Prima parte.
La mattina del 31 marzo 1923, un tenente francese al comando di una pattuglia occupa l’autorimessa dirimpetto all’amministrazione centrale di una grande fabbrica nella Ruhr. Vi piazza una mitragliatrice. Gli automezzi sono indispensabili per il trasporto di viveri e di denaro per la paga; il loro sequestro esaspera gli operai. Inutili le trattative con l’ufficiale. Le sirene delle officine urlano senza sosta. Gli operai abbandonano il lavoro e s’adunano nella rimessa; folla muta che aspetta ciò che faranno i francesi. L’ufficiale intima agli operai di disperdersi. Al loro rifiuto, ordina di aprire il fuoco: 13 operai tedeschi rimangono uccisi, molti altri cadono feriti gravemente.
La prepotenza non termina qui. Tutti i dirigenti della fabbrica sono sottoposti a interrogatorio. Sono accusati di aver indotto gli operai a minacciare i soldati, motivo per il quale hanno reagito sparando. Il tribunale militare francese infligge al proprietario della fabbrica 15 anni di reclusione e un’ammenda di 100 milioni di marchi; a ciascuno dei direttori da 10 a 20 anni di reclusione e 100 milioni di marchi di ammenda; al direttore delle officine degli apprendisti toccano dieci anni di reclusione.
Non si può comprendere appieno l’atteggiamento dei tedeschi verso i vincitori e le loro inique imposizioni e la smodata protervia francese se non si valutano i motivi, in gran parte giustificati, su cui s’incentrava la loro collera.
A partire da quel famigerato articolo 231 del trattato di Versailles, un documento totalmente vendicativo e perciò spesso illogico. Chi conosca un po’ approfonditamente quella vicenda storica, sa quali furono i reali presupposti che portarono all’agosto 1914, e tuttavia quell’articolo faceva ricadere e addebitata in solido alla Germania tutta la responsabilità del conflitto bellico.
La Francia da decenni fremeva nel desiderio di rivincita contro l’odiato vincitore di Sedan, recuperare l’Alsazia-Lorena e un po’ d’altro; da parte sua l’Inghilterra aspettava l’occasione propizia per regolare i conti con un concorrente fin troppo invadente nei riguardi dei suoi interessi, predisponendosi dichiaratamente all’annientamento preventivo della flotta tedesca (emulare il cosiddetto “colpo di Copenaghen” del 1807).
La gara nello sviluppo degli armamenti s’era acuita furiosamente negli ultimi lustri. Se la Germania metteva in cantiere una nave di linea (cioè, da battaglia), l’Inghilterra ne costruiva due. All’adozione della ferma triennale in Francia, nel 1913, la Germania rispondeva col maggior aumento delle sue forze avvenuto fino allora.
Quanto alla Russia, s’era riavuta dalla guerra perduta contro il Giappone, e aveva creato quello che definiva il “rullo compressore”, destinato a schiacciare l’Austria e la Germania, al fine di ottenere l’unione di tutti gli slavi d’Europa sotto il suo patronato, quindi conseguire l’antico sogno della conquista di Costantinopoli e il controllo degli Stretti.
Infatti, c’era in ballo la cosiddetta “carcassa del turco”, la spartizione dell’impero ottomano, che avrebbe dovuto concretizzarsi nei modi stabiliti dagli accordi segreti tra Francia, Inghilterra e Russia, poi resi pubblici da Lenin nel 1917.
Certo, la Germania non è un agnellino tra i lupi, è lupo essa stessa. Il branco che la circonda è numeroso e più forte, soprattutto è meglio attrezzato per la propaganda, che è fatta di semplicismo e insistenza. Il branco sa come offrire l’immagine della vittima innocente proditoriamente aggredita dal feroce “unno”. È questa una storia che si ripete sempre uguale a ogni cambio di bandiera.
Per averne un’idea cito Arthur Ponsonby, autorevole deputato inglese, autore del libro Falsehood in War Time (Menzogne in tempo di guerra).
Quando si rese noto il progetto del trattato, William Christian Bullitt Jr., diplomatico, giornalista e romanziere, membro allora della delegazione americana a Versailles, dichiara di dimettersi: «Le condizioni di pace segnano un abbandono dei principi per i quali gli americani hanno combattuto» (*).
Il popolo affamato e stanco cerca di fare da sé. Ogni giorno avvengono saccheggi di spacci alimentari, rapine e disordini. Dappertutto regna la violenza e il caos. Sembra giunta l’ultima ora di una Germania unita. Il nazionalismo nelle sue forme estreme comincia a prendere piede.
La Germania sarà poi accusata di aver violato il trattato di Versailles. Era stata posta di fronte ad un ultimatum: accettare in blocco il trattato o subire l’occupazione di tutto il paese. Oltretutto non c’è nazione che non sia stata colpevole della violazione di un trattato. La violazione di un trattato è una faccenda di convenienza, non una questione di moralità internazionale.
All’uopo basterebbe prendere visione di quanto ebbe a scrivere J.M. Keynes (Le conseguenze economiche della pace, Adelphi), riguardo per esempio a Danzica (p. 54), sull’iniquo trattamento riservato all’Italia e alla Serbia, costrette a “raccattare quello che possono dai resti dell’Austria Ungheria” (p. 104), mentre gli altri Alleati fanno man bassa in Africa, in Medio Oriente e altrove. Eccetera.
(*) In seguito Bullitt è tornato negli Stati Uniti e ha testimoniato in Senato contro il Trattato di Versailles. Fu il primo ambasciatore degli Stati Uniti in Unione Sovietica e poi in Francia. Sposò nel 1924 Louise Bryant, vedova di John Reed. Collaborò con Sigmund Freud, con il quale firmò il portrait psicologico Le président T.W. Wilson (trad. it. Il caso Wilson). Nella Prefazione, lo stesso Bullitt ci racconta a grandi linee la storia della loro relazione. Bullitt fu a lungo legato a Marguerite LeHand, segretaria particolare di Franklin D. Roosevelt.
Dev'essere vero che quella contro il Covid è una guerra, perché tante bugie come in quest'ultimo anno non le ho mai sentite.
RispondiEliminaVero. Nel seguito di domani c'è dell'altro
EliminaVorrei che questi tuoi post non finissero mai, assetato come sono di conoscenze storiche così come le proponi.
RispondiEliminaOgni riferimento al tuo precedente post "Tempo di lettura" non è assolutamente casuale.
;-))
EliminaIl fatto che la propaganda dell'Intesa sia tutt'oggi in vigore nell'opinione pubblica italiana (oserei scrivere "europea") è estremamente significativo. Poiché non siamo passati ad una nuova interpretazione devo dedurre che quel periodo che la storiografia ha designato come "seconda guerra dei trent'anni" non si è ancora definitivamente concluso o che gli interessi economici e geopolitici sono tuttora i medesimi.
RispondiEliminaGrazie per le sue precisazioni, la lettura de "La strana disfatta" di Bloch mi aveva lasciato tutt'altro ricordo.
(Peppe)
Concordo, nulla è cambiato
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