martedì 11 febbraio 2020

Il muratore di Dovia


Sulla Domenica del Sole 24ore, si può leggere un articolo dal titolo: L’avventuriero di tutte le strade, a firma dello storico Emilio Gentile, che presenta un suo libro, in uscita il 13 febbraio, dal titolo Quando Mussolini non era il duce. L’articolo non dice nulla, e temo che anche il libro in questione finirà per dire la stessa cosa.


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Benito Mussolini fu fermato o arrestato dalla polizia elvetica in almeno tre occasioni dal 1902 al 1904. Esistono negli archivi svizzeri due schede antropometriche con foto istruite dalla polizia in occasione di tali arresti. A fianco dell’articolo di Gentile, compare la scheda antropometrica di quando fu arrestato dalla polizia ginevrina nell’aprile del 1904.

Penso sia interessante conoscere la storia di queste due schede antropometriche, e ciò mi offre l’occasione per dire dell’altro, specie a riguardo del socialismo e dei socialisti di quel tempo, quindi delle condizioni che portarono un personaggio di modesto livello come Mussolini a diventare un esponente di spicco del Partito socialista italiano, tanto da vedersi affidare la direzione del quotidiano del partito, l’Avanti!.

La fortuna, se così vogliamo chiamarla, lo accompagnò dal Congresso di Reggio-Emilia (1912). Divenne ancora più larga quando salì al potere, laddove all’infuori dell’estrema sinistra repubblicana, socialista e comunista, nessun partito o gruppo parlamentare gli rifiutò la collaborazione, salvo diventare tutti antifascisti della prima ora dopo il 25 luglio 1943.

Quanto esporrò è tratto prevalentemente dal primo volume della biografia mussoliniana scritta da Renzo De Felice. Tra parentesi riporto il numero di pagina.

De Felice si basò principalmente sull’autobiografia scritta dallo stesso Mussolini nel 1911-12, oppure su biografie che lo stesso storico definì apologetiche e auliche, valga per tutte citare quelle del De Begnac e del Ludwig (autore quest’ultimo di diverse biografia, compresa quella romanzata di Napoleone).

Si avvalse anche di due fonti dirette, quella della sorella Edvige, la quale ricorda, tra l'altro, come il fratello si appropriasse del denaro del suo salvadanaio (p. 15), e quella contenuta nella corrispondenza tra Mussolini e Santo Bedeschi, ossia a dire di quell’”amico” cui Emilio Gentile accenna nel suo articolo senza però farne il nome.

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Mussolini nacque ad immediato contatto di un ambiente “sordido e violento” (p. 9). Frequentò per tre anni l’istituto tecnico preparatorio, una specie di scuola di avviamento come esisteva prima della riforma che portò all’attuale ordinamento della scuola media inferiore. Seguirono tre anni di “scuola normale”, con la quale conseguì nel 1901 la licenza d’onore. Come studente “più di una volta dovette riparare ad ottobre qualche materia” (p. 13).

Dopo la scuola non riusciva a trovare un’occupazione, tanto che scrisse parole di disperazione autentica al suo amico Bedeschi. Finalmente e improvvisamente a Gualtieri,  un paese con amministrazione socialista, fu nominato supplente in una classe elementare, ma l’incarico non gli fu rinnovato per una relazione intrecciata con una donna sposata il cui marito era sotto le armi, fatto che avveniva alla luce del sole e che causava grande scandalo.

Decise di espatriare, di raggiungere la Svizzera, con l’intenzione di recarsi a Ginevra. Nel luglio 1902, Mussolini soggiorna dapprima a Yverdon e due giorni dopo a Orbe, dove lavora qualche giorno come manovale per una costruenda fabbrica di cioccolata. Scriverà nella sua autobiografia: “Quella fatica era per me una tortura”. Dopo pochi giorni di quella “tortura” approda a Losanna, dove fa per la prima volta conoscenza con la polizia elvetica che lo arresta, per vagabondaggio, “mentre intirizzito dal freddo e lacerato dal digiuno uscivo dall’arcata del Grand pont”, sotto il quale aveva dormito.

Fu rilasciato dopo tre giorni poiché i suoi documenti erano in regola e aveva affermato di volersi recare a Ginevra. Contrariamente a questa dichiarazione non si allontanò da Losanna, “ma, non sapendo evidentemente come tirare avanti – scrive De Felice –, prese contatto con gli ambienti socialisti italiani della città” (p. 26).

Fu invitato a cena, gli procurarono un sussidio di dieci franchi e un letto in casa di un artigiano vicentino, redattore dell’Avvenire del lavoratore, organo del Partito socialista italiano in Svizzera e della Federazione muraria. Pochi giorni dopo, su quel giornale Mussolini pubblica un primo articolo, aveva così inizio il suo inserimento nel Partito socialista in Svizzera e la sua attività politica.

