Com’è noto da molto tempo, le banche centrali sono diventate un sostegno irrinunciabile per il sistema finanziario. Senza denaro pubblico il sistema finanziario globale crollerebbe e con esso l’intera follia economica capitalistica.
La Banca centrale europea (BCE) e la Banca d’Inghilterra (BoE) detengono poco meno del 40 per cento delle obbligazioni dei propri governi e la Banca del Giappone detiene quasi la metà di tutto il debito pubblico. La Federal Reserve statunitense detiene un quarto di tutti i buoni del Tesoro in circolazione e un terzo di tutti i titoli garantiti da ipoteca. A seguito dei suoi acquisti di attività, soprattutto negli ultimi due anni, ha sborsato 4.600 miliardi di dollari (*).
La decisione d’inasprire la politica monetaria attraverso l’aumento dei tassi d’interesse e la riduzione di queste partecipazioni sta producendo forti oscillazioni nei mercati finanziari. Wall Street, ha appena vissuto il suo peggior primo semestre da 50 anni. Un giorno sale nella convinzione che i tassi d’interesse già praticati finora stiano producendo una recessione e che la Fed sarà dunque costretta a ritirarsi, per poi scendere il giorno successivo quando i dati sull’inflazione e altre stime economiche indicano che la stretta monetaria continuerà.
I mercati delle materie prime stanno vivendo forti oscillazioni. Dopo l’escalation all’inizio dell’anno, molti prezzi sono in discesa, anche sostenuta, a causa dei timori di recessione, tuttavia potrebbero riesplodere domani. Speculazione e incertezza regnano sovrani.
Anche i mercati valutari sono in subbuglio. Enormi quantità di liquidità sono alla ricerca di un cosiddetto “porto sicuro”. Il dollaro USA, che rapporta la valuta statunitense a un paniere di altre sei, è ora al massimo da 20 anni poiché l’euro è sceso quasi alla parità con il dollaro, mentre lo yen giapponese è al minimo di 24 anni rispetto alla valuta statunitense.
Tutto ciò in attesa di un altro aumento dei tassi d’interesse di 75 punti base (o almeno 50) alla fine di questo mese da parte della Fed. Questi bruschi aumenti dei tassi potrebbero creare tensioni, sia nella finanza che nell’economia.
Gli aumenti dei tassi d’interesse e i loro effetti non sono l’unico problema che porta a turbolenze ed estrema incertezza sui mercati finanziari. Un problema potenzialmente maggiore è dato dall’impatto della decisione della Fed di ridurre, a iniziare dal mese in corso, le dimensioni delle sue attività finanziarie.
La liquidità è guidata dalle banche centrali, e ora esse hanno deciso di non reinvestire gli asset in scadenza. Nessuno sa quale sarà il risultato perché tali misure non sono mai state intraprese su un ordine di diversi miliardi che prima venivano iniettati nel sistema finanziario tanto da costituirne il nutrimento principale.
Quando nel 2017 sono stati avviati i primi passi verso il restringimento della politica monetaria del cosiddetto quantitative easing (ossia l’alleggerimento quantitativo di acquisti di titoli di Stato o altre obbligazioni sul mercato), l’allora presidente della Federal Reserve, Janet Yellen, dichiarò che sarebbe stato un intervento tranquillo, “come vedere la vernice asciugarsi” (**).
Ora gli investitori sanno che la droga a buon mercato è finita (non poteva essere altrimenti). Tra aumento dell’inflazione combinato con il crescente rischio di recessione (che non è più semplicemente un rischio), la questione è quando questo castello di carta straccia crollerà. La questione dell’irredimibilità delle contraddizioni del sistema capitalistico è sempre lì sul piatto. Come ebbi a scrivere anni or sono, Marx tornerà prepotentemente di moda (prevalentemente a chiacchiere).
(*) Dal 2015 in poi, in termini assoluti, la Banca d’Italia ha complessivamente acquistato ben più debito pubblico di quanto ne sia stato creato di nuovo. Nel 2021 il debito pubblico detenuto dalla sola Banca d’Italia ammontava a 676,7 miliardi, pari al 25,3% del totale. Nel 2021 il debito pubblico detenuto dalle altre banche ammontava a 657,7 miliardi, pari al 24,6% del totale. Pertanto la metà del debito pubblico è nella pancia delle banche italiane. Nel 2021 il debito pubblico detenuto da non residenti era di 780,2 miliardi, pari al 29,1% del totale. Tra i paesi europei l’Italia è uno di quelli con la quota di debito detenuta da non residenti più bassa (dati 2020), con Germania (45,4%), Belgio (55,9%), Portogallo (49,0%) e Spagna (43,9%).
(**) Alla fine del 2018, dopo che il presidente della Fed, Jerome Powell, aveva annunciato che la riduzione del suo bilancio da parte della Fed sarebbe proseguita con il “pilota automatico” al ritmo di 50 miliardi di dollari il mese, Wall Street entrò nel suo più grande calo di dicembre dal 1932.
Powell fu costretto a invertire la marcia: la Fed iniziò a tagliare i tassi a luglio 2019 e la riduzione degli acquisti di asset fu interrotta. Da marzo 2020, quando il mercato statunitense si è bloccato all’inizio della pandemia, la Fed acquistò oltre 4.000 miliardi di dollari di attività finanziarie.
La Fed, così come le altre banche centrali, non può affermare pubblicamente che l’obiettivo delle sue operazioni è quello sostenere Wall Street, bensì che le misure di politica monetaria sono volte a incoraggiare le banche e altri istituti di credito ad aumentare i prestiti alle imprese e promuovere la crescita. In realtà tutto ciò c’entra poco con il credito alle imprese. La fornitura di denaro quasi gratis è utilizzata per finanziare l’orgia della speculazione di Wall Street e delle altre borse.
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