Non va dimenticato che l’unica ragione d’essere di un’azienda privata è quella d’arricchire i propri investitori. Nell’insieme, è un fatto logico e necessario, ragione fondamentale di vita del capitalismo e dei suoi patrocinatori, i quali fanno il loro mestiere. Non è nemmeno scontato che essi debbano continuare ad esistere.
«Se la storia c’è insegnato qualcosa, è che nell’intima danza tra il potere statale e quello aziendale quest’ultimo, benché possa essere regolamentato, vi si oppone con tutte le risorse di cui dispone.
[...] Quando gli storici discutono dell’eredità del colonialismo britannico in India, di solito citano la democrazia, lo stato di diritto, le ferrovie, il tè e il cricket. Ma l’idea della società per azioni è forse una delle più cruciali esportazioni britanniche in India, e ha cambiato l’Asia meridionale, nel bene o nel male, più di ogni altra nozione europea. La sua influenza supera certo quella del comunismo o del cristianesimo protestante, forse anche della democrazia.
[...] Questo non dovrebbe sorprendere: come osservato recentemente Ira Jackson, l’ex direttore del Center for Business and Government di Harvard, le società di capitali e chi le controlla hanno ormai “sostituito la politica i politici ... Come i nuovi sacerdoti e oligarchi del nostro sistema”. Furtivamente, le società governano ancora le vite di una porzione significativa della razza umana.
[...] Nel ventunesimo secolo una grande società di capitali può ancora sopraffare o rovesciare uno Stato con la stessa efficacia della Compagnia delle Indie orientali nel Bengala del Settecento.
[...] Walmart, che è [era] la più grande società del mondo in termini di fatturato, non include tra le sue attività una flotta di sottomarini nucleari, e né Facebook né Shell possiedono reggimenti di fanteria. Eppure la Compagnia delle Indie Orientali – la prima grande società multinazionale della storia – è stata il modello e il prototipo ultimo di molte società per azioni di oggi. Le più potenti tra loro non hanno bisogno di armate proprie: possono contare sui governi per proteggere i propri interessi e farsi salvare dal fallimento» (*).
Il sistema imperialistico delle multinazionali è un fatto storico, non una chimera cervellotica e complottistica come pretenderebbero far credere gli “onesti borghesi”.
L’evoluzione del processo storico mi pare evidente: una dittatura economica sempre più speculativa, sfruttatrice e devastatrice, gestita politicamente da omini di paglia arcigni e pericolosi ci sta portando diritti verso la catastrofe e l’annientamento.
Nell’epoca degli algoritmi efficienti e ordinatori non abbiamo più bisogno di azionisti privati e della gestione sovrastrutturale borghese. Perciò, facendo tesoro delle esperienze del passato, possiamo intraprendere una strada diversa, quella dell’effettiva socializzazione dell’economia e del mutualismo sociale. Non sarà un percorso facile, non sarà indolore, l’esito non è scontato. Non vedo altre opzioni.
(*) William Dalrymple, Anarchia. L’inarrestabile ascesa della Compagnia delle Indie Orientali, Adelphi 2022, pp. 491-93.
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