A Losanna, oltre a scrivere nove articoli sull’Avvenire, lavora come commesso presso un paio di botteghe e come muratore. Nei mesi invernali rimane senza lavoro e viene aiutato dai compagni. S’iscrive al sindacato e ne diviene segretario locale con l’incarico di redigere i verbali delle sedute, “con un compenso di 5 lire mensili e le consumazioni gratis durante le assemblee”, come egli stesso scrisse.

I suoi articoli ebbero un certo successo poiché non mancavano di chiarezza ed incisività, ma “soprattutto per il loro tono deciso e rivoluzionario”, scrive De Felice.

Nel marzo del 1903, lasciata Losanna, si trasferisce a Berna, dove lavora come manovale e si dedica, la sera e giorni festivi, alla propaganda, tenendo comizi e conferenze che attrassero ben presto su di lui l’attenzione della polizia. Arrestato,  rimase in prigione per 12 giorni. È in tale occasione che gli vengono scattate le prime foto segnaletiche, di fronte e di profilo, ossia quella con il numero 1751 e la lavagnetta nella quale per errore è scritto il nome “Benedetto”.

Fu espulso dal Cantone di Berna. A Chiasso Mussolini fu consegnato dalla polizia svizzera a quella italiana, che lo trasferì a Como, dove non avendo trovato nulla sul suo conto lo rimise in libertà (p. 32).  

Ritorna in Svizzera subito dopo, si ferma a Bellinzona, poi tra luglio e agosto ritorna a Losanna. Dopo una breve parentesi in Italia nell’ottobre dicembre del 1903 per l’aggravarsi della madre, torna in Svizzera e si reca a Ginevra. Trascorre i primi mesi del 1904 tra Ginevra e Annemasse (Alta Savoia), occupandosi di attività politica, sindacale e giornalistica: comizi, conferenze, corrispondenze a riviste socialiste e anarchiche. Frequenta anche la Biblioteca universitaria, dai cui registri risulta che abbia consultato soprattutto trattati sulle malattie veneree.

Nel luglio del 1903 prende la parola in alcuni comizi socialisti nella regione e il 25 marzo a Losanna tiene una conferenza sull’ateismo, un suo cavallo di battaglia. Scrive De Felice: «Il dibattito, a cui assistettero circa cinquecento persone, fu riepilogato di lì a cinque mesi nel primo opuscolo (L’uomo e la divinità, Lugano 1904) di una Biblioteca internazionale di propaganda razionalista fondata da Serrati, uno specialista in questo genere di “letteratura”, da Mussolini ed altri socialisti di Ginevra e di Lugano […]. Gli argomenti di Mussolini appaiono da questo opuscolo tutt’altro che originali, spesso scopiazzature di  alcuni dei testi razionalisti e antireligiosi più in voga a quel tempo; nel complesso, però, va anche detto che, rispetto alla media di questo genere di “letteratura”, l’opuscolo ha un minimo di dignità formale e denota in Mussolini una cultura caotica, da autodidatta, ma – per l’ambiente socialista del tempo, si pensi a un Serrati – piuttosto vasta e, qua e là, non del tutto superficiale. […] Da allora in poi egli fu considerato un po’ come il “tecnico” della questione […]» (pp. 35-36).

Ritornerò su questo punto più avanti.

Il ministero dell’Interno della Confederazione lo segnala alle polizie cantonali quale “anarchico” da tenere d’occhio. Giuridicamente, la sua posizione si fa precaria. In Italia è ricercato per renitenza alla leva; in Svizzera è schedato come sovversivo e sorvegliato dalla polizia; per di più il suo passaporto è scaduto e non può chiederne il rinnovo poiché “disertore”. Decide allora di falsificare la data di validità del documento, ma le autorità ginevrine non tardano a scoprire l’irregolarità. Il 9 aprile viene arrestato ed espulso dal cantone.

La polizia decide di farlo accompagnare alla frontiera italiana a Chiasso, ciò che avrebbe significato l’arresto da parte delle autorità del Regno. Contro l’espulsione di Mussolini si mobilitano gli ambienti socialisti e quelli dell’emigrazione italiana in Svizzera. Il 18 aprile 1904, il deputato radicale al Gran Consiglio ticinese, Antonio Fusoni, interpella il governo “per sapere se la direzione di polizia ticinese si sia prestata o meno alla consegna al confine italiano di certo Mussolino [sic], espulso dal cantone di Ginevra”. Linterpellante trova scorretta la consegna di Mussolini all’Italia: la renitenza al servizio militare, essendo un delitto politico, violerebbe il diritto d’asilo.

Il consigliere di Stato Luigi Colombi, responsabile del dipartimento di polizia, rassicura l’interpellante. Avendo avuto conoscenza per via indiretta dell’espulsione ordinata dalle autorità ginevrine “e sapendo non procedere la medesima da nessuna condanna per reato comune”, la direzione di polizia “diede istruzioni ed ordini nel senso che detto signore non venne né consegnato, né tradotto al confine, ma lasciato libero di scegliere, per abbandonare il cantone e la Svizzera, quella via che più gli convenisse”.

