venerdì 21 febbraio 2020

Come i gatti sull'Aurelia


In questo sito potete trovare i dati più aggiornati sul coronavirus a livello mondiale. 

Forse cominceremo ad avere una pallida idea di che cosa è stata e continua a essere l’emergenza coronavirus in Cina e quali giganteschi problemi hanno dovuto affrontare da quelle parti (vedremo, in caso qui da noi la faccenda sfugga di mano, cosa ci racconteranno i cialtroni in bretelle). Non ultimi i problemi economici e finanziari. Grandi aree dell’economia cinese sono ancora bloccate a causa dell’epidemia, con le stime di crescita del primo trimestre ridotte, in alcuni casi allo zero.

Le cose non vanno meglio in alcune grandi economie anche in mancanza del coronavirus e prima che questi facesse la sua comparsa. In Giappone un meno 6,3 per cento nel quarto trimestre del 2019 e la recessione è destinata a continuare, anche a causa degli effetti del coronavirus.

La crescita in Germania, la quarta più grande economia del mondo, mostra linea piatta, con previsioni che paventano una recessione che trascina verso il basso il resto dell’Eurozona, che ha mostrato una crescita di appena lo 0,1 per cento nel quarto trimestre dell’anno scorso.

In Corea del Sud, uno dei maggiori centri produttivi del mondo, il governo ha chiesto misure di “emergenza” a causa della recessione in Cina e Giappone. In Australia, la dodicesima economia del mondo, sembra terminata una lunga fase in assenza di recessione.

Tutto ciò non sembra per il momento avere impatto sui mercati azionari, alimentati da migliaia di miliardi di dollari immessi dalle banche centrali di tutto mondo e dalla promessa che ne arriveranno altri e poi ancora.

Licenziamenti di massa stanno investendo l’industria manifatturiera, in particolare il settore della produzione automobilistica, dove ogni settimana si hanno nuovi annunci di tagli di costi e di posti di lavoro. La scorsa settimana, Renault, che per il 2019 segnala una perdita di circa 140 milioni, ha presentato un programma di riduzione dei costi di 2 miliardi di euro per i prossimi tre anni. Nissan taglia 12.500 posti di lavoro. Il mese scorso, la Volkswagen (e consociate) si è impegnata a massacrare le “vacche sacre”, annunciando un taglio di decine di migliaia di posti di lavoro nella sola Germania (ne ho già riferito). Idem la Mercedes e altre aziende teutoniche.

Secondo le ultime stime, circa 100.000 posti di lavoro saranno eliminati nell’industria automobilistica globale nel 2020, in aggiunta alle centinaia di migliaia di posti di lavoro persi in tutto il mondo l’anno scorso. In India, pare che potrebbero essere a rischio fino a oltre un milione dei 5 milioni di posti di lavoro nel settore dei ricambi auto nel paese.

Questo massacro di posti di lavoro in tutto il mondo è guidato da due fatti: i profondi cambiamenti della tecnologia e la caduta del mercato delle automobili a causa del calo della domanda, dovuta anche alla stagnazione dei salari in tutto il mondo. Le aziende si stanno preparando per un futuro di auto elettriche e veicoli a guida autonoma riducendo i costi per cercare di rimanere competitivi nelle nuove condizioni.

Questo processo di concentrazione e centralizzazione del capitale riguarda tutti i settori economici, per esempio anche quello finanziario, come vediamo anche dal nostro italico spioncino verso il mondo. È di questi giorni l’annunciata “amichevole” scalata di Intesa a Ubi (personalmente ringrazio), con relativo assicurato taglio di posti.

Non è la sola notizia di quest’ultima settimana di carnevale. La Hong Kong e Shanghai Banking Corporation, la più grande banca europea (?) con sede a Londra, ha dichiarato che ridurrà la sua forza lavoro di 35.000 unità nel prossimo periodo (il 15% del totale), come parte di una delle “ristrutturazioni più profonde” nei 155 anni di storia della banca. E ciò segue la decisione dello scorso anno da parte della Deutsche Bank di tagliare 18.000 posti di lavoro nell’ambito del suo processo di ristrutturazione.

Questa competizione tra i giganti della produzione e della finanza sarà vinta da chi riuscirà a ridurre di più i costi dal lato della parte variabile del capitale. Per i settori produttivi si tratta però e in definitiva del cane che si morde la coda. Aumentando gli investimenti ma diminuendo la componente variabile, alla fine della gara, ossia quando si sarà raggiunto un certo equilibrio tra i capitali, il saggio del profitto tenderà nuovamente a cadere, e di nuovo s’innescherà la lotta. Ma ciò non può durare all’infinito, c’è un limite raggiunto il quale l’estensione della produzione e la valorizzazione entrano in conflitto (*).

Per il momento a pagare questa grande trasformazione, a livello individuale e sociale, saranno i soliti noti. Si sta verificando ciò che racconto qui da una decina d’anni: progressiva incalzante disoccupazione di massa in forma permanente (non più “esercito industriale di riserva”, ma tendenza dell’ex classe media ad ingrossare le file del Lumpenproletariat) e welfare sempre più a ramengo, debito pubblico in crescendo.

Hai voglia a tassare i robot e le rendite finanziarie. Con le politiche fasulle dei riformisti le élite borghesi continueranno a ridere. E possono fare mille congressi “includenti” e “plurali” per acchiappare voti, ma le leggi generali del capitale se ne fottono!

(*) Per chi ci mastica un po’: la legge dell’aumento della composizione organica non va analizzata esclusivamente dal lato del valore, solo come aumento di (c) relativamente a (v), ma anche dal lato della materia, come aumento della grandezza fisica dei mezzi di produzione (Mp) relativamente alla forza-lavoro che li attiva.

Oltretutto, dal punto di vista quantitativo, Mp cresce rispetto a L più rapidamente di quanto (c) cresca in rapporto a (v), dal momento che, a causa dei progressi tecnici, il costo dei mezzi di produzione si riduce dal punto di vista del valore.

Ad un determinato livello dell’accumulazione, quindi, la scala della produzione è data tecnicamente: poiché per la sua espansione è necessaria una quantità definita di capitale (vai Landini, che le tue chiacchiere sull’occupazione, come dice un mio amico, durano come i gatti sull’Aurelia), la grandezza del plusvalore che si richiede per consentire la valorizzazione non è arbitraria, ma sottoposta a vincoli tecnici.



7 commenti:

  1. E ce voleva il coronavirus per abbattere le emissioni?

    https://it-businessinsider-com.cdn.ampproject.org/c/s/it.businessinsider.com/lepidemia-di-coronavirus-effetti-economia-in-cina-riduzione-emissioni-inquinanti/amp/?fbclid=IwAR2nzNXEBFQ-ajfKyuk-cZ2x3A3cYhbYJjBco15wQqBBGFJNVKJCIEkycMs

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    1. Tengo a specificare che non c'è nessun cinismo da parte mia nei confronti dei cinesi.
      Il cinismo più sprezzante lo è invece verso il capitalismo che ci sta mandando tutti, indistintamente, alla rovina.
      Buona serata

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  2. ...vedremo...
    ho come la vaga impressione che i numeri siano bassi per il fatto che molti paesi neanche si premurino di contare i malati...

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