Tempo di lettura: poco, se appartenete alla “seconda ondata”.
Una questione centrale nello studio dell’evoluzione umana riguarda quando, e ovviamente come e perché, le capacità cognitive umane moderne si siano evolute da quelle dei nostri progenitori. Una nuova ricerca fa luce sui tempi di questo processo. In un articolo appena pubblicato sulla rivista Science, un team internazionale, guidato da Marcia S. Ponce de León dell’Università di Zurigo, ha scoperto che i cervelli umani dall’aspetto moderno appaiono circa 1,7 – 1,5 milioni di anni fa rispetto ai cervelli precedenti e più primitivi dei primi membri del genere Homo .
Fatto non senza importanza, perché i primi membri conosciuti del genere Homo risalgono a un milione di anni prima, a circa 2,8 milioni di anni fa.
Questi primi esseri umani si erano già dispersi dall’Africa in Eurasia 2,1 milioni di anni fa e producevano strumenti primitivi in pietra a scaglie noti come Oldowan da almeno 2,5 milioni di anni fa, nonostante la loro configurazione cerebrale fosse più primitiva. Pertanto, questa nuova ricerca indica che la prima migrazione degli esseri umani in Eurasia è stata compiuta da popolazioni non in possesso di moderne capacità cognitive umane, seguite poi da esseri umani più moderni, anch’essi provenienti dall’Africa.
Per ovvie ragioni, il comportamento e le capacità cognitive degli esseri umani estinti non possono essere osservati direttamente, si deve fare affidamento principalmente su due elementi, gli artefatti e l’anatomia fisica, per dedurre queste caratteristiche, criteri di analisi e valutazione che presentano dei limiti oggettivi.
I reperti di documentazione archeologica per i primi esseri umani è costituito quasi esclusivamente da strumenti di pietra, mentre manufatti, resti di cibo e altri oggetti composti da materiali organici sono in gran parte scomparsi. Mentre gli strumenti di pietra possono fornire informazioni sulle capacità cognitive basate sulla raffinatezza tecnologica del processo di produzione e, forse anche sulla struttura del linguaggio, gran parte della ricchezza delle capacità umane moderne, vale a dire in rapporto allo sviluppo delle funzioni psichiche superiori, rimane inosservabile.
L’altra principale fonte di dati per indagare sulle prime capacità cognitive umane è l’anatomia comparativa del cervello. Dato che il cervello è costituito da tessuti molli, di solito non si fossilizza. Pertanto, la struttura profonda del cervello è inaccessibile nella documentazione fossile. Tuttavia, la configurazione esterna del cervello lascia un’impressione all’interno del cranio. Creando calchi, fisici o mediante immagini digitali, dell’interno di teschi fossili, noti come “endocast”, è possibile studiare non solo la dimensione complessiva, ma anche la forma esterna delle principali regioni del cervello.
I cervelli degli esseri umani moderni sono notevolmente diversi da quelli delle grandi scimmie, nella dimensione complessiva e nella configurazione delle varie regioni, e offrono qualche indicazione sulla condizione dei nostri antenati comuni. Ciò è particolarmente vero per il lobo frontale, che è la regione in cui risiedono processi cognitivi complessi, come abilità sociali, creazione di strumenti e linguaggio.
I membri del primo genere di ominidi, Australopithecus, avevano cervelli che, per dimensioni e aspetto esteriore, non differivano molto dai loro antenati scimmieschi. In effetti, i cervelli del primo Homo erano ancora in gran parte simili a quelli delle scimmie, e per circa la metà a quelli degli esseri umani moderni. Va ricordato, tuttavia, che è probabile che si siano verificati cambiamenti interni nell’architettura del cervello e, quindi, nelle capacità mentali nei primi ominini che non sono distinguibili nei citati endocasti, come evidenziato dalla produzione di strumenti di pietra. Inoltre, il numero di esemplari utilizzabili risalenti a prima di 1,8 milioni di anni fa è piuttosto ridotto, rendendo difficile l’esame dettagliato dei cambiamenti nel tempo.
