Dopo aver rievocato la vicenda umana e politica dell’eroina cinese Qiu Jin, vorrei ricordare la figura intrepida di Emma Goldman, in eterna rivolta per la libertà. Nasce nel 1869 a Kowno, allora città polacca nell’impero russo, divenuta poi Kaunas, la seconda città della Lituania. Famiglia di ebrei ortodossi, il padre brandisce la frusta e lei non potrà che odiarlo; la madre la schiaffeggia il giorno in cui ha le mestruazioni, perché, dice, “quando una ragazza diventa donna, è necessario proteggerla dal disonore”.
A 15 anni lavorava in un laboratorio di corsetti – la famiglia si trasferì a San Pietroburgo – fece l’amore con “un bel giovane sulla ventina”. Rompe con l’ebraismo, la sua famiglia, il suo paese, s’imbarca a 16 anni per l’America, che molti in Europa vedono come la Mecca. Parla yiddish, tedesco, russo e si ritrova a New York, da sola, con 5 dollari in tasca e un piccolo bagaglio a mano.
Basterebbe questa breve nota biografica per rendercela simpatica e interessante (almeno a me).
In Russia aveva stretto legami con studenti anarchici, ma è negli Stati Uniti che tutto avrà inizio. Il 1° maggio 1886, i lavoratori di Chicago manifestano per la giornata di otto ore. Ci sono dei morti, una bomba uccide dei poliziotti. Otto anarchici, palesemente innocenti, sono condannati a morte e quattro di loro impiccati. Emma non dimenticherà mai.
Un incontro decide il suo destino. Una sera stava bevendo qualcosa in un bar dove s’incontravano anarchici e radicali, quando sente una voce urlare dietro di lei: “Una bistecca gigante e un’altra tazza di caffè!”. Era la voce di Alexander Berkman, che divenne il suo amore, poi suo amico per sempre.
Berkman – Sasha – ha 20 anni e, come sostiene, “vive solo per la causa”, ossia quella dell’anarchica. Emma, pur impegnata nella causa, non rinuncia al resto: “Perché non dovremmo amare la bellezza, per esempio i fiori, la musica, il teatro? Le cose belle non sono un lusso, ma una necessità. La vita sarebbe insopportabile senza di esse”. Emma non nasconderà mai nulla dei suoi impulsi e passioni, e per tutta la vita avrà molti compagni e amori.
Ma è la politica che decide. Nel 1892, Henry Clay Frick, magnate del carbone, ”l’uomo più odiato d’America”, assunse agenti privati dell’agenzia Pinkerton per interrompere uno sciopero. Nello scontro che ne seguì morirono nove operai, tra i quali un ragazzino. Berkman ha una sola idea: uccidere Frick. Emma lo aiuta in molti modi, ma Sasha riesce solo a ferire il bastardo, e si becca ventidue anni di prigione.
Inizia per lei una fantastica esistenza da militante anarchica, spesso braccata dalla polizia. Di città in città, di riunione in manifestazione, passando dallo yiddish al tedesco e poi all’inglese, scrive mille articoli in cento pubblicazioni semiclandestine. Passando per New York, affronta Johann Most a muso duro in pubblico perché osa attaccare Sasha, il suo amore imprigionato.
È l’America quasi invisibile, quella che Howard Zinn racconta nella sua Storia del popolo americano, quella degli hobos, i vagabondi di Jack London del suo La strada. Quella delle furiose lotte di classe.
Oratrice affascinate, i suoi comizi richiamano molta gente in ogni città. Emma finisce in prigione per un anno con l’accusa di “incitamento alla sovversione”. Come un turbine viaggia in Europa, poi nelle Americhe, incontra proprio Jack London, gli anarchici Errico Malatesta, Pëtr Kropotkin (da leggere il sui Memorie di un rivoluzionario e Il mutuo appoggio), l’ex comunarda Louise Michel, e molti altri.
Il suo femminismo diventa incandescente. Esige l’uguaglianza, quella vera. In un suo saggio, De la liberté des femmes (da poco è uscita una traduzione italiana con un titolo un po’ dverso), dice l’essenziale: «È passato ben più di un secolo da quando l’antica e biblica formula del matrimonio “finché morte non vi separi” è stata denunciata come un’istituzione che implica il dominio dell’uomo sulla donna, l’assoluta sottomissione di quest’ultima ai suoi capricci e ordini, la sua completa dipendenza sia per il nome sia per il mantenimento».
Con Berkman, uscito di prigione, si oppone alla coscrizione durante il primo conflitto mondiale. Emma, spesso presentata dalla polizia e dai media come “la donna più pericolosa d’America”, fu con Berkman privata della cittadinanza statunitense ed espulsa. Arrivarono a Pietrogrado nel dicembre 1919. La Russia era già un faro abbagliante per milioni di persone, anche per gli anarchici. Emma vede chiaramente quale fosse la china che stava prendendo la rivoluzione. Anche nel suo caso assistiamo a una furiosa battaglia tra idee e valori. Emma poteva rintuzzare sulle idee politiche, ma non certo sui suoi principi.
Il suo vicino d’alloggio è stato per un certo tempo Victor Serge (Memorie di un rivoluzionario, 1901-1941), che ammalato accompagna in ospedale. Scrive Emma: “Le condizioni erano terribili, non era tanto per la carente attrezzatura o la mancanza d’infermieri, ma per la macchina onnipresente del controllo, i sospetti e la sorveglianza continua”. Mentre Serge si adeguerà in qualche modo al nuovo regime, Emma s’interroga, discute e infine condanna. Il Paese è già nelle mani della repressione. Un funzionario bolscevico le disse che la libertà di espressione è una “superstizione borghese”.
Emma viaggia per il paese, scoprendone i retroscena, incontrando il deluso Maksim Gorky, ma anche il grande Pëtr Kropotkin, venerato in tutto il mondo. La rivolta di Kronstadt nel marzo 1921 segnò una rottura definitiva.
Emma e Berkman lasceranno questo paese che ora li disgusta. Emma andrà a Riga, a Stoccolma, poi sarà espulsa dalla Germania, divenne britannica – la sinistra inglese non le perdonò le sue critiche all’URSS –, riuscì a fare un salto anche a New York, poi definitivamente in Canada, ma prima è in Spagna nel luglio del 1936. È felicissima: la Confederación Nacional del Trabajo è il sindacato anarchico, il più importante del paese. Ma gli scagnozzi di Stalin erano anche lì.
Quando la CNT accetta di entrare in un governo di fatto dominato dagli stalinisti spagnoli, dirà: “È un peccato per i nostri compagni che sono morti nei campi di concentramento di Stalin”.
Morì nel 1940, indomita.
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