mercoledì 18 settembre 2019

Una causa comune





La figura di Napoleone Bonaparte ispira indubbiamente una grande ammirazione, e la sua epopea quasi un sentimento di empatia cui nemmeno molti storici sono riusciti a sottrarsi. Bonaparte è stato il modello di molti, spesso in modo sottaciuto e in certi casi in forme perfino imbarazzanti.

Considerato un genio, Bonaparte fu indubbiamente un uomo, un generale e uno statista di qualità e capacità non comuni. Viene descritto come ambizioso, ma ciò è riduttivo, poiché siamo di fronte a un fenomeno dai tratti patologici, che rivela una mentalità tirannica nella gestione del potere. Non si accontentò del titolo d’imperatore, ma si sentiva in diritto di nominare i propri fratelli, o persone di sua stretta fiducia, sovrani di porzioni del continente europeo. È stato l’incarnazione dell’idea moderna di conquistatore, ma fu con cinismo e inganno, richiamandosi agli ideali di liberazione dei popoli oppressi, che indusse la gioventù francese e quella dei popoli “liberati” ad arruolarsi nelle sue armate e trovare la morte, spesso in modi orribili, sui campi di battaglia di tutta Europa e oltre.

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Il nostro giudizio storico su Bonaparte tiene conto di ciò che sappiamo ex post, ma quanti potevano adombrare, durante la prima Repubblica francese, sul finire del XVIII secolo, che si potesse operare con la stessa mentalità che aveva ispirato le gesta di Alessandro Magno più di venti secoli prima? E quanti, poco più di un secolo dopo, nei primi tempi successivi alla conclusione della guerra mondiale, seppero cogliere d’acchito quale fosse la reale natura del fascismo, considerato che alla sua testa c’era Mussolini, un uomo che fino a poco tempo prima era stato il più acceso dei socialisti massimalisti? Nessuno fra i suoi contemporanei sapeva, in quel momento e con certezza, fin dove si sarebbe spinto, tanto che anche dopo la formazione del suo primo governo, molti ritennero che si trattasse di una parentesi, e comunque di un fenomeno che si poteva addomesticare.

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A suo tempo ho definito Salvini e di Maio come degli uccelletti di passo. Di Mario è chiacchiera e per il resto nullità, quindi di lui non ci si deve preoccupare, eventualmente, se non per i danni che provoca al suo partito e per quelli, non incidentali, alla lingua italiana. Per quanto riguarda Salvini, che è massimamente sbagliato demonizzare, ha confermato di non avere le capacità strategiche, di mediazione e d’intuizione politica proprie di un leader che si candida, almeno nelle sue intenzioni, a guidare una nazione come l’Italia; e nemmeno la statura di un leader di partito che vale un terzo dei voti elettorali e con stabile radicamento territoriale.

Nell’immediato ci si dovrebbe preoccupare seriamente del fatto che questo mondo sta diventando, con l’ausilio della più recente tecnologia, sempre più totalitario. Ci si dovrebbe preoccupare, e non sto sulle supposizioni, di ciò che già è evidente nella crisi italiana, europea e mondiale. Che non è solo crisi economica (*), né solo politica e degli assetti istituzionali, né solo crisi demografica e dei flussi migratori, bensì crisi generale storica di un sistema. In definitiva ci si dovrebbe porre la fatidica domanda, ossia se tutti i problemi e le disgrazie che ci affliggono e che stanno modificando in modo irreversibile e profondo la società e l’ambiente nel quale viviamo, non abbiano una causa comune.

 (*) La parola “mercato” sarà l’ultima che uscirà dalla bocca di molti nel momento in cui il sistema andrà in frantumi. Gli indici di crescita e di rendimento li dispensano di allontanarsi d’un solo passo dall’orlo del precipizio.

3 commenti:

  1. La causa comune è la bramosia di Potere sulle persone e sulle cose. Condensato in "comandare è meglio che fottere".

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  2. non meno deleteria è la fazione che attribuisce tutti i mali al mercato, tanto per dire l' aria che tira e quanto ricomporre il quadro sia impresa ben oltre le capacità della borghesia

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    1. vero, e sai come la penso, ma sai anche come la pensano quelli che il mercato è una mano santa per tutto

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