La nuova ricerca si basa sull’esame di teschi fossili provenienti dall’Africa, dalla repubblica della Georgia (il sito di Dmanisi) e dall’isola indonesiana di Giava, che ha rivelato che la configurazione moderna del cervello era apparsa solo da circa 1,7 a 1,5 milioni di anni fa. I teschi fossili di Dmanisi (cinque individui) rappresentano una prima popolazione di Homo (l’identificazione della specie è controversa), datata tra 1,85 e 1,77 milioni di anni fa, e, quindi, forniscono una buona base di riferimento rispetto alla quale confrontare i successivi esemplari fossili provenienti da Africa e Indonesia, identificata come appartenente all’Homo erectus.
Gli esemplari provenienti dall’Africa datati tra 1,7 e 1,5 milioni di anni fa mostrano un mix di caratteristiche primitive e derivate (cioè, più moderne) del cervello, incluso un aumento generale delle dimensioni, in particolare del lobo frontale, mentre i fossili successivi mostrano costantemente una configurazione più moderna. Ciò fa propendere che questa transizione sia apparsa per la prima volta nelle popolazioni africane di Homo. Gli esemplari indonesiani con la configurazione cerebrale più moderna hanno meno di 1,5 milioni di anni, a sostegno dell’interpretazione che rappresentino una “seconda ondata” di migranti dall’Africa.
Tra i cambiamenti osservati negli esemplari più recenti c’è l’allargamento di quello che è noto come cappuccio di Broca (vedi: area di Broca), parte del lobo frontale, che è legato alla produzione del linguaggio. È significativo che l’apparizione di una tecnologia di utensili in pietra più sofisticata, nota come Acheulean, si sia verificata nello stesso periodo, sostituendo la più antica e primitiva tecnologia Oldowan, che è associata, come detto, ai fossili di Dmanisi e ai membri precedenti del genere Homo.
Il complesso dei materiali acheuleani è caratterizzato da strumenti bifacciali simmetrici, sul genere delle asce, che richiedono una tecnica di produzione molto più complessa e capacità mentali associate rispetto a quelle precedentemente utilizzate per produrre strumenti Oldowan, che consistono in semplici nuclei e scaglie. Inoltre, gli strumenti di Acheulean mostrano una specializzazione funzionale che non si vedeva nella tecnologia precedente.
La contemporaneità di questi sviluppi supporta l’ipotesi di correlazione tra l’evoluzione del linguaggio e la tecnologia, entrambe richiedenti capacità di pensiero astratto. Questo è anche il periodo di tempo del più antico adattamento particolare della mano umana che si pensa fosse associata alla fabbricazione di utensili sofisticati. Le specificità della dinamica tra questi sviluppi rimangono un’area che merita ovviamente molta più ricerca. Tuttavia è chiaro un progresso rivoluzionario nell’evoluzione umana tra 1,7 e 1,5 milioni di anni fa. Quello che ormai sembra certo è che tutti questi sviluppi sono apparsi per la prima volta in Africa.
Questi risultati supportano due ipotesi. In primo luogo, che la significativa riorganizzazione del cervello umano ha avuto luogo più tardi rispetto al passaggio da Australopithecus a Homo (“più tardi delle prime dispersioni di Homo dall’Africa”), contrariamente alle precedenti ipotesi (inoltre, “le aree di associazione corticale anteriore e posteriore si sono evolute in tandem, piuttosto che in sequenza”).
In secondo luogo, ciò suggerisce che ci siano state almeno due prime ondate di dispersione umana fuori dall’Africa: la prima ondata, già 2,1 milioni di anni fa, composta dai primi membri del genere Homo (H. habilis o più precocemente H. erectus), con cervelli relativamente primitivi e competenze linguistiche e tecnologiche limitate, seguite da esseri umani più moderni con funzioni mentali e pratiche più sviluppate. La questione se la seconda ondata si sia sostituita o fusa con i membri della prima ondata deve ancora essere stabilita. Una serie di questioni che potrà essere “soddisfatta solo attraverso il recupero di consistenti campioni fossili da contesti cronologici ben controllati”.
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