giovedì 6 febbraio 2020

Differenze tra la Croazia e la Sicilia


Faccio seguito brevemente al post di ieri che aveva per tema il patto di Londra e la questione di Fiume. Proprio oggi pomeriggio, in libreria, lo sguardo mi è caduto su un volume con un titolo di grande impegno: 1919. La grande illusione. Dalla pace di Versailles a Hitler. L'anno che cambiò la storia del Novecento, di Eckart Conze, uno storico tedesco con un curriculum di tutto rispetto.

Riguardo il Patto di Londra e i confini italiani sull’Adriatico, l’Autore scrive:

«Se nel centro della città la popolazione era a maggioranza italiana, gli abitanti dell’intera area urbana erano prevalentemente croati. Nel 1919 non soltanto questo era un problema, ma anche il fatto che l’impero asburgico, a cui un tempo apparteneva la città, non esisteva più. La Croazia non faceva più parte dell’Ungheria, ma era una parte del nuovo Stato degli Sloveni, Croati e Serbi costituitosi alla fine del 1918 e che – attraverso la delegazione serba – era rappresentato anche a Parigi».

Ciò non è esatto, e non si tratta di una mera questione terminologica o classificatoria. Troppo spesso gli storici pubblicano libroni di centinaia di pagine (un po’ come le mostre di pittura: da Tiziano a van Gogh, per dire dell'astuzia bigliettara) collazionando notizie prese qui e là piuttosto che rifarsi a fonti primarie. Ciò induce molto spesso a imprecisioni e non di rado a veri e propri rovinosi “incidenti”.

Veniamo al dunque facendo un passo indietro. Il Regno di Croazia e Slavonia, fino al 1918, era appartenuto al Regno d’Ungheria (più precisamente alla Transleithania, alias Terre della Corona di Santo Stefano), dunque a un regno all’interno dell’Impero austro-ungarico. Il Regno di Croazia e Slavonia ebbe autonomia dal punto di vista dell'amministrazione interna, della giustizia, dell’istruzione e delle questioni religiose; la difesa, l’economia (incluso il diritto di conio), l’ambito bancario e delle comunicazioni, il diritto marittimo e commerciale e le questioni relative alla cittadinanza rimanevano di competenza del Regno d’Ungheria nell’ambito dell’Impero austro-ungarico. L’Ungheria aveva acquisito, nel 1867, l’autorità sul porto di Fiume (come corpus separatum).

Per semplificare: grossomodo come le nostre attuali regioni a statuto speciale, laddove il Regno di Croazia e Slavonia può essere inteso, per esempio, come la regione autonoma siciliana, il Regno d’Ungheria come lo Stato italiano e la UE nelle veci dell’Impero austro-ungarico. Con un’unica sostanziale differenza: il Regno di Croazia e Slavonia versava il 55% di tutte le tasse incamerate a Budapest.

Ai primi di ottobre del 1918, si costituì il Consiglio Nazionale degli Sloveni, Croati e Serbi (*), che il 29 ottobre dichiarò la liberazione nazionale e l’istituzione di uno Stato indipendente di sloveni, croati e serbi, con un centro a Zagabria (**). Tale Stato fu riconosciuto soltanto dall’imperatore Carlo, ma non dalla comunità internazionale che sino alla fine della prima guerra mondiale ne ignorava addirittura l’esistenza. Ciò servì all’imperatore Carlo anche per cedere la flotta austro-ungarica al nuovo Stato, tentando di sottrarla in tal modo agli Alleati (vedi il caso della corrazzata Viribus Unitis, tutt’ora celebrata in Croazia come gloria nazionale).

Lo "Stato di sloveni, croati e serbi" (SHS) era uno Stato di tipo confederale, comprendeva la Croazia, la Bosnia, l'Erzegovina, la Voivodina, l'entroterra sloveno, la penisola dell'Istria, parte della Venezia Giulia e la Dalmazia. Dunque escluso il regno di Serbia, che, sebbene in guerra con l’Austria Ungheria (con la Bulgaria fu firmata la pace il 15 settembre 1918), non venne mai meno alle proprie prerogative di Stato autonomo e sovrano, perciò non aveva bisogno di costituirsi ex nuovo come entità statuale.

La monarchia serba, prima e dopo la fusione, ebbe a capo Pietro I e come principe reggente Alessandro, che divenne a suo volta successore e sovrano dal 1921 del Regno dei serbi, croati e sloveni e dal 1929 primo monarca del Regno di Jugoslavia.

Lo "Stato di sloveni, croati e serbi" ebbe vita effimera, per poche settimane, dal 29 ottobre al 1º dicembre 1918, quando avvenne la sua fusione con il Regno di Serbia il 1° dicembre 1918. Pertanto, estinto come Stato sul nascere, non era rappresentato a Parigi nel 1919, come invece sostiene l’illustre Eckart Conze.

Si trattò di una fusione di territori con il regno di Serbia, la cui sovranità faceva capo prima dall’ora all’Impero austro-ungarico (soldati croati combatterono contro gli italiani, è il caso del feldmaresciallo Svetozar von Boroevic de Bojna, alle dipendenze dell’imperialregio esercito degli Asburgo). Né i croati, né gli sloveni, nel 1919 ebbero una sovranità loro propria, ma dipendevano da Belgrado.

Successe, grossomodo, quello che era avvenuto nel 1860-61 in Italia tra il Regno di Sardegna e gli altri Stati preunitari.

In tale situazione, la Serbia si presentò alla Conferenza di Parigi come Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, in effetti come Regno di Jugoslavia, denominazione infine assunta nel 1929.

(*) Composto da: Anton Korošec, da Svetozar Pribićević e dal dottor Ante Pavelić (da non confondere con l’omonimo che negli Anni Venti divenne leader del movimento nazionalista croato e degli Ustascia, quindi capo dello stato fantoccio governato da un regime fascista sostenuto dall’Asse e dal Vaticano.

(**) Il 25 novembre 1918, l’amministrazione della Vojvodina, che in parte era appartenuta al Regno di Croazia e Slavonia, dichiarò la propria annessione al Regno di Serbia all’indomani della medesima dichiarazione fatta dal Comitato della Sirmia, ossia l’altra parte del territorio della Vojvodina appartenente direttamente al Regno d’Ungheria. Il 26 novembre lo fece l’Assemblea nazionale montenegrina con l’avallo del Re Nicola I.

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