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Forse cominceremo ad avere una pallida idea di che cosa è stata e continua a essere l’emergenza coronavirus in Cina e quali giganteschi problemi hanno dovuto affrontare da quelle parti (vedremo, in caso qui da noi la faccenda sfugga di mano, cosa ci racconteranno i cialtroni in bretelle). Non ultimi i problemi economici e finanziari. Grandi aree dell’economia cinese sono ancora bloccate a causa dell’epidemia, con le stime di crescita del primo trimestre ridotte, in alcuni casi allo zero.
Forse cominceremo ad avere una pallida idea di che cosa è stata e continua a essere l’emergenza coronavirus in Cina e quali giganteschi problemi hanno dovuto affrontare da quelle parti (vedremo, in caso qui da noi la faccenda sfugga di mano, cosa ci racconteranno i cialtroni in bretelle). Non ultimi i problemi economici e finanziari. Grandi aree dell’economia cinese sono ancora bloccate a causa dell’epidemia, con le stime di crescita del primo trimestre ridotte, in alcuni casi allo zero.
Le cose non vanno meglio in alcune grandi
economie anche in mancanza del coronavirus e prima che questi facesse la sua
comparsa. In Giappone un meno 6,3 per cento nel quarto trimestre del 2019 e la
recessione è destinata a continuare, anche
a causa degli effetti del coronavirus.
La crescita in Germania, la quarta più
grande economia del mondo, mostra linea piatta, con previsioni che paventano
una recessione che trascina verso il basso il resto dell’Eurozona, che ha
mostrato una crescita di appena lo 0,1 per cento nel quarto trimestre dell’anno
scorso.
In Corea del Sud, uno dei maggiori centri
produttivi del mondo, il governo ha chiesto misure di “emergenza” a causa della
recessione in Cina e Giappone. In Australia, la dodicesima economia del mondo,
sembra terminata una lunga fase in assenza di recessione.
Tutto ciò non sembra per il momento avere
impatto sui mercati azionari, alimentati da migliaia di miliardi di dollari immessi
dalle banche centrali di tutto mondo e dalla promessa che ne arriveranno altri e
poi ancora.
Licenziamenti di massa stanno investendo l’industria
manifatturiera, in particolare il settore della produzione automobilistica,
dove ogni settimana si hanno nuovi annunci di tagli di costi e di posti di
lavoro. La scorsa settimana, Renault, che per il 2019 segnala una perdita di
circa 140 milioni, ha presentato un programma di riduzione dei costi di 2
miliardi di euro per i prossimi tre anni. Nissan taglia 12.500 posti di lavoro.
Il mese scorso, la Volkswagen (e consociate) si è impegnata a massacrare le “vacche
sacre”, annunciando un taglio di decine di migliaia di posti di lavoro nella
sola Germania (ne ho già riferito). Idem la Mercedes e altre aziende teutoniche.
Secondo le ultime stime, circa 100.000 posti
di lavoro saranno eliminati nell’industria automobilistica globale nel 2020, in
aggiunta alle centinaia di migliaia di posti di lavoro persi in tutto il mondo
l’anno scorso. In India, pare che potrebbero essere a rischio fino a oltre un
milione dei 5 milioni di posti di lavoro nel settore dei ricambi auto nel
paese.
Questo massacro di posti di lavoro in tutto
il mondo è guidato da due fatti: i profondi cambiamenti della tecnologia e la
caduta del mercato delle automobili a causa del calo della domanda, dovuta
anche alla stagnazione dei salari in tutto il mondo. Le aziende si stanno
preparando per un futuro di auto elettriche e veicoli a guida autonoma
riducendo i costi per cercare di rimanere competitivi nelle nuove condizioni.
Questo processo di concentrazione e
centralizzazione del capitale riguarda tutti i settori economici, per esempio
anche quello finanziario, come vediamo anche dal nostro italico spioncino verso
il mondo. È di questi giorni l’annunciata “amichevole” scalata di Intesa a Ubi
(personalmente ringrazio), con relativo assicurato taglio di posti.
