Ieri sera, su La7, durante un’intervista di quasi mezz’ora al figlio di Luigi Calabresi, che qualcuno giudica un “momento di vera umanità”, il nome di Giuseppe Pinelli, anarchico ed ex partigiano, di professione ferroviere, non è mai stato fatto.
Oltre a “momenti di vera umanità” televisiva, mai disprezzabili, sarebbe stato il caso di fare informazione oltre che comunicazione, posto che sono passati 50 anni da quei fatti e la maggior parte del pubblico non sa di che cosa si tratti.
Chi fu effettivamente Luigi Calabresi e quale ruolo ebbe nei fatti che precedettero e seguirono la strage di piazza Fontana? Chi fu Pinelli, quale ruolo ebbe nel caso Calabresi, perché si trovava in questura ancora in stato di fermo non convalidato dal magistrato dopo 48 ore? Per quale motivo Calabresi fu incriminato, e perché nel corso di un processo ricusò il magistrato Carlo Biotti, poi sospeso dallo stipendio e dalla pensione e accusato falsamente di “aver inquinato il processo con meschini calcoli di carrierismo senile”.
Solo dopo, nel corso della trasmissione, Paolo Mieli, ha menzionato incidentalmente Giuseppe Pinelli, dicendo che non è vero che fu “scaraventato giù dalla finestra”. Chi sostenne che fu “scaraventato”? E perché mai avrebbero dovuto farlo? Nondimeno e per contro vogliamo ancora far passare la tesi ridicola del suicidio alla quale nessuno diede alcun credito già allora? Perché dico ridicola? Basta leggere, per andare sul leggero, la pièce che gli dedicò Dario Fo: Morte accidentale di un anarchico.
“Mai ci fu il fascismo in Italia” ha ripetuto Mieli riferendosi a quegli anni ed esorcizzando la posizione della Francia su tale questione (Mitterand un sostenitore di Lotta continua?). È un’invenzione di Mieli che in Francia si ritenesse l’Italia un paese fascista, tuttavia mai Mieli dice una parola sul ruolo dei neofascisti, dei tentativi di colpo di stato, del ruolo degli apparati dello Stato negli attentati e nelle stragi, nell’inquinamento delle prove, nella sottrazione degli imputati alla giustizia, nel costante depistaggio delle indagini, del clima generale seguito al 1968-‘69, ecc.
Nel corso della trasmissione è stato detto ripetutamente che mancano ancora dei tasselli di verità. E però se si vuole davvero riassumere la verità del caso Calabresi, essa non va disgiunta dal contesto storico, ossia quello della “strategia della tensione” a matrice neofascista delle stragi di quel lustro: piazza Fontana, treno Freccia del Sud, Peteano, Questura di Milano, piazza della Loggia, treno Italicus.
Non mancano, nonostante tutto, conferme processuali, come ad esempio la condanna definitiva di Freda e Ventura per le bombe del 1969 pre-piazza Fontana: attentati per i quali alcuni innocenti (anarchici) erano già stati condannati e sarebbero stati incastrati se a Treviso il giudice Stiz nel 1971-1972 non avesse riportato gli accertamenti sui binari giusti, ben diversi da quelli che intanto avevano già innescato l’arresto dell’anarchico Valpreda e la morte di Pinelli in questura. Neppure “servizi deviati” e “ruolo degli americani” sono concetti che prescindono da punti fermi giudiziari.
E però vi sono motivi per tacere, falsare e inquinare ciò che invece è ben noto. Perché ancora dopo mezzo secolo nei confronti delle vittime delle stragi e di quei fatti? È immorale, prima ancora che falso coltivare il luogo comune di una verità ignota, di stragi senza paternità, di depistaggi e misteri totalmente mai diradati. Si vuole la verità? Allora sia senza reticenze e falsità.
Non c’è nemmeno da togliere “segreti di Stato” che in realtà non ci sono su piazza Fontana e dintorni. Se poi i liceali di oggi ignorano chi siano Valpreda, Pinelli o Calabresi, e attribuiscono la strage di piazza Fontana alle Brigate rosse, questo va sul conto di un’informazione pigra e sciocca, quando non in totale malafede, adagiata su meccanismi di routine che rendono poco “notiziabile” una vicenda così lunga e segnata da esiti altalenanti.