 31 gennaio u. s., che essendo raggiunto l’accordo, consideravo come risolta la questione del riconoscimento de jure del Governo della Unione delle Repubbliche Socialiste Soviettistiche [sic!]. Il Governo Italiano provvederà pertanto senz’altro alla nomina dell’Ambasciatore presso il Governo dell’Unione, ed in questo modo intendo che a partire da oggi 7 febbraio 1924 i rapporti politici normali sono definitivamente stabiliti tra i due Paesi. Nell’esprimerLe la mia fiducia che la data d'oggi segnerà l’inizio di una opera feconda di bene nell’interesse dei due paesi, voglia gradire, signor Commissario del Popolo, gli atti della mia alta considerazione.
(Tratto da: Documenti diplomatici italiani, Settima serie, 1922-1935, vol. II (27 aprile 1923 - 22 febbraio 1924).
Qualunque conclusione si voglia trarre dall'esperienza sovietica 1917-1991 rimane a parere mio l'episodio più significativo dal punto di vista storico per la lotta per l'emanciazione e contro il capitalismo!
RispondiEliminaindubbiamente, ma il suo fallimento sta proprio nel fatto che si ritenne che il comunismo fosse qualcosa da instaurare (in Russia, poi!). il processo storico è qualcosa di più complicato di un decreto legge che statalizza la grande proprietà. Il fallimento di quell'"episodio" lo stiamo pagando e chissà ancora per quanto tempo. non è un invito alla rassegnazione, bensì un invito alla realtà.
EliminaGrazie assai (un lettore che è arrivato sino a qui).
RispondiElimina;)
EliminaIdem!
EliminaPietro
Molti accadimenti avvengono per caso: la pioggia a Waterloo, l’iceberg del Titanic, la guardia è stanca dell’Assemblea costituente russa. La Storia insegna che per il successo di una Rivoluzione non basta raggiungere il Potere, bisogna saperlo gestire. Serve, perciò, una lunga preparazione: Egemonia culturale, Soggettività construens, Rivoluzione permanente. Ne avremo il tempo?
RispondiEliminahttp://diciottobrumaio.blogspot.com/2022/02/cio-che-conta-e-che-cosa-essi-sono-e.html
EliminaÈ solo osservando il complesso degli eventi nel lungo periodo, che si può comprendere la differenza che passa tra la necessità della tendenza complessiva e la casualità dei singoli "zig zag" della storia, come li chiamava Engels, che stanno a simboleggiare singoli risultati contingenti e casuali. Ciò che impropriamente chiamano “comunismo”, ossia i regimi che in tale nome sorti nel corso del Novecento, rappresentano la casualità dei singoli "zig zag" della storia, mentre la necessità della tendenza complessiva ha continuato per la sua strada.
EliminaIl possibile è qualcosa che può realizzarsi, ed infatti s’è realizzato nelle forme di quei regimi; ma poteva anche non realizzarsi. Quel suo realizzarsi, quella sua contingenza, è ciò che, pur non assolutamente necessario, è divenuto reale (un possibile realizzato). Nel passaggio dalla possibilità alla realtà, interviene il caso, e quel contingente ha rappresentato semplicemente quel reale che si è attuato solo grazie all'intervento del caso.