Non è la sola notizia di quest’ultima
settimana di carnevale. La Hong Kong e Shanghai Banking Corporation, la più
grande banca europea (?) con sede a Londra, ha dichiarato che ridurrà la sua
forza lavoro di 35.000 unità nel prossimo periodo (il 15% del totale), come
parte di una delle “ristrutturazioni più profonde” nei 155 anni di storia della
banca. E ciò segue la decisione dello scorso anno da parte della Deutsche Bank
di tagliare 18.000 posti di lavoro nell’ambito del suo processo di ristrutturazione.
Questa competizione tra i giganti della
produzione e della finanza sarà vinta da chi riuscirà a ridurre di più i costi dal
lato della parte variabile del capitale. Per i settori produttivi si tratta
però e in definitiva del cane che si morde la coda. Aumentando gli investimenti
ma diminuendo la componente variabile, alla fine della gara, ossia quando si
sarà raggiunto un certo equilibrio tra i capitali, il saggio del profitto tenderà
nuovamente a cadere, e di nuovo s’innescherà la lotta. Ma ciò non può durare
all’infinito, c’è un limite raggiunto il quale l’estensione della produzione e
la valorizzazione entrano in conflitto (*).
Per il momento a pagare questa grande
trasformazione, a livello individuale e sociale, saranno i soliti noti. Si sta
verificando ciò che racconto qui da una decina d’anni: progressiva incalzante disoccupazione
di massa in forma permanente (non più
“esercito industriale di riserva”, ma tendenza dell’ex classe media ad
ingrossare le file del Lumpenproletariat) e welfare sempre più a ramengo,
debito pubblico in crescendo.
Hai voglia a tassare i robot e le rendite
finanziarie. Con le politiche fasulle dei riformisti le élite borghesi continueranno
a ridere. E possono fare mille congressi “includenti” e “plurali” per
acchiappare voti, ma le leggi generali del capitale se ne fottono!
(*) Per chi ci mastica un po’: la legge
dell’aumento della composizione organica non va analizzata esclusivamente dal lato del
valore, solo come aumento di (c) relativamente a (v),
ma anche dal lato della
materia, come aumento della grandezza fisica dei mezzi di produzione (Mp)
relativamente alla forza-lavoro che li attiva.
Oltretutto, dal punto di vista quantitativo,
Mp
cresce rispetto a L più rapidamente di quanto (c) cresca in rapporto a (v),
dal momento che, a causa dei progressi tecnici, il costo dei mezzi di
produzione si riduce dal punto di vista del valore.
Ad un determinato livello
dell’accumulazione, quindi, la scala della produzione è data tecnicamente: poiché per la sua
espansione è necessaria una quantità
definita di capitale (vai Landini, che le tue chiacchiere
sull’occupazione, come dice un mio amico, durano come i gatti sull’Aurelia), la grandezza del plusvalore
che si richiede per consentire la valorizzazione non è arbitraria, ma sottoposta a vincoli tecnici.
E ce voleva il coronavirus per abbattere le emissioni?
RispondiEliminahttps://it-businessinsider-com.cdn.ampproject.org/c/s/it.businessinsider.com/lepidemia-di-coronavirus-effetti-economia-in-cina-riduzione-emissioni-inquinanti/amp/?fbclid=IwAR2nzNXEBFQ-ajfKyuk-cZ2x3A3cYhbYJjBco15wQqBBGFJNVKJCIEkycMs
Tengo a specificare che non c'è nessun cinismo da parte mia nei confronti dei cinesi.
EliminaIl cinismo più sprezzante lo è invece verso il capitalismo che ci sta mandando tutti, indistintamente, alla rovina.
Buona serata
il cinismo è roba da cinesi
Elimina...vedremo...
RispondiEliminaho come la vaga impressione che i numeri siano bassi per il fatto che molti paesi neanche si premurino di contare i malati...
la situazione in India è probabilmente di questo tipo
Eliminali conteranno ... dopo
Eliminasperiamo di no....per loro e direi anche per noi
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