Così, nel 1904, alcuni esponenti politici ticinesi, decisi a far rispettare il diritto d’asilo in Svizzera, anche contro il volere di altre autorità cantonali, evitarono al disertore e agitatore Benito Mussolini il soggiorno nelle galere militari italiane.

Nell’aprile del 1904, evitata l’espulsione, si trasferisce a Losanna, dove s’iscrive alla facoltà di scienze sociali e frequenta per un paio di mesi i corsi del sociologo Vilfredo Pareto (non si conobbero personalmente). Questo modesto trascorso accademico sarà all’origine del dottorato honoris causa, conferito al Duce nel 1937 dall’ateneo losannese.

Altri soggiorni in Svizzera tra il 1908 e il 1910. A Lugano lavora come muratore nei cantieri stradali e ferroviari; qui conosce il leader socialista Guglielmo Canevascini che lo ospita in casa. Nel 1910, il nome di Benito Mussolini “muratore, residente a Lugano”, figura anche sul registro dei forestieri in un albergo di San Bernardino.

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Questa fu la “carriera” del Mussolini elvetico, parassita e scroccone, e, collateralmente, la cronaca delle due schede antropometriche di Mussolini il rivoluzionario.

Quanto al livello di conoscenza diretta e approfondita del socialismo scientifico in Italia, essa fu davvero scadente presso gli intellettuali dell’epoca e inesistente a livello più generale nella sinistra. Per quanto riguarda gli intellettuali, ossia filosofi, semifilosofi e begli spiriti, penso sia sufficiente indicare due casi paradigmatici. Il primo riguarda la risposta piccata e però gustosa anche dal punto di vista letterario, che Engels da par suo diede a quel vanesio di Achille Loria e che si può leggere in esteso nella Prefazione al terzo libro de Il Capitale. L’altro caso riguarda Benedetto Croce, il suo giudizio pretestuoso e infondato sull“inavvedutezza di Marx” (vedi qui) a proposito della legge sulla caduta tendenziale del saggio del profitto. La sentenza senza appello di Engels per Loria, può adattarsi perfettamente anche a quel tronfio di Benedetto Croce.

Per Mussolini, come ebbe a scrivere De Felice (p. 42), il socialismo era e fu sempre più uno “stato d’animo”, e il marxismo gli fu “sostanzialmente estraneo non andando per lui oltre una concezione elementare della lotta di classe”.

Quanto agli altri socialisti, non si andò mai, salvo eccezioni, oltre il solito socialismo piccolo borghese, compreso quello dei minimalisti à la Turati (troppo indulgente nel conciliare gli antagonismi); oppure, per altro verso, si ebbe appunto un socialismo di stato d’animo, quello dei rivoluzionari massimalisti e del sindacalismo estremista. 

Questi ultimi furono autori di una letteratura di propaganda che, sorta sotto la pressione e il dominio d’un padronato industriale dai tratti repressivi e autoritari e d’un padronato fondiario semi-feudale, fu lespressione esasperata della lotta di penna contro tale dominio.

Propagandavano un rozzo egualitarismo e l’illusione che la rivoluzione fosse un fatto volontario di un giorno o di un mese (e in questa critica Turati aveva ragione), e però presto si stancarono d’aspettare e in un vile voltafaccia dopo l’ebbrezza parolaia salirono in carrozza con i padroni del vapore.

Ricorda a tal proposito Angelica Balabanoff,  la quale ebbe su Mussolini grande e prolungata influenza, che quando il comitato gli tolse la direzione del giornale, disposto ad accordargli una indennità, il buon apostolo trovò queste magnifiche parole: “Io non accetto nulla, cinque franchi al giorno mi bastano ed io li guadagnerò facendo il mestiere di muratore. Io non scriverò neppure una parola. In ogni caso siate certi di una cosa: che io non scriverò mai una parola contro il partito socialista”. Otto giorni dopo Mussolini era fondatore-direttore di un giornale antisocialista disponendo di cospicui capitali.

Poi, nel primo dopoguerra, dopo gli scioperi, le scorrerie della canaglia fascista, l’Italia proletaria e piccolo borghese fu stanca, aveva la nausea di rivoluzionari che non sapevano fare la rivoluzione, e perciò scelse di stare a vedere quel che avrebbe combinato il Truce, che prima e dopo essere salito al potere non lesinò energie e mezzi contro quei pochi che osarono un’opposizione qualsiasi.

Anche l’Italia d’oggi aspetta qualcuno che le tolga le castagne dal fuoco, ma ciò non accadrà se non quando a febbraio il festival canoro di Sanremo, per stringente necessità, non sarà più la prima notizia e il primo argomento del pubblico dibattito.

2 commenti:

  1. Gustose le vicende del giovane Truce! Una lettura che mi ha fatto cominciare bene la giornata.

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